Maschere del teatro greco

Il mito – Introduzione

UNIVERSO MITICO. Il mito è una narrazione (a sua volta inserita in un sistema organizzato di racconti) elaborata e trasmessa oralmente dai popoli primitivi. Detto questo il mito ci appare subito come un mare magnum. Esistono tante tradizioni mitiche quante sono le codificazioni linguistiche (basti pensare anche ai dialetti interni) e culturali dei popoli primitivi: stiamo parlando di diverse migliaia (4.000 circa). Come se non bastasse questa estrema e articolata variabilità è a sua volta molto amplificata da diversi fattori. Moltissimi miti non sono formulazioni singole, ossia cristallizzate nel senso di forme univoche e compiute, ma una specie di famiglia con diversi fratelli simili e diversi: come un fiume con diverse diramazioni, come un albero con diverse radici a volte assai lontane dalle consorelle. Alla fine i miti più piccoli e derivati sono come dei satelliti che, pur differenziandosi, girano intorno all’orbita di senso di quello più grande. Naturalmente tutto questo stimola e acuisce le difficoltà interpretative, anche se molto spesso ci troviamo di fronte prevalentemente, al libero gioco narrativo di una creatività fantastica. Un tipico esempio è dato dal mito greco che collega Dionisio e Orfeo: su una unica base tematica abbiamo una connessione e proliferazione molto complessa nei significati nonché piena di varianti.

VERITA’ E INTERPRETAZIONE. Si potrebbe fare anche l’esempio di Nietzsche per cui la verità non esiste, o meglio esiste come interpretazione di interpretazione in una deflagrazione senza fine di forme diverse. In effetti il mito è veramente interpretazione di interpretazione. Questo è evidente dal suo lato interno, legato a una produzione poetica, ora sacrale ed emotiva, ora simbolica e fantastica, la quale seguendo il corso di una libera ispirazione e narrazione ( che mentre si fa si auto-crea) , restava aperta a tutte le soluzioni. Il mito dunque è intrinsecamente una struttura narrativa, dinamica e polisemica, a sfondo connotativo, che tende ad allargarsi in tutte le direzioni. Tuttavia come vedremo più avanti , non c’è solo una libertà espressiva paradossale, del tutto libera e casuale, ma ci troviamo di fronte anche a dei filoni predefiniti . Questi sono legati prima di tutto alla simbologia e al funzionamento dell’inconscio collettivo, nel complesso alla stessa mentalità magica, infine alle altre strutture mentali basilari come l’animismo, gli archetipi, il totemismo ecc . Infine non dobbiamo dimenticare le fasi evolutive del contesto storico sociale che attraversano il passaggio dal paleolitico al neolitico. Il mito in un certo senso rappresenta una incredibile enciclopedia di tutte le esperienze decisive dei popoli primitivi, anche se naturalmente elaborate secondo un linguaggio e una mentalità particolarissime (animistica-magica). Questo non riguarda solamente situazioni concrete, ma anticipa fondamentali aspetti di come fin dalle origini, la condizione umana vive e interpreta se stessa. Vi troviamo quindi, sia pure in embrione, elementi riconducibili alle primissime forme di teodicea, esistenzialismo, ontologia, persino metafisica ecc.

In realtà il mito rappresenta l’alveo genetico di tutto ciò che comporta la produzione e la esplicazione della soggettività umana all’inizio della sua attività. Infatti in contemporanea con lui e tramite lui sono nati: l’inconscio collettivo, l’arte, il rito, il mito, linguaggio, la religione, panteismo, animismo, magia , il collante sociale, etnocentrismo e tradizione ecc ecc ; insomma tutto ciò che nella custodia e trasmissione della memoria, ha creato e rafforzato la identità sociale e il suo spirito comunitario. E’ nata addirittura la prima formulazione del concetto di assoluto (emotivo, simbolico), in relazione alle prime forze divine super potenti: certamente ancora molto lontana da quella che sarebbe stata la sua sofisticata evoluzione (di tipo formale concettuale) nella storia della filosofia.

Un altro aspetto interpretativo, quello per così dire esterno, drammatizza e problematizza se possibile, ancor di più una situazione già così intricata. Ci riferiamo ovviamente alla storia della antropologia (filosofia) la quale, a sua volta, presenta una grande quantità di interpreti e interpretazioni anche molto diverse e conflittuali. Oggi come oggi, questo aspetto, nel clima generalizzato, così scettico e decadente del cosiddetto post-moderno, caratterizza anche molti altri fattori culturali. Nel caso del mito si pensa addirittura a una risoluzione impossibile delle sue principali problematiche. E’ come se il mito venisse abbandonato al suo destino di eccessiva variabilità e in definitiva di incomprensibilità. In altre parole, di fronte a una matassa così aggrovigliata, sarebbe improbabile se non impossibile trovare dei filoni che costituiscano degli aspetti universali e strutturali. In effetti non esiste uno dei punti nodali, attorno ai quali ancora oggi si svolge la ricerca e il dibattito sul mito, che trovi tutti d’accordo. Noi non la pensiamo così. Fermo restando che in nessun aspetto del sapere e della realtà esistono totalità perfette e raggiunte in se stesse (perfettamente auto trasparenti come direbbe Hegel) ma solo una totalizzazione pur sempre relativa, dinamica e in fieri. Tuttavia questo non significa, a nostro parere, che non si possano reperire potenti strutture interpretative, anche se, all’interno di una conflittualità ideologica così serrata, ognuno sceglierà quella per lui più convincente.

