PARTE PRIMA
LE ORIGINI PIU’ ARCAICHE DELLA SOVRASTRUTTURA
(LINGUAGGIO,COSCIENZA, SIMBOLO, ARTE, MITO, RELIGIONE)
In generale appena i primi suoni ebbero il significato intenzionale di riferirsi, sostituire e delimitare altri fenomeni esterni, come oggetti, animali, eventi e persino relazioni sociali, ecco che li nacque il simbolo, ovvero all’inizio la connessione parola cosa, in seguito immagine cosa. Bisogna subito dire che in molti popoli primitivi (es tribù di pellerossa) la nascita del linguaggio è stata subito accompagnata da un codice gestuale simile ed antesignano del linguaggio attuale dei sordomuti. Questo è accaduto per tre motivi:
-prima di tutto per la ben nota gestualità delle scimmie antropomorfe
– secondariamente perché il gesto accompagnava in modo esplicito ed enfatico gli stati d’animo allora più diffusi: vale a dire, la paura, il desiderio, il riconoscimento della gerarchia.
– infine perché l’attività allora la più importante, ossia la caccia, doveva essere praticata evidentemente nel silenzio più assoluto, accompagnata solo da gesti inequivocabili.
In tutti i casi il rapporto e collegamento tra suono, gesto e mondo esterno ha favorito la simbolizzazione indirizzando e specificando il suono non solo verso la cosa, ma verso l’azione. Non solo perché il gesto era già di per se tanto un simbolo che un’azione, ma perché appunto indicava, insieme al suono correlato, anche un certo tipo di attività. Infine non dimentichiamo un altro aspetto per così dire incredibile e paradossale: per l’uomo primitivo, in base alla sua concezione del mondo magica e animistica, le cose come le pensiamo noi non esistevano. Non esistevano oggetti morti, tutto era pieno di vita e quindi in realtà non esprimeva qualcosa di fermo e di inerte ma un qualcosa di sempre attivo. Questo ci serve anche per dire come il passaggio dalla cosa al verbo vero e proprio, sia stato meno difficoltoso e problematico di quanto non si ossa pensare. E’ evidente che l’uomo primitivo non ha avuto più bisogno di accompagnarsi ai gesti man mano che la stessa dimensione fonetica si è evoluta diventando sempre più complessa e articolata. Certo dapprima anche la forza del suono in quanto tale aveva la sua importanza, indicando attraverso la gradazione e modulazione, la tipologia e vicinanza o la lontananza di un pericolo. Ovviamente col tempo si sono diffusi i suoni più facili e gradevoli per indicare le presenze più importanti e positive. Soprattutto, per rimarcarne ancora di più l’importanza, si sono raddoppiati: ecco il fatto per cui in quasi tutte le lingue (indoeuropee oppure no) il padre e la madre si dicono ma-ma e pa-pa. Questo fenomeno del raddoppiamento lo troviamo soprattutto nelle lingue africane, rispetto alle quali possiamo notare anche un’altra importante osservazione. Effettivamente hanno una base onomatopeutica a riprova del fatto che l’uomo primitivo ha sicuramente imitato un certo numero di suoni della natura; non solo, successivamente li ha poi clonati nel suono del tamburo che è stato il primo telefono a distanza. Ecco perché molte lingue africane presentano sia il raddoppiamento e il tambureggiamento così tipici del loro criterio di oralità e musicalità. Sicuramente la separazione di suono e gesto è stato uno dei fattori che hanno favorito la nascita e la evoluzione della danza in quanto il gesto ha trovato una sua autonomia non più inteso come semplice completamento fonetico. Adesso vediamo come sia nato per primo il nome comune rispetto a quello proprio: infatti il principio di individualità non era ancora diffuso (lo sarà proprio con la fase successiva del nome proprio), inoltre la vicinanza dei parenti era così forte da escludere la necessità di individuarli; quando lo sarà anche col nome proprio nasceranno anche i rapporti tribali e parentali veri e propri.
– se tutto aveva un suo nome comune specifico assistiamo a una enorme proliferazione soggettiva di suoni e parole. Inoltre poiché tutto era considerato divino in senso animistico, alla proliferazione dei suoni-parola ha corrisposto la proliferazione dei nomi delle divinità, soprattutto in riferimento ai principali fenomeni della natura. Da questo punto di vista ecco perché in seguito passando ai nomi propri degli dei questi (sostituendo i vecchi nomi comuni) facevano riferimento a:
– luoghi particolari
– animali particolari (Minerva la civetta); qui vediamo che il nome proprio sostituisce i vecchi riferimenti totemici. E’ stato questo che ha favorito (attraverso un lunghissimo passaggio di selezione collettiva di tipo eufonico) la preferenza accordata a certi suoni piuttosto che altri, considerati cacofonici o semplicemente rifiutati per chissà quali motivo convenzionale. L’utilizzo così sovrabbondante del nome comune è ciò che ha favorito la nascita del primo lessico e il primo dizionario di una lingua. A quell’epoca se un primitivo avesse sfogliato una margherita, ogni petalo lo avrebbe chiamato con un certo nome specifico ma sempre comune. Hegel e i romantici avrebbero detto che dalla selezione delle parole, dei suoni e dei significati, sarebbe anche nato lo spirito di un popolo, la sua psicologia e la sua visione del mondo. Possiamo citare due esempi classici. La parola luna in greco significava colei che da le misura (cioè i tempi del raccolto) in latino più semplicemente e concretamente colei che illumina la notte. Quando i nomi propri sono diventati di uso comune, di uso collettivo, allora è successo un avanzamento straordinario nell’utilizzo economico della lingua. In poche parole era nato (naturalmente a livello precategoriale, cioè inconscio) il concetto di universale.
Infatti il nome (aspetto ancora più marcato nei soprannomi) indicava in un colpo solo le caratteristiche fondamentali dell’individuo, quindi sintetizzandole, esprimeva un concetto universale più forte del nome comune. Il sacro bisonte dei Sioux restava pur nella sua eccezionalità divina, indifferenziato, se non per il semplice fatto di essere bianco. Anche il concetto di mana rappresentava tutto e niente, la stessa energia totale della natura capace di prendere qualsiasi forma. Il nome proprio ha segnato il passaggio dalla fase totemica a quella antropomorfica e quindi la nascita di una vera forma di religione più evoluta. Come già detto diede inizio a delle relazioni parentali complesse e conseguentemente a dei veri rapporti di proprietà privata. Si pensa che il primo nome proprio fosse quello sacro del re considerato dio. Questo aveva tutte le caratteristiche magiche del nome: solo per il fatto di pronunziarlo tutti si prosternavano come se il re fosse stato presente. I comandi del re sono stati la prima forma di super io; in famiglia funzionava per il semplice fatto che obbedivano al re.
