Il mito è l’assoluto ma l’assoluto inteso come mito, è il sogno simbolico dei primitivi, inteso come metafisica è il sogno della mente concettuale. Il primo non ha nessun bisogno di giustificarsi, come tutti i miti, gli bastano solo fede e superstizione. L’altro invece deve arrampicarsi sugli specchi della sua azzardata e mirabolante costruzione esclusivamente logica; ma a volte gli riesce di dimostrare formalmente l’impossibile. Così fece (il grande) Severino spiegandoci in centinaia di pagine che tutto è eterno. Oppure come fece Nietzsche sostenendo che tutto ritornerà perfettamente uguale.
Il mito è l’assoluto (simbolico, emotivo) ma l’assoluto (inteso in questo modo) è la morte. Dietro a ogni simbolismo assoluto, così come dietro a ogni idealismo assoluto, c’è una tragedia in agguato.
Del resto da dove è nato il simbolismo virtuale e assoluto se non, soprattutto, dal bisogno di continuare la onnipotenza magica del pensiero e ancor di più, dal desiderio di esorcizzare la morte?
L’assoluto è qualche cosa che va ben oltre l’uomo e quindi, in un certo senso, gli va anche contro. In questo modo gli fa perdere contatto con la vera concretezza della vita. Chi invece pensasse di realizzarsi in una qualsiasi forma di assoluto, evidentemente disprezza la vita dei comunissimi mortali. Realizzarsi? Oppure consumarsi, sacrificarsi, autodistruggersi magari distruggendo anche gli altri. Questa tensione suprema, inesorabilmente votata al fallimento, è perfettamente incarnata nel volo di Icaro.
L’assoluto è comunque un qualcosa che travalica tragicamente il senso del limite e della finitezza umana (come ben dimostra il volo di Icaro). Persino Gesù che fece il percorso contrario, scendendo dal cielo alla terra e incarnandosi come uomo, costrinse i fedeli all’insostenibile stress di una ben difficile imitazione.
Noi condanniamo ogni forma di assoluto nel rapporto catastrofico che esiste tra vaneggiamento, fallimento, autodistruzione. Non lo possiamo fare per tutto quello che ha sospinto l’evoluzione dell’uomo sempre in avanti, anche a costo di grandissimi sacrifici. Non possiamo certo paragonare l’assoluto infernale dei nazisti, al sacrificio “assoluto” degli uomini e donne che sacrificarono la vita per bloccare la loro follia visionaria.
L’assoluto emotivo, simbolico e fantastico tipico del mito, è una forza che si impone totalmente all’uomo. Questa può esprimere un rapporto armonioso dell’uomo con se stesso e con la natura, ma anche suscitare incredibili forme di violenza. In questo caso, dopo aver annullato ogni istanza critica e principio di realtà, lo trasforma in un burattino, in uno schiavo totale o peggio ancora in un posseduto. Questo trionfo di una potenza che si impone mentalmente e coattivamente dall’esterno, anche se in realtà è prodotta dall’uomo stesso, si esplicherà con una violenza concreta persino esponenziale, rispetto al momento fantastico cerebrale originario. Non sarà più fantasia ma concreta mostruosità. Un conto è sognare di mangiare i morti, un conto è mangiarli per davvero.
L’assoluto esclusivamente concettuale della metafisica (con la pretesa di risolvere tutto solo formalmente per via logica) travisa la vita e il divenire. Per fortuna mantiene in vita chi lo contempla come in un sogno, provocando spesso, una specie di estasi e vertigine intellettuale. Purtroppo questa vertigine è tanto più forte quanto più le riesce di allontanarsi dalla realtà. I tutti i casi è pur sempre una forma di mito, rinchiusa nel suo circuito autoreferenziale e di magia, esaltando la sedicente potenza del pensiero puro. Viceversa il mito puramente fantastico, con la sua adesione emotiva totale a simboli irreali, inquina concretamente l’esistenza portando a situazioni paradossali, parossistiche, potenzialmente autodistruttive.