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Continuando e approfondendo le difficoltà interpretative del mito possiamo fare queste osservazioni. Prima di tutto la più banale consiste nel fatto che noi non abbiamo la macchina del tempo, non siamo immersi nella attualità dello svolgimento pratico e vissuto del mito; anzi siamo lontanissimi, in tutti i sensi, da quel contesto e da quella mentalità. Nessuno può dire quando e come, se non per ipotesi concettuali e date estremamente provvisorie, l’uomo sia passato da essere un animale istintivo a un animale simbolico; stesso discorso per il primo mito, come siano nati il linguaggio, l’inconscio , la magia e insomma tutti gli aspetti caratteristici e fondativi la mentalità e la società primitiva. Qualcuno ha detto che, per comprendere il mito nella sua mentalità così diversa dalla nostra, bisognerebbe diventare anche noi dei primitivi in tutto e per tutto; ma è veramente possibile dismettere il proprio abito mentale moderno per assumerne un altro completamente diverso? Ci sono degli aspetti che probabilmente ci sfuggiranno sempre: i riferimenti alla attualità concreta e quotidiana del contesto naturale e sociale di allora, i veri significati dei simboli e dei loro accostamenti, il senso stesso del mistero che in realtà resta, ancora oggi, una parte così pregnante e affascinante del loro retaggio culturale.

Ma in fin dei conti che senso avrebbe , se possibile, riproporre oggi come oggi, a livello di vissuto esistenziale, la valenza pregnante del mito nella sua autentica dimensione arcaica? Sappiamo che, ancora una volta, ogni nostra pretesa di ricostruzione storica non è per così dire retrodatata. Non si esaurisce nel far rivivere, tramite uno slancio fine a se stesso, un mondo ormai passato, ma bensì si predispone a comprendere sotto nuova luce ( e magari migliorare) il nostro attuale. Questo vale persino per il mito. In questo senso i primitivi sono i nostri contemporanei. Anzi l’aspetto più affascinante è dato proprio dal confronto tra l’antropologia, per così dire arcaica, e quella culturale moderna. Purtroppo ancora una volta la situazione si complica. Potremmo effettivamente additare (e lo faremo) i molti aspetti di una imprescindibile eredità positiva del mito: in primis il ritorno, mediato e consapevole, se non alla sacralità della natura, almeno alla sua rinnovata salvaguardia sostanziale. Del resto ancora oggi, siamo prigionieri del pensiero magico, nella misura in cui siamo prigionieri dell’inconscio. Basti pensare alla incredibile funzione del placebo quando effettivamente sostituisce le medicine esclusivamente in virtù di “suggestione magica”. Anche osservando i vari ritorni di massa della mentalità mitica nel mondo moderno, ossia il neo-paganesimo nazista e comunista, restiamo sconvolti dalle catastrofi che hanno prodotto. Il in particolare il fallimento comunismo, basandosi tra l’altro, su di una ideologia pseudo-atea e pseudo religiosa, quando è fallito, ha lasciato un vuoto immenso, subito riempito dalla vecchia mitologia religiosa tradizionale. Tuttavia c’è da chiedersi se queste feroci dittature non avessero già imparato tutto da precedenti esperienze storiche della chiesa. La persecuzione degli ebrei, il genocidio e lo sfruttamento sistematico dei popoli, la inquisizione (ossia il controllo e plagio sistematico delle menti) non è stato certo inventato per la prima volta da nazisti e da comunisti.Gli stessi nazisti, per lo più, bruciavano vive le persone nel segreto dei campi di concentramento e non pubblicamente nelle piazze, nel corso di feste popolari, basate sull’arrosto dell’eretico. In tutti i casi, in riferimento alle dittature moderne, non parliamo solo dei terribili massacri sanguinari ma di vere e proprie gravissime deviazioni mentali. Come quelle di divinizzare personaggi del calibro di Hitler, Stalin e Mussolini ecc. Da qui si capisce che sommando queste atrocità dei popoli mitici moderni a quelle a dei popoli mitici arcaici, per quanti importanti elementi positivi si possano riscontrare e valorizzare comunque, nella eredità mitica del passato, il giudizio finale complessivo resta profondamente negativo. Il problema e dramma fondamentale dell’umanità consiste nell’avanzare (e non indugiare) verso l’uscita dalla caverna, cioè dal mito; ma dato che questo è impossibile, e ancora oggi siamo immersi nel mito, possiamo solo convivere cercando di bonificarlo e controllarlo il più possibile. Ma prima per poterlo fare dobbiamo conoscere il mito, sia quello antico che quello moderno. Il che significa da una parte approfondire e confrontare l’inconscio singolo e quello collettivo nella dimensione degli archetipi;dall’altra scoprire, in tutte le versioni della ideologia, i nuovi interessi e obiettivi del potere e nello stesso tempo, il loro radicarsi nella dimensione precedentemente specificata.

Certo si potrebbe obiettare che molti e famosi antropologi, facendo il lavoro sul campo a contatto diretto con quelle popolazioni, si sono sforzati il più possibile di raggiungere l’ obiettivo di identificarsi completamente con loro. Tuttavia ammesso e non concesso che lo abbiano raggiunto, anche questo non ha smorzato le diatribe, anzi le ha acuite. Tutto questo vale soprattutto per la soggettività della produzione culturale antropomorfica, ma non per i reperti oggettivi che possono essere trovati (utensili, sepolture ecc) sui quali varie scienze oggettive, possono sviluppare una argomentazione veramente scientifica e non la solita diatriba ideologica. Nello stesso tempo, rispetto a un confronto diretto, purtroppo siamo ormai alle ultime battute. Le poche popolazioni primitive rimaste sono ormai profondamente “contaminate”. Tra poco culturalmente non esisteranno più, definitivamente travolte da quello che chiamiamo progresso ( sempre che, anche noi nel frattempo, non abbiamo fatto la stessa fine…). Possiamo solo sperare che almeno sopravvivano fisicamente. Da questo punto di vista possiamo tranquillamente dire che nei prossimi cinquant’anni sono in gioco i destini di tutti gli animali e di tutti i popoli, da quelli più antichi a quelli più moderni.