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IL SIMBOLO
Ora è evidente che la parola non è altro che un simbolo fonetico che sostituisce il significato di un’altra cosa. Pertanto dire potere della parola e potere del simbolo significa dire la stessa cosa: con l’aggiunta che nel mondo mitico tutto questo assumeva significati magici importantissimi.
Nello stesso tempo ha mantenuto la sua autonomia originaria di esclusivo prodotto mentale. Infatti poiché questo è avvenuto in ambito magico animistico in cui tutto assume vita, il simbolo ha comportato ben presto una importanza straordinaria che andava ben oltre un certo collegamento utilitaristico con la realtà: in pratica finiva per sostituire e creare, diremo idealisticamente, la realtà stessa. A questo punto il simbolo si è presto sganciato dai condizionamenti iniziali (pratici, concreti) provocando una sua pregnante autonomia generativa che ha permesso uno straordinario sviluppo del linguaggio e della stessa intelligenza umana. Infatti che cos’è la magia ridotta nei suoi termini più essenziali, ma anche più significativi, se non lo scambio continuo cosa-simbolo a favore però del potere sacro ed vocativo di quest’ultimo? In questo modo il simbolo spesso ha perso il suo preciso riferimento esterno per diventare sempre di più fine a se stesso, per ricreare al mondo un’altra dimensione, appunto la dimensione originaria, mentale visionaria del primo ominide. Lo possiamo anche definire l’immaginifico puro (magico) in un ambito di intuizione pura (cioè di un processo esclusivamente mentale e spontaneo). Anche se era una specie di doppione sovrapposto al mondo reale, ha finito per essere l’unico, per coincidere con la stessa realtà. Ciononostante è importante ribadire che, tanto per fare un esempio, gli indigeni dell’Amazzonia, pur avendo una cultura assolutamente magica unidimensionale, nello stesso tempo avevano sviluppato, in sintonia simbiosi con la natura, una specie di enciclopedia pratica del sapere, riguardante tutti i temi di sopravvivenza nella stessa. Tutto questo per non farci dimenticare che la magia, nonostante la sua dimensione visionaria prevalente, ha sempre, almeno all’origine, un riferimento pratico e utilitaristico. E’ questo il suo zoccolo duro che manterrà sempre: gli uomini nel corso dei secoli non si sono dedicati alla magia per un piacere teorico e visionario, ma per trovare conforto e dominio sulle difficoltà della realtà. E’ stato nel corso e nello sviluppo del mito, che la funzione poetica artistica insieme quella a quella religiosa vera e propria, hanno portato lentamente a una simbologia visionaria autarchica e autoindotta a volte imponente (come nel caso della religione indiana). In questo caso il simbolo prende il sopravvento sulla realtà con esiti spesso assurdi e drammatici. In realtà si è creato un grande paradosso che poi è emerso in tutta la sua gravità con la filosofia idealistica. In essa il concetto fondamentale consiste nel fatto che l’uomo vive e produce simboli e pensieri in un regime di autarchia mentale assoluta: la sua mente produce tutto derivandolo esclusivamente da se stessa. Questo è in parte vero (solo n parte…) sia per quanto riguarda l’intuizione sia per quanto riguarda il concetto. Se le cose però risultassero così (diciamo subito che gli unici antidoti sono il dialogo collettivo e soprattutto il principio di verificazione) allora ne derivano due conseguenze una più assurda dell’altra: ossia il mondo esterno in quanto tale non esiste , esiste solo l’idea prodotta dal pensiero demiurgico di Dio che mette le sue idee nella nostra testa. (Berkeley). Oppure è proprio l’io che produce tutto in senso idealistico (Fichte) Ma se fosse veramente così perché il pensiero è un dio a metà, non è un Dio completo? Perché invece crea un mondo masochista con la morte, le cose finite, e infine, amante dell’autogol, lo stesso errore conoscitivo ecc? Fichte disse che lo fa apposta per auto-correggersi nel corso di una rincorsa infinita (questo sarebbe il suo più gran divertimento). Altro paradosso, in una versione diversa, consiste nel fatto che pur confermando la esistenza del mondo esterno, questo sarebbe inaccessibile a un soggetto idealistico che facesse tutto per conto suo (Schopenhauer). In questo modo si creerebbe un’altra situazione paradossale: il soggetto crea uno scenario fantasmatico da sovrapporre al mondo esterno che resta inconoscibile nella sua reale esistenzialità; ma se fosse così, se fruisse veramente di una specie di film totalmente auto-prodotto e inventato, come farebbe a vivere e ad evolversi, escludendo e occultando l’altro film, quello che si proietta, o meglio accade, veramente nella realtà? Quest’ultimo non è fatto di immagine idee inventate ma di cose reali. Senza contare che invece la scienza ha prodotto col principio di verificazione una vera effettualità basata sulla corrispondenza tra fattore mentale idealistico-ipotetico e controprova realistica. Non importa se questa effettualità è stata purtroppo assai negativa e distruttiva sul piano di una scienza positivista: ha sempre dimostrato di avere il potere reale sulle cose anche se in modo distruttivo. Un potere che deriva dalla corrispondenza teoria-fatto-verificazione. Il vero problema è di renderla salvifica correggendola conoscitivamente ed eticamente. La scienza ( e la filosofia critica) accetta in parte idealismo e realismo unificandoli e soprattutto correggendoli uno con l’altro, riportandoli al principio di verificazione. Pertanto la partogenesi idealistica del simbolo e del concetto sono entrambi figli una dell’altra: rappresentano la eterna sopravvivenza del pensiero mitico. La metafisica, il pensiero logico allo stato puro che pretende di sostituirsi alla realtà, non è altro che la ripresa della onnipotenza del pensiero magico.
IL RUOLO DELLA METAFISICA
Tuttavia non c’è dubbio che la metafisica ha avuto anche dei meriti enormi:
– ha rappresentato la linea di sviluppo del pensiero dalle origini fino ai giorni nostri. Ha cioè individuato gli elementi costitutivi del pensiero e della intelligenza umana, soprattutto indicando la loro funzionalità e le istruzioni per l’uso. Naturalmente non lo ha fatto con il principio di verificazione che avrebbe decretato il suo de profundis e la data di morte. A questo ci ha pensato la scienza ( la quale però, quando si è assolutizzata col positivismo, è ritornata ad essere metafisica per giunta “religiosa”)
– ha comunque dimostrato a prescindere dai suoi limiti ed errori, che il pensiero puro, esclusivamente teorico resta fondamentale e imprescindibile. Lo ritroviamo nelle formulazioni ipotetiche della scienza (finché non si verificano); nei progetti sociali; soprattutto lo ritroviamo nel pensiero critico, il quale indicando una negatività esistente, resta per forze di cose teorico (cioè puramente potenziale) sul piano del suo superamento ( che potrebbe anche non avvenire mai).
– infine ha collaborato (forse suo malgrado) allo stesso sviluppo della scienza, la quale senza i secoli di storia della filosofia precedenti, non sarebbe mai nata.