L’assoluto metafisico che si costruisce concettualmente e logicamente, richiede un lungo e sofisticato lavoro mentale di autocoscienza; alla fine si risolve nell’adesione a una certa visione del mondo, restando pur sempre dentro a una forma di autocoscienza molto particolare ( teoretica). Ma l’assoluto mitico, provenendo direttamente per via intuitiva dall’inconscio singolo e collettivo, comporta spesso una grave ricaduta sui comportamenti concreti. Un conto è aderire astrattamente a dei fantasmi concettuali, un conto è realizzare concretamente i simboli di un incubo…
In tutti i casi ho una forma di venerazione per la vecchia metafisica e i suoi ultimi eroi (Severino). Infatti la considero:
- Come un’opera d’arte, una meravigliosa architettura concettuale.
- In tutti i casi mi appare come una forma memorabile di evoluzione del pensiero. Quindi va anche ricompresa storicamente e contestualmente.
- Come un passaggio evolutivo in direzione della scienza; ma non è un caso che la scienza più criticabile, quella positivista, è stata anche lei una forma di metafisica.
Certo quando spiegavo ciò ai miei ragazzi, facevano difficoltà nel vedere come esaltassi Severino e nello stesso tempo cercavo di contestarlo (non certo in presenza dato che nessuno c’è riuscito). I ragazzi non riuscivano a capire come si potesse esaltare l’uomo e il filosofo e, nello stesso tempo, non accettare la sua filosofia.
Cercavo sempre di metterli in guardia dai pericoli di un pensiero logico apparentemente perfetto, ma solo nella sua perfezione e astrazione formale. Così Severino è riuscito a far dire al divenire l’ esatto opposto di quello che mostra…
Negare l’assoluto in modo assoluto è sempre una forma di assoluto. Negare totalmente l’esistenza della verità è pur sempre una forma forte di verità. Ecco perché, ancora una volta, è così difficile uscire dal mito. Persino gli scettici alla fine ci sono cascati, elaborando quel mito, per cui esiste la realtà ma non esiste la verità (com’è possibile?). Anche se la nostra realtà fosse una illusione totale, questa sarebbe la verità.
Il pericolo più grande insito in ogni forma di assoluto consiste nell’annientare o ridicolizzare qualsiasi forma di critica. Viceversa anche la critica assoluta e permanente, comporta comunque anche la critica a se stessa: in quanto tale si auto-relativizza (e salva) dal suo stesso assolutismo. Il relativismo realistico è sempre l’unico antidoto contro ogni forma di mitologia sia quella primitiva che quella metafisica.
In nessun mito più del nazismo osserviamo che l’assoluto è la morte: la sua vera essenza è proprio il culto assoluto della morte. Il nazismo è stato veramente una forma mitica magica di necrofilia di massa. Non comportava la morte solo per gli ebrei ma per tutti i popoli compreso quello tedesco. Le ultime parole di Hitler furono : distruggete le città tedesche…ma lo avevano già fatto gli alleati.
La cultura mitica dei popoli primitivi non è solo una collezione di orrori, ma fortunatamente presenta, ancora oggi, molti aspetti strategicamente decisivi e positivi per la nostra civiltà ( che invece li ha disattesi quasi del tutto). Basti pensare alla salvaguardia della natura, alla importanza dei collanti sociali comunitari, a una sessualità più spontanea libera e felice ecc. Invece il mondo moderno ha mantenuto l’essenza negativa del mito come paradigma ideologico pseudo-cognitivo. Si tratta ancora una volta, di un’adesione emotiva arcaica e acritica , a rappresentazioni puramente virtuali e tecnologiche, aspetto che sembra caratterizzare sempre di più la nostra vita, senza possibilità di scampo. Così il più vecchio (magico mentale) e il più nuovo (onnipotenza teconologica) si sono sposati in un matrimonio diabolico.
Il mito è sempre o una fuga all’indietro, o una fuga in avanti; ma la realtà vera dove sta?