Le molteplici difficoltà interpretative del mito sono state la gioia e la dannazione degli antropologi. Tuttavia in realtà, a ben guardare,non dovremmo fasciarci la testa o scandalizzarci più di tanto. In fin dei conti è la stessa situazione che abbiamo trovato nella filosofia, ossia in un contesto quasi del tutto teorico, ma anche nella stessa scienza nonostante la sua maggiore concretezza e il principio di verificazione. E’ un discorso questo che vale per tutti i contesti culturali e su questo ancora una volta aveva ragione Nietzsche, ovvero la battaglia delle interpretazioni è il destino comune di tutti i fattori culturali, nessuno escluso. Certamente il mito presenta come abbiamo già visto, un gran numero di difficoltà, alcune insormontabili. Esiste tuttavia un altro aspetto per così dire decisivo, che taglia la testa al toro, a riguardo , scusate il gioco di parole, del misterioso e ineludibile protagonismo del mistero stesso. In poche parole , in sintonia con la sua mentalità religiosa, il mito è già predisposto come struttura e funzionalità, per essere criptato in modo di evitare lo svelamento totale del divino e della sua comunicazione. Il mito è una sorta di rivelazione permanente che spesso, si interrompe sul più bello …

SACRALITA’ E MISTERO. Sarebbe troppo facile evidenziare nel mito il suo aspetto di linguaggio imperfetto, di comunicazione mancante e incompleta. Sicuramente questo era dovuto anche alla debolezza primitiva degli strumenti logici e linguistici a disposizione. L’incoerenza e la contraddittorietà dei loro assunti non era certo un problema, anzi andava di pari passo con la libertà della espressione creativa già citata. Del resto i primitivi vivevano in una dimensione di ignoranza totale a riguardo di ciò che veramente li circondava dall’esterno o che li dominava dall’interno. Riempivano questo enorme vuoto col simbolismo del pensiero magico e animistico ben consapevoli della precarietà della loro condizione: in questo senso esprimevano per la prima volta una forma di accettazione suprema del destino. Qualcuno potrebbe obiettare: non potevano fare altrimenti; mentre noi siamo sempre alla ricerca di chissà che cosa. Fatta questa precisazione, c’è un di più, molto di più che spiega questa volontà interna al mistero. Il mito è stato il primo discorso sugli dei, sul divino, e quindi era divino esso stesso in quanto tale. Doveva cioè mantenere e preservare assolutamente le caratteristiche fondamentali di questa prima forma di arcaica sacralità.

Queste potenze divine potevano risultare vicinissime. Ciò accadeva in base all’animismo panteistico dove tutto era vivente e divino a vario titolo; in base alla magia che aveva addirittura la pretesa, entrando in contatto, di manipolarle e utilizzarle. Nello stesso tempo erano lontanissime e impenetrabili: e tali dovevano restare. Addirittura il Dio apparteneva di dirittoa un mondo invisibile: la sua vera potenza consisteva nella inaccessibilità e invisibilità all’uomo. La sua visibilità era sempre come una traccia sfuggente e repentina, una epifania istantanea, come un flash (teofania) che lasciava attoniti e stupefatti, suscitando poi interpretazioni ambigue e ambivalenti. La sua rivelazione doveva essere sempre parziale e polivalente, direi trasformista e proteiforme, potendo assumere a piacimento tutte le forme esistenti in natura e tra gli umani. Dunque la dimensione divina doveva restare quasi invisibile per mantenere intatto il senso del mistero da cui derivava la sua stessa onnipotenza. Ecco perché la rivelazione nel mito si presenta POLIEDRICA E RETICENTE NELLO STESSO TEMPO. DUNQUE PRESENTA DA UNA PARTE UN ECCESSO DI SIGNIFICATO E DALL’ALTRA COME UNA CESURA, UNA INTERRUZIONE. Questa è veramente la cifra più profonda per comprendere il mito. Così era anche l’oracolo di Delfi che dava sempre responsi diversificati e sfuggenti. Se il dio si fosse manifestato in tutto e per tutto non sarebbe stato più dio, contaminandosi e compromettendosi troppo con l’umano. Nello stesso tempo l’uomo che avesse assistito all’epifania totale del dio, o sarebbe morto folgorato e incenerito, oppure peggio ancora, sarebbe divenuto dio esso stesso accedendo a tutti misteri del divino (come accadde nel mito di Prometeo). Ora questo non doveva assolutamente accadere, appunto per restare all’interno della mentalità mitica. Questa era fondata da una devota subalternità del primitivo a ciò che considerava il testimone invisibile di un ordine supremo inattaccabile. Il contrario esatto della nostra sciagurata esperienza di moderni, che dalla visibilità e conoscibilità arrogante di tutto, ne deriviamo il diritto a sottoporre tutto ciò che esiste, alla nostra illimitata e distruttiva volontà di potenza. Questo tipo di mentalità arcaica la ritroviamo anche nel filosofo Heidegger. Anche per lui l’essere, nel mentre si svela, soprattutto si nasconde. Si tratta di una forma di teologia negativa che racconta l’assenza-nascondimento del dio (che chiama Essere) piuttosto di una presenza, che comunque non travalica, ma riconferma il mistero. Solo nel mito greco, che in realtà è già un anti-mito impregnato di filosofia ( e che proprio per questo porterà alla nascita della filosofia), ciò che conta di più è l’iniziativa umana. Qui il vero Dio è il progresso della conoscenza, piuttosto che una sacralità tradizionale devota e blindata, basata sull’occultamento della divinità. La filosofia ( e la scienza) rappresentano al contrario del mito, non la subalternità consacrata al culto del mistero, ma lo sviluppo continuo e inarrestabile della conoscenza. Tutto questo è basato sull’abbattimento, ricercato e preventivato, di tutto ciò che ostacola questo imperativo categorico dell’evoluzione umana.