FUNZIONE NEGATIVA PAROSSISTICA DEL SIMBOLO MAGICO
Ma se la metafisica ha avuto anche dei meriti enormi, lo stesso non si può dire del pensiero magico animistico e della sua pseudo onnipotenza simbolica.
Facciamo degli esempi maggiormente legati alla mentalità arcaica più primitiva. Ci sono animali predisposti a cibarsi di cadaveri ed altri che se ne guardano bene; ma quando lo fa l’uomo, obbedendo a una associazione simbolica, la cosa può risultare particolarmente assurda e pericolosa. In questo senso il simbolo è veramente diventato una specie di dittatura impositiva del tutto irrazionale, quell’elemento che ha sostituito l’istinto in tutto e per per tutto favorendo un disordine (mentale) piuttosto che un nuovo ordine pratico funzionale. Dire che il simbolo è diventato progressivamente tutto, equivale a dire che il suo riferimento magico copriva la totalità del vissuto e del prodotto psichico del primitivo. Pertanto all’inizio aveva ancora una funzione soprattutto denotativa (anche se ovviamente non scientifica): doveva cioè indicare comunque una fenomeno e un obiettivo ben preciso. Infatti da essa poteva anche dipendere la vita e la morte dei partecipanti alla relazione fonetica e socio-comunicativa. In seguito, e questo è un paradosso, non ha più espresso solo il riferimento a paure o emozioni reali in presa diretta con la realtà, ma ha finito per potenziare tutto ciò enormemente, costruendo simboli sempre più fantastici. Infatti ha proiettato e amplificato la sua angoscia, ben oltre i limiti della sua originaria concretezza e naturalità per così dire sensoriale. Questo è avvenuto principalmente in direzione della “creazione” di una moltitudine di spiriti benigni ma soprattutto maligni, che finirono per popolare il suo nuovo universo animistico simbolico. Anche se questo è accaduto in riferimento proporzionale alle difficoltà del contesto naturale di radicamento, non c’è dubbio che tale situazione “ossessiva compulsiva” di una simbolizzazione negativa (che oggi definiremo di tipo psicotico o schizofrenico) costituisce il fattore principale che impedisce di vedere nel mondo del primitivo una esclusiva, fantastica e originaria età felice dell’oro. Tale età felice sarebbe dovuta appunto alla realizzazione di una straordinaria armonia (poi perduta per sempre) dell’ominide con la natura e con la tribù (anche con se stesso, per quanto possa apparire difficile in questo periodo, parlare di un “io personale”). Questa fantomatica armonia lo preserverebbe dalla famosa alienazione di tipo moderno che ci potrebbe far rimpiangere quella presunta età così invitante e seducente. Anche se molte tribù potevano effettivamente avvicinarsi a tale paradigma felice, in realtà a quei tempi solitamente, c’era tanta armonia quanto una dimensione patologica e ridondante di conflitti immaginari. Questi andavano ben oltre i conflitti reali, già così numerosi e drammatici. Ora quelli immaginari, proprio perché cooptati in una dimensione fantastica che di per se non ha più limiti, erano vissuti in modo ancora più forte di quelli reali: come può capitare appunto per il terrore di potenze soprannaturali (esclusivamente simboliche). Certo è un qui pro quo, in quanto inizialmente gli stessi animali feroci erano divinizzati. Insomma forse all’origine non ci poteva essere un distinguo tra il tipo di terrore suscitato da questi animali e quello provocato dagli spiriti. Tuttavia in seguito, quando la battaglia con la natura era ormai “vinta”, con una minor presenza di pericoli e aggressioni reali, il terrore e l’orrore prese forme e presenze ultra terrene amplificandosi a dismisura. Insomma questa dimensione di terrore paranoico incominciò a prendere il sopravvento e a mantenersi nei secoli a causa della immaturità psichica delle masse e soprattutto per i giochi di potere che sobillavano e aumentavano ad arte tale follia; come per esempio è evidente che accadde molti secoli dopo con il cristianesimo, attraverso la demonizzazione delle streghe, oppure trasformando gli ebrei in orribile capro espiatorio.
FUNZIONE POSITIVA DEL SIMBOLO (METAFORA E MAGIA)
Tuttavia il simbolo ha avuto anche un significato enorme, ha sviluppato il linguaggio e con esso la funzionalità del pensiero e della intelligenza. Pertanto il simbolo visto in positivo, o meglio la funzione simbolizzante connotativa (la significanza amplificata in tutte le direzioni), si è sviluppata insieme alla complessità del linguaggio, quando questo ha acquisito un significato decisamente metaforico. La metafora consiste nello determinare, spiegare e ampliare le caratteristiche di una cosa riconducendole o traslandole in un altra (come se...); la quale però si può aprire e collegare ad molti altri significati ancora, andando anche molto lontano dal riferimento originario. Nello stesso tempo arriva a evidenziarne persino le sfumature più impensabili e nascoste. Infatti è solo il simbolo-metafora che partorisce miracolosamente, diremo quasi per partogenesi, una “corrispondenza magica” di significati potenzialmente infiniti. Se la magia consiste nello sostituire le cose con le parole, che però ne assumono lo stesso potere evocativo realistico e magari anche di più (condizionando nel bene o nel male il corso degli eventi) allora si comprende bene come la magia fondi la sua presunta onnipotenza, proprio sulle connessioni di queste corrispondenze simboliche e linguistiche. Queste connessioni costituiscono le stesse articolazioni delle sue possibilità di intervento e manipolazione. Assistiamo così alla fioritura incessante di altri simboli e altre metafore, andando in tutte le direzioni dei significati più materiali ( cosali, strumentali e realistici), ma anche immaginifici ed emotivi che coprono e riempiono il vissuto e la interpretazione totale di quel particolare mondo. In questo modo acquisisce quella fondamentale caratteristica di proliferazione dei significati, di trascendenza inerente della capacità simbolica che potenzialmente va sempre oltre se stessa, con una profondità e ampiezza misteriosa e impressionante. E’ proprio per questa sua caratteristica trascendentale che alcuni ritengono sia stata la prima manifestazione, apparizione, appunto rivelazione del trascendente in quanto tale, ossia del divino. Dimenticando che ovviamente questo è stato ed è solo un linguaggio, un discorso sul divino e non il divino in se stesso che forse non esiste. Ma anche facendo finta che il divino esista veramente, questo si esprime sempre attraverso un linguaggio umano, cioè storicamente fondato (come genialmente fece capire Galileo per la prima volta). Non è insomma un vero trascendente in quanto tale, ma un trascendente-immanente, legato e condizionato dal linguaggio come mezzo e relativizzato dal contesto storico di radicamento. Questa ambiguità e discrepanza non era certo recepita dall’uomo primitivo che credeva totalmente e ciecamente nelle proprie visioni e soprattutto pensava che provenissero non da lui, ma da una dimensione ulteriore superiore-suprema. Questa totale accettazione fideistica è un fenomeno che arriva fino al medioevo ma che avrà una incredibile esplosione e un rigurgito anche nel mondo moderno. Stiamo parlando purtroppo del nazismo e comunque di tutte le forme ideologiche totalitarie: vale adire la fede ipnotica e totalmente acritica nella propria visione del mondo. Fattore