POSITIVITA’ DEL MITO. A questo punto, per far vedere che non abbiamo preclusioni pregiudiziali, preferiamo sbilanciarci subito sulla eredità positiva del mito. Tuttavia per prima cosa dobbiamo sfatare il mito del buon selvaggio, ossia l’idea di una specie di felice eden originario e di una pacificità intrinseca ai popoli primitivi. Si tratta di aspetti questi che si possono trovare solo in parte e solo nella primissima fase di caccia e raccolta. In realtà i popoli primitivi vivevano pochissimo (età media 20 anni) sottoposti a condizioni di vita terribili. La stessa caccia era una specie di guerra sanguinosa, per quanto devota e limitata, fatta alla natura. Questo anche se continuavano ad adorarla impropriamente , chiedendo scusa per le loro vittime, che infatti potevano anche adorare totemicamente. Anche la loro dimensione animistica (tutto è animato, tutto è vivente e quindi divino) si presentava a doppia faccia. Da una parte vivevano in una dimensione armoniosa, mirabilmente colta nei loro sguardi intensi e sognanti, come di eterni adolescenti persi nell’infinito ( aspetto riproposto nei quadri di Gaugin o nei film di Pasolini, nei suoi personaggi “primitivi”, come segno di verginità morale e mentale, al di la del bene e del male). D’altra parte invece vivevano in un mondo magico paranoico alquanto terrificante, un mondo dominato a vario titolo da potenze ostili, in primis quella dei defunti morti malamente. Parlando di positività del mito sarà comunque difficile e improprio generalizzare; più opportuno rifarsi a situazioni specifiche. Noi comunque faremo riferimento soprattutto al popolo degli Yanomami ( Amazzonia).

Osservando questo popolo si notano, tutte assieme, molte caratteristiche positive che magari sono appannaggio anche di altri popoli, ma non espresse in una sintesi altrettanto mirabile. Pertanto possiamo indicare come tratti da riprendere anche nel mondo moderno, i seguenti aspetti:

– il rapporto organico con una natura in cui sono totalmente immersi in modo armonioso. Noi non ci salveremo solo concretamente, facendo rifiorire la natura (che stiamo distruggendo), ma anche ritrovando e ripristinando una nuova unità e comunione spirituale. Si tratta di valori che vanno ben al di la del semplice dato materiale.

l’auto adorazione di se stessi come comunità; ossia la loro stessa identità tribale era legata a un fortissimo senso comunitario e di collante sociale. Quando moriva uno di loro si disperavano e piangevano a lungo. Addirittura cuocevano e mangiavano le sue ceneri, dopo averle trattate in modo particolare. Noi invece viviamo completamente scollegati in forme di atomismo individuale anonime ed esasperate, oppure dentro a collanti sociali falsi e artificiali. Questi sembrano prevedere, dentro a una infinita decadenza, la loro stessa estinzione (una vera catastrofe per i giovani, i quali avrebbero sempre bisogno di avere un futuro certo, dentro un coro positivo e progressivo).

– proseguendo il nostro discorso abbiamo capito che la positività del mito è legato al concetto di totalità organica. Era in questo modo che concepivano la natura e la loro società. In un certo senso tutta la loro vita era basata su queste due dimensioni che si replicavano a vicenda. Uno dei concetti più affascinanti consiste in questo: in realtà non vivevano per lavorare (come facciamo noi) ma lavoravano per vivere. In poche parole ogni volta che avevano accumulate sufficienti riserve alimentari per considerarsi al sicuro, davano sfogo a una incredibile e lunghissima quantità di feste. Nel corso di queste feste, in modo tanto ludico che sacrale, realizzavano e gratificavano tutti gli aspetti della personalità umana. Vale a dire l’arte, lo sport, il sesso, la religiosità. Queste manifestazioni avevano anche la duplice caratteristica di rappresentare riti di iniziazione e la possibilità di rovesciare i ruoli: per esempio anche le donne potevano fare la lotta tra di loro. E’ inutile dire che da noi tutte queste attività sono separate, hanno un carattere specialistico e un riferimento comunitario molto labile o frainteso. In particolare nelle nostre società sono spariti quasi del tutto i riti di iniziazione, segno evidente di uno sfasamento sociale non solo tra le classi, ma tra le stesse generazioni.

– infine la stessa sessualità veniva vissuta e appagata in modo molto più naturale e profondo che da noi. La nostra sessualità è sempre oscillante tra il ritorno della vecchia repressione e senso di colpa da una parte, dall’altra alla rincorsa verso una falsa libertà sfrenata e sostanzialmente autodistruttiva. Questa volta possiamo fare l’esempio degli indiani Irochesi (nord America). Presso questo popolo possiamo riscontrare:

-matrimoni in coppia a sfondo specificatamente sacrale

-famiglie allargate

– veri e propri harem tanto maschili che femminili (gestiti da donne di rango molto alto) -naturalmente il libero amore tra etero e gai.

– orge sacrali

Insomma erano veramente contemplate in modo non discriminatorio tutte le possibilità sessuali!

NEGATIVITA’ DEL MITO.

Vediamo ora la pars destruens.

Prima di tutto il giudizio negativo globale è dovuto al fatto di vivere dentro a rappresentazioni magiche parossistiche e completamente sfalsate rispetto alla realtà. In effetti il mito ci presenta rappresentazioni artificiali e fantastiche , in parte o del tutto sostitutive della realtà: a volte con una evasione ludica innocente, altre volte in modo delirante fino all’orrido vero e proprio (visto con i nostri occhi…). Quello che impressiona di più (e che ritroviamo pari pari nel mito moderno) consiste nell’adesione fideistica-feticistica, nell’aspetto emotivo, coattivo e coercitivo, proveniente direttamente dalle rappresentazioni e dagli archetipi dall’inconscio.

secondariamente questa auto adorazione ha anche favorito in tutto e per tutto l’etnocentrismo, ossia il considerarsi una popolazione privilegiata. Addirittura molti popoli primitivi si consideravano l’unica popolazione veramente amata e protetta dagli dei: le parole Sioux oppure Inuit significano più o meno , noi che siamo gli unici veri uomini. Tutto questo nei passaggi fatidici e cruciali dal cacciatore al pastore e poi al soldato, avrà effetti sanguinari catastrofici. Li avrà soprattutto nel mondo moderno quando l’auto adorazione magica della comunità e dei suoi capi darà il suo frutto più pernicioso: le masse che, adorando se stesse, divinizzano i loro leader con spirito di sottomissione totale. Questo ripropone quanto sia facile, latente, e soprattutto pericoloso, il revival di un pensiero mitico magico sempre presente nell’inconscio delle masse (e di chi volesse approfittarne). E’ anche un modo di dire e ribadire, ancora una volta, che siamo ancora immersi nel mito, sia quello più arcaico che quello più moderno.

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Coloro che rivalutano il mito denotano questo fenomeno come un qualche cosa che se è accaduto, questo è successo effettivamente in base a una necessità e imprescindibilità ineludibile. Evidentemente questo riguarda un contesto e una dimensione che non poteva non avere che quelle caratteristiche : pertanto visto secondo questa visuale o si rifiuta tutto o si accetta tutto. In un certo senso sarebbe come criticare il mondo dell’infanzia e non cogliere che esso ha, visto dal suo interno, una valenza assoluta. In questo senso confrontarlo negativamente col mondo degli adulti sarebbe veramente una cosa assurda e pericolosa. Del resto dentro a questa concezione ci sta una perfetta sintonia con il mito delle origini, cioè il mito più mito che ci sia. Questo considera il momento iniziale assolutamente decisivo per ogni tipo di processo: è l’idea appunto che il momento zero da cui parte un percorso, sia qualcosa di assoluto e cruciale. Anche Aristotele pensava che la prima causa, quella più lontana, avesse un importante carattere fondativo. Tuttavia questo riferimento al passato esprimeva e fomentava anche una entelechia, ossia una energia che andava oltre, per realizzare una finalità ultima. Se questa non si completava, veniva meno la razionalità di tutto il processo. Anche Freud la pensava così, ossia i primi mesi e i primi anni della nostra vita sono assolutamente decisivi. Tuttavia non si fermava lì. Indicava, proprio nelle deviazioni interni a quei momenti, anche degli ostacoli originari da superare nel corso di una corretta evoluzione. Lo stesso cristianesimo ci dice provocatoriamente, che dobbiamo restare anche dei bambini; ma non solo dei bambini evidentemente, indicando anche la strada di una serietà e di un sacrificio che non può essere più quello degli infanti. Tuttavia a proposito di nevrosi e infantilismo Freud ci ricorda la che la più grande contraddizione delle religioni è proprio quella di uscire dal mito restandoci fondamentalmente dentro (insomma di restare bambini questa volta in senso negativo). Il problema dunque consiste proprio nella crescita successiva: non possiamo bloccare il processo evolutivo restando al mito delle origini. Perciò anche se la dimensione infantile, vista dall’interno ha un valore assoluto, poi confrontata con la sua evoluzione successiva, acquista una valenza critica discriminatoria. Evidentemente non possiamo restare bambini e non possiamo restare primitivi: la palisse. Se non altro perché semplicemente non possiamo spostare l’orologio della storia e della vita. Lo stesso discorso vale per il mito ( e per tutta la cultura primitiva). Per capire come eravamo dobbiamo valorizzarlo così com’è; ma la sua nostalgia retrodatata rispetto a filosofia e scienza ( pur con i loro limiti e crimini) è pura follia. La delusione che i loro aspetti negativi hanno provocato, non deve farci ritornare presso gli sciamani come è accaduto a molti ; anche perché, non dimentichiamolo mai, proprio Hitler è stato il più grande sciamano della storia.

Ora quelli che esprimono un giudizio ( secondo noi astorico) sostanzialmente favorevole, hanno queste posizioni:

-esprimono una valenza assoluta del mito come espressione artistica, la quale coglierebbe aspetti decisivi dell’animo umano al di la dei condizionamenti epocali. Anche noi accettiamo la dimensione visionaria dell’arte, oggi come oggi, dandole la più grande importanza sia come testimone della profondità del suo tempo ( il suo dolore, il suo mistero) ma soprattutto come anelito al cambiamento. Se l’arte oggi è in grave crisi questo accade per molti motivi , ma soprattutto per il venire meno della sua dimensione utopistica di fronte allo straripante dominio economico e tecnologico del potere. L’unica speranza vera dell’umanità, sta nell’urto intelligente e programmato di grandi masse, in alleanza con una nuova scienza, finalmente eticamente positiva e modificata nel metodo. Altrimenti soffermarsi nel mito moderno, o peggio rivivere quello arcaico, ci sembra ancora una volta pericoloso e fuorviante: ci sarà sempre una gratificazione estetica, che però lascerà sempre il tempo che prova. Non è né con l’arte né con la ripresa del mito che si salvano i destini dell’umanità ma solo con una nuova scienza riformata, una nuova economia, una democrazia più giusta e allargata. Ossia evidentemente con la dura conquista di una nuova forma di razionalità.

– Un altro aspetto è dato da chi pensa che Dio esista veramente in una qualche forma e che il mito non sia altro che la prima manifestazione e rivelazione del sacro. In questo senso il mito non è altro che il primo gradino della storia della religione, dando però per scontato che dio esita veramente e che il primo contatto col sacro sia accaduto nella forma del mito. Ma per chi non ci crede e resta ancorato per quanto possibile, a una dimensione scientifica, il sacro dentro al mito è solo una importante manifestazione della cultura umana. Nel primo caso si sottrae devotamente a importanti aspetti della critica ; nel secondo invece, in senso laico, li prevede tutti spietatamente come è giusto e doveroso che sia.