che evidentemente da una grande forza, una sicurezza e un conforto a coloro che ne sono diventati succubi, rinunciando però completamente a ogni forma di libertà di pensiero e di critica razionale intellettuale. E’ proprio questa enorme caratteristica per così “critica” che determina la nascita della filosofia in Grecia e la conseguente fuoriuscita dal mito. Questo è stato un fenomeno straordinariamente complesso che ha prodotto fattori eccezionalmente positivi alla origine della nostra cultura. Stiamo parlando della secolarizzazione preilluminista: è iniziata con la crisi permanente progressiva delle prime forme di sacralità, quella dogmatica di tipo magico e successivamente anche di quella antropomorfica. L’esercizio sempre più coerente e sviluppato della critica, ci porta alla fine di tutti gli assoluti e al relativismo culturale,:l’accettazione del confronto scontro tra visioni del mondo diverse, intese come arricchimento e non come semplice sopraffazione. Tuttavia est modus in rebus. Non dimentichiamo che anche la integrazione se si trasforma a sua volta in un assoluto, se diventa illimitata e forzata è pure essa una forma di sopraffazione. La condanna e la esclusione di tutti gli assoluti comporta il coraggio di affrontare lo scontro senza esclusione di colpi sul piano dialettico e razionale; realizza la libertà di pensiero e soprattutto un utilizzo spregiudicato della stessa razionalità critica. Tutto questo ha prodotto continuamente nuove visioni del mondo (create dai filosofi) non più solo fantastiche. Soprattutto ha comportato, anche se purtroppo circoscritto al solo ambito filosofico, alla fine della invincibile ipnosi sacrale, emotiva e religiosa del simbolo mitico. Quest’ultima veniva finalmente sostituita dal concetto, ossia da una produzione mentale confrontata preventivamente e collettivamente, autofondata almeno secondo criteri formali logici ( quando lo sarà finalmente anche in base alla verifica sperimentale, allora nascerà la scienza). Siamo di fronte alla costruzione di una verità parziale e progressiva che in quanto tale ha abbandonato il sacro e la sua assolutezza. Non c’è più una verità assoluta miticamente derivata d’emblèe esclusivamente dalla misteriosa rivelazione del dio; fattore resuscitato da Heidegger, in cui un fantomatico essere decide del destino della sua stessa apparizione (o nascondimento) e rivelazione al di sopra dell’uomo: ecco la vera spiegazione della sua adesione al nazismo (come se glielo avesse suggerito l’essere e quindi fosse innocente)
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Infatti il tanto decantato aspetto trascendente religioso del simbolo sarebbe diretta espressione, se non proprio della divinità stessa, almeno del tentativo da parte dell’uomo di collegarsi con essa; ma come se questo tentativo fosse in qualche modo già testimonianza della esistenza della stessa. In realtà il simbolo, al di la dei suoi voli pindarici, resta legato al mezzo (il linguaggio) che a sua volta deriva dal meccanismo tipicamente associativo delle immagini tra di loro. Certo Jung ha individuato nella produzione di determinati simboli molto particolari, gli archetipi, una dimensione straordinariamente creativa, il cui significato sembrerebbe avvalorare questa origine e vocazione religiosa. Non solo, l’archetipo di Jung rappresenterebbe la vera dimensione originaria e fondamentale della personalità umana (inconscio collettivo), testimoniando al di la di Freud il suo grado di armonia o di malessere psichico e sociale. Difficile dire se l’archetipo deriva sempre dalla espansione di un processo metaforico o, come riteneva lo stesso Jung, da un inizio assoluto di creatività intuitiva, a questo punto evidentemente innata, visto che non ha niente di pregresso.
Personalmente trovo gli archetipi Junghiani estremamente deludenti nella formulazione che ne ha dato: sicuramente ne esistono molti altri che non ha preso in considerazione. Potrei farne un elenco soprattutto in chiave di elaborazione e interpretazione mitica. Derivano tutte da una immediatezza fisica e simbolica facilmente reperibile in ogni epoca.
– il soldato: identificazione maschile di soluzione di ogni problema con la violenza e la forza fisica
– la donna seduttrice che usa il proprio corpo, anche a pagamento, con lo stesso spirito della volontà di potenza del soldato: entrambi usano il potere del loro corpo in modo diverso per le caratteristiche diverse, ma con la stessa finalità: soggiogare gli altri. La donna ci aggiunge anche una sofisticata e spiccata capacità manipolatoria.
– maternage negativo: senza usare la sessualità ma solo il potere affettivo, sviluppa ugualmente una capacità manipolatoria simbiotica verso i figli e il partner
– maternage positivo: è l’esatto opposto, identificazione femminile con la produttività della vita, la sua accoglienza e la sua cura. Difficile dire fino a che punto è stato un destino biologico o una invenzione del patriarcato.
– la figura del devoto: una persona estremamente fragile che sposta in direzione religiosa l’adorazione infantile che ha avuto per i propri genitori.
– il trasformista opportunista: figura maschile o femminile, che in mancanza di attributi particolari del corpo, utilizza il linguaggio e la intelligenza per ottenere gli stessi scopi degli altri manipolatori.
– il mediatore: colui o colei che ritiene di risolvere sempre tutto con compromessi intelligenti; crolla quando sono in realtà perdenti.
– il ribelle positivo : figura maschile o femminile che si oppone a tutto quello che ha appreso e imparato da bambino: eroe, santo, rivoluzionario
– il ribelle negativo: bandito, criminale, eroe sanguinario ecc
– il sognatore: colui o colei che reagisce alla delusione del mondo reale inventandosene un altro
– il materialista: colui o colei che trova soddisfazione solo in cose terrene immediate.
Come si vede ciascuno potrebbe essere nato in partenza con queste caratteristiche, senza bisogno dei famosi traumi freudiani come spiegazione finale.
Tornando alla espansione metaforica ogni immagine è come un centro che può collegarsi e irradiarsi con tutte quelle che si concatenano, come un sistema di centri concentrici che può andare anche molto lontano dal significato originario iniziale. In questo modo il simbolo accosta e confronta anche dimensioni molto distanti dalla semplice realtà concreta, che di solito rappresenta il punto di partenza, fornendo infinite sfumature di di significato dilatandolo o addirittura inventandolo. E che cos’è l’arte se non la esplosione liberatoria e creativa di questo processo, arrivando a creare persino dimensioni immaginifiche altre e diverse dalla nostra realtà quotidiana. Tuttavia la vera origine e anche la intenzionalità finalistica di questo straordinario fenomeno fonetico visionario, dipendono dall’inconscio sia collettivo che singolo di coloro che attivavano questo tipo di comunicazione polisemica. Facciamo un esempio. Io ti dico hai gli occhi di una civetta. Il punto di partenza è ben concreto e parte dal mondo animale; ma questo può acquisire molti significati via via sempre più astratti:
– il più semplice è che hai un’ottima vista
— potrebbe indicare che hai delle caratteristiche predatorie particolari etc (colpisci all’improvviso dopo uno studio attento e silenzioso del contesto…). Restiamo sul concreto specificandolo.
– ma può anche significare che tu vedi cose che gli altri non vedono, indicando una intelligenza particolarmente profonda (astrazione)
– potrebbe indicare che sei una creatura notturna che vede e vive in modo inquietante anche la zona oscura e ombrosa della vita (significato specificatamente simbolico).
— come un uccello voli al di sopra delle cose senza farti notare e senza farti sorprendere da esse (fortemente simbolico)
– se sei una ragazza potrebbe indicare un complimento che forse non è veramente tale (giudizio di valore comportamentale ed estetico).
→ dopo di che all’interno di una operatività magica ti faccio mangiare una civetta (coraggio!) oppure accostare a delle penne e tu acquisterai qualcuna o tutte le caratteristiche della civetta in questione.
Ciascuno di quesi significati potrebbe collegarsi quasi per partogenesi con molti altri ettc.
Tutto questo per significare che cosa? Per ribadire che il mito (in generale l’arte e la religione) devono mantenere una forte dimensione intrinsecamente evocativa e misteriosa, proprio perché paradossalmente si accostano a realtà supreme: queste devono restare solo accennate, ma fondamentalmente pur sempre inaccessibili. Ecco perché la funzione mito-poietica si struttura e utilizza un linguaggio assai coinvolgente ma di per se sfuggente, non solo sul piano cognitivo, ma fondamentalmente emotivo. Pertanto il simbolo nel mondo antico non era solo una immagine o una specie di fumetto didattico, ma aveva una fortissima taratura emotiva di tipo religioso. Ora questo è necessario sul piano emotivo e fantastico ( ancora oggi, una componente se vogliano infantile, ma sempre importante della nostra personalità) ma resta non di meno molto pericoloso se diventa prevaricante, sostituendo e obliterando man mano il livello connotativo, ossia quello del vero confronto con la realtà (principio di verificazione incluso, anche al più semplice livello di esperienza concreta). Il fatto è che il mito ancora una volta, tra le sue molte caratteristiche così importanti per la storia della cultura e il destino dell’umanità, ne presenta due per così dire opposte, ma sempre molto pericolose se fraintese ed esagerate:
a) una l’abbiamo ribadita più volte consiste nel credere ed esaltare il mistero in quanto tale: tale per cui si richiede obbedienza e devozione proprio in base all‘enigma insolubile. b) l’altro, apparentemente del tutto opposto, celebra invece le caratteristiche positive e assolute del mito. In questo caso, molto più pericoloso, la concezione mitica affida ed esprime al suo fans sostenitore tutte le potenze, quindi principalmente sul piano di una presunta verità totale e indiscutibile. Prima la verità assoluta si nascondeva dietro il mistero inoppugnabile, adesso viene alla luce rivendicando una realtà miracolosa e soprannaturale come se fosse del tutto ovvia. Nel primo caso siamo di fronte a una specie di teologia negativa: annuncio il dio ma mi fermo subito lì lasciandolo vuoto di contenuti diretti. L’unica possibilità differita è quella di dire quello che non è, oppure di esprimere contenuti indiretti per analogia e somiglianza. Insomma credo anche di fronte al nulla, o meglio di fronte al velamento e alla sua conseguente inesprimibilità (è invisibile e quindi anche indicibile, non di meno esiste; qualcosa del genere lo ha fatto persino Heidegger). Nel secondo caso si impugna una verità totalizzante che invece non lascia più nulla di scoperto. Tuttavia è altrettanto vero che non dobbiamo criminalizzare la dimensione invisibile, come se questa fosse esclusivo appannaggio della caratteristica “decettiva” del mito; anche per la filosofia e la scienza critica ciò che non è direttamente visibile, oppure quello che non si sa ancora, resta a tutti gli effetti la parte più importante. Pertanto non bisogna fermarsi all’evidenza sensibile, scambiando la ricerca della verità semplicemente col visibile in quanto tale ( ecco il grande errore di Epicuro e di Cartesio). Tuttavia il pericolo opposto è assai più grave: nel primo caso avremo la controfigura di una realtà parziale e mutilata priva di profondità; ma nel secondo rischiamo di trovarci nel paese di Alice. Non ci stancheremo mai di indicare i pericoli insiti nel fatto di sostituire alla realtà una dimensione esclusivamente visionaria (religiosa, ideologica, ma anche artistica) di cui poi diventiamo schiavi, innestando a sua volta altri aspetti estremamente negativi di dipendenza sociale e individuale oppure, ancora peggio, di aggressività e intolleranza verbale e fisica. Il mito-simbolo si porta sempre dietro il pericolo di una umanità massificata e subalterna (fedeli e devoti superstiziosi di tutti i tipi, arcaici e moderni) e di una elite criminale autodivinizzata. Ecco perché le religioni rappresentano sempre la sopravvivenza del pensiero magico. Questo accade anche alle ideologie vissute religiosamente, in modoforse ancora più subdolo, in quanto più nascosto ma non meno pericoloso. Solo l’illuminismo ha tanto battuto sulla idea concreta di tolleranza di tutte le forme di cultura purché integrabili in una società democratica. Tuttavia anche questo è un qui pro quo: perché se le religioni non sono tolleranti non sono più integrabili come diceva anche il signore De la Palisse. Nello stesso tempo, come è giusto in base al diritto dovere di critica totale tipico della vera filosofia, l’illuminismo ha smontato, svelandoli, i veri meccanismi negativi strutturali, storici e funzionali del fenomeno religioso (e ideologico). Una storia che come abbiamo ben capito è iniziata col mito e resta ancora oggi dentro al mito, da parte di una umanità che proprio non riesce a uscire dalla caverna. In questi anni come è capitato a tutti, mi sono trovato più volte andando in vacanza prigioniero per ore e ore di orribili ingorghi da parte di migliaia di macchine. A parte la follia di soffrire così tanto per andare a divertirsi, mi sono chiesto atterrito, di come nessuno si accorgesse di quanto inquinamento ne venisse fuori, oltre che al deperimento del sistema nervoso. Anche non vedere la trave che ti sta di fronte fa parte del mito. Ecco perché il marxismo che ha fomentato una potente (ma perdente) pseudo e cripto religione , di tipo solo apparentemente atea e anti-religioso, ma in realtà potentemente religiosa, ha coinvolto prima nel suo dominio e poi nel suo fallimento totale, la distruzione e disintegrazione dell’illuminismo. Insomma ha distrutto la culla della vera sinistra. Forse è per questo che la sinistra, sempre inquinata di religione, sembra non avere più futuro se ha rinnegato persino il suo passato più valido pre-marxista. Ma un’epoca senza lumi bivacca disperata nell’oscurità come sta accadendo. E’ questa l’epoca della resa dei conti, o meglio l’epoca in cui nessun conto tornerà più. L’epoca in cui, verosimilmente osservando la triste attualità, il capitalismo perverrà coerentemente alla bancarotta totale, strutturale e sovrastrutturale morale e materiale, se non si trova per tempo una vero antagonismo socialista, duro e democratico nello stesso tempo (o socialismo o barbarie) Ma sarà nella impossibilità di realizzare questa “chimera” che la fine si avvicinerà a rotta di collo. E’ proprio questo il tragico messaggio e ultimatum che ci viene dal doppio collasso della natura e del terzo mondo. Così il capitalismo, dopo aver preso atto della fine delle ideologie, ha finito per tornare ad esaltare le peggiori ideologie, cioè tutte le forme di