– C’è chi pensa che tutti i popoli siano uguali e quindi questo vale anche per le loro culture. In questo senso ogni cultura vale per se stessa e non può essere confrontata in modo pregiudizievole con le altre. Anche noi per esempio pensiamo la stessa cosa dei bambini ; ma solo finché restano bambini. In seguito nella realtà sociale, che piaccia o no, esiste un principio di realtà, un principio di prestazione , una esigenza e necessità competitiva ineludibile. Chi restasse nel mito arcaico, mangiando i cadaveri, o nel mito dei bambini, mangiando la cacca, verrebbe considerato psicopatico o schizofrenico. Allo stesso titolo ben pochi, in nome della parità e uguaglianza tra i popoli, prenderebbero il paracadute per andare nella foresta e farsi curare dallo sciamano. Preferirebbero altresì andare nella farmacia sotto casa, la quale, nonostante difetti e controindicazioni varie, resta un punto di riferimento imprescindibile. Dentro a questa mentalità c’è un forte messianesimo utopistico cristiano, che poi ha assunto una improbabile veste scientifica antropologica. Questa è valsa a difendere la globalizzazione a spada tratta e con essa il trasferimento e il mescolamento di tutti i popoli e di tutte le culture. Dimenticando che le differenze sono integrabili ma solo fino a un certo punto; altrimenti che differenze sarebbero? Per questa gente le differenze sono solo degli arricchimenti, dimenticando che ciò che danno con una mano, con l’altra lo tolgono. Nello sport le differenze impongono delle classifiche e delle graduatorie; a scuola dei voti. Nella società non sarebbe giusto farlo, nel senso che come persone siamo tutti uguali e degni dello stesso rispetto e opportunità. Tuttavia il principio di prestazione e di meritocrazia (su cui si basa la nostra civiltà) torna a imporre una gradazione dove non c’è più posto per le forme più gravi del mito : per esempio la discriminazione dura della donna fino, nei casi gravissimi, alla stessa infibulazione. Ora sarebbe veramente assurdo che mentre lentamente sparisce la discriminazione moderna , noi tornassimo ad accettare quella antica. Eppure questo è successo e succede proprio a causa di un fatale fraintendimento, di una sopravvalutazione sul reale valore delle culture mitiche e tradizionali.

Infine ci troviamo alla considerazione più subdola e più grave di tutte: quella che ci mette per davvero in grossa difficoltà. Come sappiamo Rousseau considerava la civiltà quasi completamente negativa e un regresso piuttosto che progresso. Ora se il disastro atomico fosse esploso ( e siamo andati a un pelo che ciò accadesse per davvero) in effetti la posizione di chi avrebbe preferito restare nella mitica capanna a quattro zampe, avrebbe avuto una ben terribile giustificazione. La stessa considerazione rischierebbe di imporsi, se nei prossimi decenni, il disastro della natura facesse naufragare questa nostra balorda civiltà. In questo caso forse sarebbe stato meglio restare nella fase sacrale di adorazione della natura: accontentarsi di quelle condizioni di vita e non arrischiare di giocare a poker, perdendo tutto, nei confronti di una scienza e di una società capitalista malate di autodistruzione. Tuttavia è anche vero che del senno di poi son piene le fosse. Inoltre si potrebbe obiettare che comunque lo sviluppo capitalista ha garantito a milioni e milioni di persone, condizioni di vita straordinarie (finché è durato). Dopo di che il diluvio. In realtà questa terribile scommessa sul nostro futuro è ancora in gioco anche se non è affatto un gioco. In tutti i casi la nostra salvezza non dipenderà dal ripristinare una improbabile mentalità mitica, ma bensì dal rinnovato matrimonio della scienza critica (rifondata eticamente e metodologicamente) e dalla filosofia critica, capace di ripristinare un senso di razionalità positiva, in un mondo che sta perdendo ogni speranza di reale cambiamento. In fondo la gente scappa e fugge dappertutto perché ha perso ogni speranza: è il capitalismo che ha ucciso quella speranza; ma è quello stesso capitalismo che ha interesse a trasbordare biblicamente popoli interi.

Siamo arrivati alla conclusione o quasi di questa parte introduttiva. Conclusione che ratifica una volta per tutte un giudizio molto negativo. Infatti questa negatività coinvolge sia il mito antico che quello moderno, ma soprattutto fa capire che siamo malauguratamente immersi in entrambi e probabilmente non ne usciremo mai, se non al prezzo di un percorso molto lungo e doloroso. Mentre siamo risucchiati dai miti antichi (archetipi) ne creiamo continuamente di moderni. Anzi se le cose dovessero mettersi molto male, questo accadrà sempre sotto forma di reviviscenza del mito. Possiamo distinguere il discorso in forma e contenuto:

– la forma: abbiamo già detto che il mito, il primo discorso e resoconto sugli dei, si presentava in quanto tale esso stesso divino. All’interno di questa divinizzazione si costituiva come una verità sacrale e quindi assoluta che non poteva essere contraddetta ( in realtà lo facevano, ma non se ne accorgevano…).Questo significa che si esprimeva attraverso una simbologia di per se feticisticamente autoreferenziale ed evidente: era un fantasma immaginario, ma nello stesso tempo, era più vero del vero richiedendo una adesione (aspetto ancora più grave) emotiva totale. Entrambi questi fattori escludevano qualsiasi possibilità di critica e richiedevano un coinvolgimento totale sia mentale che volontaristico. E’ evidente che questa dimensione, simbolicamente e tradizionalmente blindata, escludendo insieme sia un esercizio critico che un confronto effettivo con la realtà concreta, impediva qualsiasi possibilità di vera evoluzione della conoscenza. La quale infatti incomincerà solo con lo sfondamento di questa blindatura tradizionale, permettendo il sorgere della critica e della conoscenza in quanto tale. Solo nel passaggio dal mito alla filosofia, avvenuto in Grecia per la prima volta, questi fattori diventeranno finalmente protagonisti decisivi. Al contrario, qualsiasi contenuto venisse inserito e veicolato da archetipi e simboli mitici , anche il più assurdo, il più tragico e terribile, questo diventava la vera realtà e l’imperativo categorico per quei popoli.