religione. Nel frattempo nessuno si è accorto che siamo tornati indietro di secoli. Di questo è anche responsabile la antropologia che con un relativismo culturale idealista, estremista e dogmatico, sta esaltando (come si fa da 30 anni a questa parte) tutte le differenze dimenticando che senza una salda identità, non c’è nemmeno un corretto rapporto con le stesse. Il che dovrebbe sembrare evidente per chi conosce l’abc della filosofia. Anche il marxismo tradì il suo primo enunciato eracliteo, originariamente basato sugli opposti; ma facendo credere nel nuovo dominio di un solo opposto (il proletariato) ha dato il via non tanto alla dittatura del proletariato ( in realtà ancora più subalterno ), ma dei suoi sedicenti dirigenti intesi come i nuovi “pseudo liberatori”. Voleva rovesciare tutto a favore degli ultimi ed è tornato ad esaltare i primi, cioè i dirigenti. Ma il primo che ha compreso il giusto rapporto è stato Saint Simon: cioè un rapporto solidale tra borghesia progressista (per lui tecnologica) e le classi subalterne. Non si esce dalla dialettica degli opposti, il grande problema è impostarla correttamente senza illusioni e scorciatoie ideologiche o religiose (come se la migrazione indiscriminata fosse la palingenesi e non uno dei momenti più alti e vergognosi della la crisi del sistema capitalista).
ARCHETIPI E TABU’ *******
Esiste anche un’altra strada per interpretare gli archetipi o comunque i simboli dell’inconscio. Freud e ancor più Jung, ci hanno fatto capire che i primi simboli nascono dalle pulsioni, ossia dalle principali iniziative di tipo istintivo che il nostro corpo attua per la sua soddisfazione e sopravvivenza (mangiare-dormire-sessualità-aggressività-defecareecc). Le pulsioni a loro volta costituiscono una dimensione indecifrabile e indefinita proprio perché si trova a metà strada tra il somatico istintivo e il mentale simbolico. In pratica i simboli (in particolare gli archetipi) non sono altro che le prime rappresentazioni mentali delle pulsioni, producendo però una specie di salto, di corto circuito tra la dimensione materiale e quella mentale, che se la rappresenta appunto simbolicamente. E’ proprio questo salto che le rende così misteriose, unificando elementi del tutto eterogenei tra di loro, come sono ancora una volta la realtà esterna del corpo e quella mentale interna. Le pulsioni quindi sono come dei trampolini di lancio che attivano il simbolico; ma questo potrà risultare estremamente distante dalla causa originaria obbedendo solo alla sua logica interna al simbolico. Facciamo subito un esempio il più eclatante: l’atto di defecare, gli escrementi infantili. Questi non sono vissuti dal bambino (e dai primitivi) come sembrerebbe suggerire la materialità diretta della cosa, ma in base alla simbolizzazione come una forma di creatività e di donazione. Di creatività perché è’ la prima cosa che il bambino fa da se e che eccita in modo importante l’attenzione dei genitori. E’ una donazione quando il bambino si accorge che la madre lo elogia e gratifica per la sua capacità di autocontrollo e lo stato di benessere conseguente: questo dono così particolare rende tutti più felici. Questo aspetto che esalta e sacralizza l’escremento lo ritroviamo per esempio nella religione induista, dove gli escrementi sacri della vacca sacra sono usati per determinati riti religiosi. Coloro che apprezzano la religiosità in tutte le sue manifestazioni non sentiranno la puzza della cacca sacra, mentre gli atei per punizione se la ciucceranno tutta. Vediamo altri esempi:
– è ovviamente dalla straordinaria importanza della oralità assimilativa che nasce la prima istanza religiosa che pretende e presume di identificarsi col dio (o qualsiasi divinità) semplicemente divorandola. Tutto quello che viene divorato in senso rituale, acquista questo particolare significato che per la prima volta accede, introducendoli e assimilandoli nel proprio corpo, a poteri e a dimensioni superiori. Poiché questo viene vissuto come una intromissione esterna acquista la caratteristica di una possessione-comunione. Non importa se questo viene fatto con un vero pasto cannibalesco o come accadde più tardi (come per esempio nel cristianesimo) attraverso un rituale simbolico. Da questo punto di vista assume una importanza straordinaria il rito cannibalesco di Dionisio nelle fasi più antiche della formazione della religiosità greca (IV AC). Presso altri popoli della Nuova Guinea alcune tribù divorano persino il cervello dei morti per assimilare ed eternizzare le qualità “personali “del defunto. Qui è notevole l’intuizione che effettivamente nel cervello è depositata la memoria e la storia del caro estinto. Altri fecero riferimento al cuore o al fegato, Greci ed Etruschi compresi; ma ancora oggi qualcosa di simile, fate le debite differenze, accade col cristianesimo nel rito della eucarestia. Questa istanza ha anche creato una delle prime (la prima?) forma di religione, ossia il totemismo. L’adorazione degli animali fondamentali, considerati capostipiti generativi della tribù, comportava ovviamente la loro assimilazione orale (il bisonte sacro, la balena sacra): è questo il primo pasto sacro proprio perché permette la sopravvivenza della tribù. Esiste anche la versione opposta: ossia l’animale considerato sacro non può assolutamente essere mangiato. Questo aspetto ambivalente che è stato considerato spesso distruttivo per intero, della stessa teoria del totemismo, invece non farebbe che indicare come, all’interno di oralità compulsiva e totalizzante come quella primitiva (e oggi infantile), esistono anche delle controindicazioni materiali inderogabili, ossia dei cibi mortali o semplicemente disgustosi da rifiutare. Ma questo traslato nella proibizione alimentare dell’animale sacro, porta gli uomini a un significativo passo in avanti verso la considerazione più spirituale, meno materiale e sanguinaria della divinità. Anche se il percorso fondamentale della religione, nel caso del cristianesimo, ha continuato la stessa strada in modo simbolico e sublimato. Non solo, ma questa proibizione è uno dei primi tabù che, per traslato, avvia la produzione dei simboli-valori che devono essere perseguiti o all’opposto rifiutati. Sicuramente questo è uno dei momenti di nascita, o per lo meno di forte rafforzamento, del super io e in un certo senso della morale. Ora sicuramente gli animali prescelti in questo caso, molto banalmente, non erano commestibili; ma il vero problema è la nascita simbolica della proibizione collettiva dovuta al tabù. Si tratta di una faccenda che in superficie si presenta alquanto bizzarra e irrazionale: molti di questi tabù si presentano assurdi e stravaganti persino per una mentalità primitiva. In realtà la soluzione è estremamente complessa e astratta, che però deriva la sua primitiva significanza simbolica dal controllo di una oralità “infantile-primitiva” compulsiva e quindi dal notevole sacrificio conseguente. Il senso di questo sacrificio epocale va molto al di la del solo tabu alimentare, andando nella direzione astratta e universale del tabù in se stesso: questo è spesso solo la manifestazione esteriore, l’espediente, attraverso il quale passa la vera operazione decisiva. Si tratta di una strategia che non si esaurisce nella semplice proibizione negativa in quanto tale, ma che nasconde e rappresenta comunque un comando categorico positivo. Voglio dire, spesso questi tabù sembrano assurdi e bizzarri (in puro stile magico) o peggio anti-razionali (come il comando del sacrificio di Abramo). Tuttavia quello che è veramente in gioco è proprio l’obbedienza assoluta in quanto tale a un quid misterioso e altrettanto assoluto: una potenza che è comunque superiore a tutto nel bene e nel male. Potrebbe essere la comunità (in primis l’inconscio collettivo, oppure strategie di sopravvivenza sociali e di caccia) oppure la devozione alla divinità stessa. Insomma quello che è veramente cruciale è lo spirito di obbedienza a qualcosa di trascendentale la cui salvezza e osservanza a tutti i costi è decisiva per la sopravvivenza della tribù. Dunque va obbedita e rispettata a prescindere; anche quando sembra assurda, irrazionale e persino malvagia…Infatti quel tesoro nascosto che va salvato a tutti i costi è il collante sociale in quanto tale. il singolo, nella misura in cui manifesta una incredibile presenza di libertà e volontà con la stessa scelta di disobbedire, rompe per la prima volta il legame simbiotico con la collettività. Naturalmente viene visto come qualcosa di esecrabile e addirittura inconcepibile (però accade). Infatti chi trasgredisce vine punito ferocemente per il primo spirito di rivolta antisociale; ma è anche la prima nascita dell’individualismo. A volte il ribelle si punisce da solo suicidandosi o morendo sul colpo sopraffatto da una terribile crisi emotiva: in realtà viene irretito e fagocitato dallo spirito di gruppo, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di quanto sia cogente e inderogabile la forza ipnotica dell’inconscio collettivo. La forza della proibizione sociale è la prima origine del super io; più tardi verrà rafforzata e personalizzata dai comandi del re sacro.
Lo stesso discorso diventa molto più accentuato quando si tratterà di passare più specificatamente al tabù dell’incesto; anche qui il sesso è paragonato, come si sa, all’atto di mangiare e così il relativo digiuno e l’astinenza. In questo senso il mito fornisce anche la prima tavola dei valori disvalori necessari alla sopravvivenza della tribù. In poche parole il sistema dei tabù è stato l’antesignano più antico dei dieci comandamenti.
– il sonno, l’atto di sognare. Il sonno con la chiusura degli occhi e la scomparsa della vista del mondo sostituito da uno sfondo nero, del tutto simile a quello della notte e della mancanza di luce, era accostato alla morte: non a caso ancora oggi si dice a un caro defunto, riposa…nel tuo lungo sonno profondo. Per questo il sonno era molto temuto e alcune tribù addirittura si mettevano a piangere prima di dormire, terrorizzati dal sospetto di andare incontro a una morte assai probabile. Ancora una volta una semplice pulsione genera un insieme di simboli e riferimenti, ora astratti ora concreti, legati alla morte. Anche in questo caso va segnalato un aspetto decisamente inquietante ; mentre per tutti gli altri animali la pulsione istintiva del sonno non costituisce per niente un incognita, ma semplicemente una indicazione obbligatoria dell’orologio biologico, in relazione al risparmio e al recupero delle energie, per l’animale uomo il traslato simbolico della pulsione diventò un grosso problema. Il fatto è che, se prima obbedendo all’istinto, perseguiva automaticamente comunque una collaudata funzionalità biologica, adesso l’automatismo simbolico va in tutt’altra direzione perseguendo una logica tutta sua. Così l’obbedienza al simbolo magico è altrettanto inderogabile e meccanica dell’istinto,ma spesso tragicamente del tutto convenzionale e artificiale. Adesso la mente e il comportamento obbediscono a una sintassi cogente di significati stringenti ma del tutto inventati, elaborando così un mondo magico immaginifico artificiale e convenzionale. Una dimensione onirica che oggi ritroviamo tale e quale solo nei psicopatici e schizofrenici gravi. Così questo nuovo e strano animale simbolico pur producendo cultura (simbolica) non si redime affatto ma resta ambiguamente (fino ai nostri giorni) il più feroce e il più intelligente degli animali. Incredibilmente mentre la sua mente elabora creativamente dei simboli, resta comunque prigioniero e posseduto dalla loro logica immaginifica. Una prigionia e coinvolgimento totale che resterà per chissà quanto tempo nel passaggio reciproco da inconscio a coscienza e viceversa; ma veramente i faraoni pensavano che un cadavere mummificato garantisse loro l’eternità? E oggi chi crede ancora che nell’ostia ci sia il vero corpo di cristo, non obbedisce forse a un pensiero magico, magari solo imposto per convenzione ipnotica genitoriale, ancora prima di un bisogno esistenziale inconscio? Comunque sia, ieri come oggi, per credere “magicamente” a queste cose bisogna essere in preda a forme di suggestione ideologiche molto forti. Questo è il punto. Ancora oggi la nostra coscienza lungi dall’essere la dimensione protagonista di libertà, volontà, verità appunto finalmente consapevoli, è in realtà il display passivo dove la percezione inconscia gli fornisce la pappa pronta, e dove si attua inconsapevolmente quel film segreto e destinale che è la dialettica conflittuale, con se stessa e con il mondo, del nostro inconscio. Questo come sappiamo si mostra fugacemente solo nel lapsus negli atti mancati, in modo ancora più criptico nel sogno vero e proprio. Se pensiamo finalmente di risolvere tutto con l’autocoscienza rischiamo di cadere in una illusione ancora più subdola. Così fecero i famosi comunisti sicurissimi di agire addirittura in nome di una scienza economica esatta, invincibile e categorica, mentre erano in preda alla volontà di potenza di un pensiero magico volgare e feroce. Infatti anche l’autocoscienza è sottoposta al potente influsso dell’inconscio: al punto che razionalizzando intellettualmente la sua produzione (magari molto sofisticata ed elaborata, ma comunque ideologica) rischiamo di fornire una interpretazione e giustificazione che non sembra affatto irrazionale, mentre magari lo è al massimo grado. Come definire il processo intellettuale e mentale che portò alla bomba atomica? Il massimo della follia e della pseudo-razionalità tutte e due insieme? E’ un trabocchetto in cui è caduta persino la scienza apparentemente la più rigorosa. Fin qui sembra che non ci sia salvezza dalla dimensione mitico magica del nostro inconscio (singolo e collettivo) e purtroppo in parte è vero. La maturazione e la salvezza dell’umanità sono più che mai una ardua scommessa. Ma resta una via di fuga, una via di salvezza, e questa va vista proprio in un certo modo di concepire e realizzare l’autocoscienza: cioè sviluppando al massimo livello la totalità del suo potente apparato critico e soprattuto, mantenendo fino alla fine la coerenza e il coraggio di farlo. Del resto lo stesso Freud dimostrò che, dopo aver distrutto il mito filosofico dell’autocoscienza (in preda all’inconscio), riservava comunque a quest’ultima, un ruolo ugualmente molto importante. Infatti è la sua valenza critica che ha permesso di scoprire e svelare non solo l’inconscio, ma in un certo modo, anche di fornire una terapia valida per il singolo e la collettività. In fin dei conti il paziente fa autocoscienza sul significato dei suoi sogni, e guarisce elaborando il transfert in modo critico. Molto più difficile è che questo accada per le masse e per i potenti, che restano sempre in preda alle loro visioni religiose ed ideologiche, il cui esito finale consiste in una sudditanza masochista per i primi, in una una volontà di potenza spietata per i secondi.