– i contenuti: nelle mitologie e nei riti di molti popoli troviamo situazioni terrificanti e mentalmente assurde. Pensiamo agli Atzechi ( ma anche a tutte le popolazioni limitrofe). Gli Spagnoli (altro popolo estremamente violento e sanguinario dentro al mito cristiano) hanno lasciato testimonianze incontrovertibili: migliaia di teste mozzate fatte rotolare per le scalinate dei sacri palazzi; di cuori strappati dal petto di prigionieri ancora vivi; di vasche ricolme di sangue. Da parte loro gli Spagnoli avevano inventato un modo di cuocere a fuoco lento queste popolazioni tra indicibili tormenti. Dicevano che lo facevano come anticipazione dell’inferno a motivo dei loro orribili comportamenti “primitivi”. Andava meglio quando in cima alle Ande, si lasciavano morire di freddo decine di giovanissime vittime sacrificali. Abbiamo detto che gli Yanomami mangiavano le ceneri dei defunti opportunamente decotte; ma nella Papuasia mangiavano direttamente il cervello putrefatto dei morti con terribili conseguenze igieniche ( la famosa malattia del riso). I Maori si massacravano tra di loro per vendere le (loro) teste mozze e imbalsamate agli Inglesi. Gli abitanti delle isole di Pasqua distrussero la loro comunità inseguendo a tutti i costi un mito: costruivano, utilizzando grandi quantità di legno, delle enormi statue votive, così numerose, fino a distruggere tutta la vegetazione e a morir di fame. Del resto chi meglio delle donne può rendere conto della cultura mitica patriarcale, quella cultura che ha tormentato e mutilato per secoli il loro corpo? In epoca moderna e recentissima, la esplosione e rivisitazione del mito etnocentrico esasperato della razza eletta tedesca, ha comportato lo stesso tipo di massacri (veri e propri riti magici sacrificali). Il mito moderno ha aggiunto la organizzazione moderna e industriale della morte. La tecnica era moderna; ma il nucleo simbolico ed emotivo era antichissimo.

Ora è evidente che il mito è in realtà sopravvissuto in senso trasformista, alla sua fase arcaica, anche sotto altre forme molto meno ingenue e assai sofisticate. Religione, metafisica, da ultimo la stessa scienza positivista e la ideologia in senso moderno, hanno la pretesa di corrispondere perfettamente, o quasi, con la realtà, mentre segretamente, restano legate al vecchio cliché di spacciare un mondo fantastico per la medesima. Continuano a presentare la loro visione virtuale, particolare e deformata, come se fosse la realtà indiscutibile. Questo accade non solo perché i simboli e più tardi gli stessi pseudo-concetti ( entrambi puramente mentali) vengono scambiati per i veri contenuti della realtà, ma per la adesione e il coinvolgimento emotivo totale che tutto questo comportava. Questo era dovuto alla sua divinizzazione arcaica (che sopravvive nelle religioni) e in seguito, per quanto riguarda la filosofia, alla sua assolutizzazione argomentativa su di un piano esclusivamente logico. Si capisce facilmente che questo schema lo ritroviamo come un filone sotterraneo (il sapere magico virtuale autoreferenziale) che ha attraversato (e contaminato) in modo ambiguo e ambivalente, ora positivo ora negativo, tutta la storia della cultura. Tuttavia la corsa della cultura si è sempre inceppata, quando si è presentata in una forma assolutizzata indebitamente e miticamente. Ora dato che la nostra visione del mondo non sarà mai completamente corrispondente alla realtà, essa sarà sempre relativamente sognante. Sarà sempre una specie di dormiveglia tra fantasma e realtà, mondo razionale e irrazionale. Il problema è di quanto questa dimensione si avvicina alla realtà ( risolvibile solo per via di verificazione) o al contrario si allontana, cullandosi in una mera rappresentazione virtuale (o simbolica o concettuale). Sicuramente questo ha a che fare (come ben dimostrò Hegel nella Fenomenologia) col fatto imprescindibile, che noi non possiamo non difendere a spada tratta il nostro stesso pensiero. Abbiamo bisogno di identificarci profondamente con esso, quindi considerandolo più importante della nostra stessa vita.Nello stesso tempo lo investiamo di una tensione emotiva totale e quindi di una volontà di potenza predisposta a spazzare via chiunque osi contraddirla o resisterle. Ma questo fa sempre parte di un pensiero magico onnipotente e infantile. Nello stesso tempo ci predisponiamo ad abbandonarlo inevitabilmente, ma con grande sofferenza, ogni qual volta siamo spinti dalla dura verifica della realtà, a svelare e perdere il suo aspetto illusorio e mitologico. Questo persistenza tenacissima di un mondo virtuale autoreferenziale, lo facevano i primitivi e lo facciamo anche noi oggi quando restiamo tali. Ancora una volta potremmo definire questo processo in senso moderno, ideologia: come dire il mito è stato la prima ideologia, l’ideologia non è altro che il mito moderno. Proprio per questo molte specifiche ideologie totalitarie politiche e partitiche sono sparite dopo aver fatto grandi disastri; ma non del tutto visto che, a quanto pare, sopravvivono ancora in modo trasformistico in Russia e in Cina ecc. Stiamo ancora parlando della maggioranza della umanità. Del resto la stessa fiducia incondizionata nel capitalismo resta del tutto mitica e fideistica: il più grande e devastante mito del mondo moderno è proprio quello del progresso industriale inarrestabile e infinito. Per non parlare della stessa globalizzazione con la idea fissa che la fine degli stati e delle patrie sia una cosa positiva da festeggiare mentre è solo una terribile tragedia. La festa c’è solo dal punto di vista del mercato globale omnipervasivo e incontrollato. Si parla tanto di dibattito intereligioso come se da questo dipendesse la salvezza del mondo; è solo un dibattito intramitico e detto questo detto tutto. Del resto alla prova dei fatti tutti vedono (o fanno finta di non vedere) che protestanti americani, ebrei ortodossi, islamici estremisti, continuano indefessamente a buttare benzina e non acqua sul fuoco dei loro eterni conflitti.