– l’atto di sognare costituisce un problema enorme. Difficile dire che la stessa produzione simbolica in quanto tale sia apparsa prima nel sogno o durante la coscienza vera e propria; anche se per i primitivi e chissà per quanto tempo, queste due dimensioni non erano per niente separate e distanti, ma molto simili e congiunte. IL primitivo sognava a occhi aperti, la sua coscienza era in realtà inconscio en plain aire. .
Il che significa che silenziosamente e lentamente il cervello dell’ominide ha avuto a sua volta una tale evoluzione da permettere appunto la primissima vera forma di “cinematrografia” onirica. La verità è che chissà per quanto tempo, conscio e inconscio erano nell’ominide la stessa cosa: tale per cui viveva in modo ipnotico tutta la sua produzione mentale indifferenziata. La realtà si presentava sotto forma di intervento divino simbolizzato, il suo sogno coincideva con la realtà stessa e viceversa: viveva la realtà come se fosse un sogno. Tuttavia a partire da un certo punto hanno incominciato a separarsi e distaccarsi sempre di più , per così dire a specializzarsi. Lo psicologo americano Jaynes ha cercato di dimostrare, in modo molto interessante, che la nascita della realtà esterna, la distinzione tra sogno e realtà ha portato addirittura il nostro cervello a funzionare in modo diverso. Un conto era il “display” del mondo esterno e un conto quello della realtà interna: sono sempre strettamente collegati ma non più fusi completamente. Questo significa anche che per chissà quanto tempo il primitivo non distingueva affatto come noi oggetto e soggetto, interno esterno; altrettanto difficile dire quando sia avvenuta questa separazione. Ma sicuramente è avvenuta per lo meno nelle parti del mito più evolute, come per esempio quello greco. Qualcuno situa questo passaggio con la vera nascita dell’io individuale, (indimenticabile lo scontro di Achille solo contro tutti) finalmente almeno in parte, distaccato dalla incubatrice animistica che prima lo dominava totalmente (una coscienza e una volontà dominate dalla intrusione delle potenze esterne, magiche e divinizzate). Per esempio quando Atena sussurra sull’orecchio di Ulisse come e perché costruire il famoso cavallo di Troia, in realtà si capisce che questa operazione ormai è una specie di finzione scenica “devota”, un deus ex machina: il vero inventore è sostanzialmente Ulisse (inizia così un percorso di secolarizzazione, cioè di allontanamento dalla onnipotenza divina). Questo però determina anche la grande illusione che la coscienza si sganci sempre di più dal suo cordone ombelicale ipnotico onirico (mentre ancora oggi la coscienza sottostà doppiamente all’inconscio intuitivo simbolico e a quello pre-percettivo). Illusione ancora più forte col mito di un’autocoscienza totalmente autoprodotta e autodeterminata, cioè totalmente produttrice di processi mentali esclusivamente razionali e in quanto tali totalmente controllati (inizia con Campanella e culmina in Hegel, il filosofo della autocoscienza assoluta dell’assoluto). In realtà persino la nostra autocoscienza apparentemente la più razionale, è sempre potentemente collegata alla ispirazione e motivazione simbolica destinale del nostro inconscio singolo e collettivo. Questo “mito” dell’autocoscienza e della ragione purtroppo si è portata dietro gli aspetti peggiori di un frainteso umanesimo falsamente trionfalista, con la esaltazione conseguente della libertà della volontà e della stessa verità. Possiamo distruggere tutti gli assoluti, a partire dall’idea di Dio; ma se distruggiamo l’idea di uomo demoliamo anche l’idea stessa di cultura. Invece per quanto poco, e per quanto da posizioni privilegiate ed elitarie, noi accediamo a un minimo di libertà e di verità, altrimenti dovremmo rimettere in gioco tutta la storia della evoluzione umana. Accettiamo volentieri la morte di Dio, necessaria per proseguire il cammino della verità e della autentica maturazione umana (anche se resta una difficile e pericolosa scommessa). Accettiamo il relativismo parziale e processuale della verità (che strutturalmente non sarà mai statica e assoluta) senza contare i sui aspetti “magici”:l a illusorietà superstiziosa feticistica e fideistica riscontrabili in quasi tutte le teorie. Non accettiamo la componente più radicale e dogmatica del relativismo culturale, su cui sembra basarsi tanta parte dell’antropologia moderna. Altro baluardo insieme a certa filosofia, della esaltazione di tutte le differenze in quanto tali e conseguentemente della parità forzata dei popoli su cui oggi si fonda la globalizzazione a spada tratta. Personalmente non mi sentirò mai alla pari con gente che pratica la infibulazione o che vuole costringere le donne a mettersi il burka. Se ci siamo trovati in casa questi modelli forse è perché abbiamo esagerato con l’inclusione a tutti i costi. Da questa caverna si può lentamente uscire. In mezzo al fango della palude si possono trovare poche, piccole pepite comunque preziosissime. Per queste vale ancora la pena di vivere e lottare per un futuro migliore. Sono le lucciole dell’illuminismo, spente le quali, si ricade nella ossessione del pensiero dominante.