Tuttavia questo discorso non sembra ancora convincere del tutto. Messa in questi termini sembrerebbe che la sopravvivenza del mito dipendesse dal persistere di una fragilità e immaturità cognitiva ed psichica. Sicuramente è anche così, ma il discorso in realtà è ben più grave e più profondo. Com’è possibile infatti che noi siamo in preda del mito sia antico che moderno e soprattutto in un modo così strutturale e perentorio? Infatti è come se, ancora oggi, fossimo prigionieri dentro a una caverna, in modo così grave da escludere una fuoriuscita: resta solo la speranza e la scommessa in una evoluzione improbabile, comunque lentissima e contraddittoria. Purtroppo le contraddizioni corrono e non aspettano i drammatici ritardi pedagogici dell’umanità. La caverna è il nostro inconscio singolo e collettivo: da questi fattori dipende tutta la produzione dei nostri elementi mentali e psichici, tutti i nostri comportamenti e la nostra cultura. Basterebbe Freud nel rimarcare il dominio dell’inconscio (soprattutto nei confronti di masse culturalmente del tutto indifese) come una forza clandestina che, non saputa, determina la nostra volontà , per mettere in risalto la drammaticità del problema. Un suo allievo, Jung ha aggravato e precisato la questione. Nell’inconscio mitico più arcaico si sono depositati e strutturati dei comportamenti traumatici negativi (archetipi) i quali sopravvivono (per trasmissione filogenetica), nella memoria più segreta del nostro inconscio attuale. Pertanto sono sempre pronti a riesplodere sia nella parte individuale che in quella collettiva, con risultati molto negativi e nefasti. Tuttavia un conto è la follia o il suicidio di un singolo, un conto è la follia archetipa dell’intero popolo tedesco, pronto a immolare se stesso, ma anche l’umanità intera, seguendo ciecamente la presunta onnipotenza del suo re mago. Dunque noi siamo completamente immersi nel nostro mito personale e in quello collettivo, non solo rivivendo situazione simboliche arcaiche, ma aggiungendo a esse l’innovazione, per così dire ideologica, dei miti moderni. Oltre a questo dobbiamo aggiungere un’altra considerazione che ci deriva indirettamente dalla lettura di Platone. Il grande filosofo per primo aveva parlato di caverna come la tenebrosa prigione mentale ( idee decettive: false, malvagie destinate a peggiorare) di quelle apparenze e falsità a cui crediamo superstiziosamente e ciecamente. E’ la famosa eikasia, ma è appunto il mondo del mito e di tutte le rappresentazioni fantastiche che non corrispondendo alla realtà. Queste hanno solo un valore tanto virtuale quanto nefasto. Ma per quale motivo queste rappresentazioni sono così decisive, così persistenti e difficili da essere abbandonate ( quando succede è comunque un dramma a volte dolorosissimo)? Platone non lo dice esplicitamente, ma si capisce lo stesso: perché queste ci sono fornite quando si forma originariamente la trasmissione della cultura, ossia dalla famiglia e dalla società. In questo modo è ben difficile sfuggire alla forza coinvolgente e imitativa di questi modelli , sia perché derivati in modo ipnotico dai genitori sia perché trasportati e uniformati da uno irresistibile spirito di gregge. Questa umanità originariamente plagiata nella propria formazione originaria, dal proprio inconscio, dalla famiglia, dalla società, in seguito si illude di essere coscienza cosciente, rischiando invece di restare per sempre mitica e infantile. Sembrerebbe che pochissimi riescano a sfuggire e emendarsi da questa terribile pressione ideologica originaria:quei pochi che ci riescono sarebbero i veri filosofi, soprattutto se rientrano nella caverna per aprire gli occhi a tutti gli altri. Questo è il destino di tutti coloro che vogliono veramente cambiare e fare maturare l’umanità contro tutti i mostri ideologici chela perseguitano. Questo destino si chiama illuminismo.

Dunque noi siamo sempre dentro alla narrazione di un mito antico e moderno. È per questo che il mondo è così irrazionale , dominato dalla falsità e dalla violenza, cioè da parvenze illusorie. Queste lottano incessantemente tra di loro, aggravando se possibile miticamente, il loro coefficiente di falsità e di violenza (Schopenhauer). Tuttavia anche nel mondo moderno la irrazionalità, il mito non sono sempre così negativi. Esiste infatti anche una dimensione visionaria fantastica con una forte valenza positiva, nell’arte, nello sport, nella politica, nella stessa scienza. L‘ipotesi finché non viene verificata ha una dimensione visionaria fantastica, ma questa resta fondamentale e necessaria nella elaborazione di nuove teorie. Dunque persino la scienza ha strutturalmente una forte dimensione mitica e visionaria. L’ha avuta fortissima in negativo, nel suo recente passato positivista, quando pensava di essere la nuova religione dell’umanità con valore assoluto. Cel’ha anche quando, osservando nel suo passato le macerie di tutto ciò che è stato abbandonato, contempla la sua discarica mitica di errori e illusioni. C’è l’ha rivolta al futuro fino a quando non troverà il concreto responso della verifica. Soprattutto riuscirà a evitare la sua mitizzazione respingendo la ricorrente tentazione della sua assolutizzazione narcisistica. Tuttavia è evidente che il suo passato mitico (ma questo vale per tutte le forme di sapere) avrà sempre anche un aspetto positivo importantissimo: il superamento dell’errore verso la infinita rincorsa a una verità sempre incompleta e processualmente aperta. Dunque non possiamo rifiutare la nostra componente inconscia, mitica e irrazionale così forte: sarebbe come buttare via il bambino con l’acqua sporca. Tuttavia non possiamo nemmeno continuare a trangugiare, come se nulla fudesse, le nostre deiezioni mentali mitiche e ideologiche, comprese quelle più subdole e accattivanti.

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