1) Se uno dovesse riflettere sulla vera e propria origine assoluta della mentalità religiosa, immaginarsi per così dire una specie di livello zero della primissima visione del mondo e concezione del divino, non dovrebbe certo partire delineando un qualche cosa di ben definito e preciso. Dovrebbe altresì pensare a una dimensione sfuggente, indeterminata e indefinita, ma nello stesso tempo onnipresente e onnipotente. In poche parole dovrebbe pensare a un qualche cosa che pur avendo tutte le potenze in realtà non ha una vera forma, proprio perché potrebbe averle tutte. Ebbene questa formulazione, apparentemente assurda e improbabile, in realtà è esistita veramente e ovviamente ha costituito la bestia nera di tutti gli antropologi. Stiamo parlando del MANA, ossia di quella particolarissima visione del mondo, così curiosa e paradossale, che però riflette perfettamente la sua particolare elaborazione magica, animistica e panteista, ma nello stesso tempo anonima e impersonale. In questo senso è la forza di tutte le forze, la potenza di tutte le potenze, qualcuno l’ha definita la sintesi di tutti gli approcci magici. In un certo senso è l’energia trascendentale produttiva e creativa che pervade tutta la natura, ma che emerge improvvisamente solo in particolari occasioni, suscitando la meraviglia sovrabbondante, l’entusiasmo incontrollato o il terrore soprannaturale del primitivo. In questo caso è epifanica testimoniando l’apparizione del dio, dimostrando che il mana può assumere e incarnare ogni forma dell’esistente, ma anche abbandonarle altrettanto velocemente e inspiegabilmente ( ricordiamo che India anche il letame della mucca è sacro). E’ panteista perché tutto è divino: è veramente un mondo che pullula di demoni e di dei. E’ animista perché nello stesso tempo tutto, ma proprio tutto, è pieno di vita e di attività , anche i sassi, i fenomeni naturali, gli stessi animali. Ma attenzione qui la vita è intesa sul paradigma di clonazione della stessa condizione umana raddoppiata: vale adire di tutte le possibili varianti umane di azioni, di pensiero e, ovviamente, di vissuto emotivo. In questo senso è piena di avvenimenti dovuti a una volontà finalistica per così dire soprannaturale ed estroflessa. Se il primitivo cade nel fiume non è stato a causa di un gesto maldestro, ma è stato il fiume che ha voluto afferrarlo, decretandone la morte secondo la volontà del mana. Se mi cade un sasso in testa non è stato un caso, ma la forza vitale del del sasso ha deciso di uccidermi obbedendo al mana. Ma potrebbe anche essere che uno sciamano è riuscito a indirizzare il mana contro di me.
Proprio per questo è magica: il mana infatti agisce in una fondamentale dimensione di metafora e in definitiva di metamorfosi. Può assumere, passando dall’una all’altra, tutte le forme della natura, senza acquisire mai un significato specifico; in generale resta nascosto e latitante, specificatamente assumendo tutte le forme, purché secondo quelle modalità che suscitano quello stupore invasivo che tendenzialmente va oltre la routine quotidiana. Ma attenzione, abbiamo capito che questa routine può trasformarsi in qualsiasi momento, in qualcosa di di fantastico e prodigioso.
La dimensione magica è dovuta al convergere delle seguenti caratteristiche:
– proprio perché questa potenza è indefinita e non è personale, anche se paradossalmente ha una sua volontà misteriosa, può essere interpretata, manipolata e indirizzata da particolari essere umani dotati a loro volta di poteri straordinari (gli sciamani). Anche se ancora una volta è il mana che si manifesta in loro, paradossalmente accetta anche di esserne manipolato. Se fosse una vera personalità potrebbe essere ammansito e accattivato solo attraverso grandi doni e sacrifici esteriori, piuttosto che essere furbescamente e strumentalmente condizionato dalla magia; ma questo appartiene a una fase successiva, dove la divinità ha assunto nome e cognome e una fisionomia ben precisa. Tanto è vero che in questa fase la magia può ottenere con mezzi minimi risultati straordinari; più tardi si parlerà di sacrifici enormi e terribili come immolare le figlie vergini del re. Così la magia, assumendo un rapporto più personale con la divinità, abbandonerà la sua dimensione minimalista. Del resto, lo si è capito, mentre in questa fase tutta la natura funge da tempio, successivamente troviamo veri templi in pietra, con statue immense che richiedono enormi sacrifici.
Nello stesso tempo poiché il mana può essere sia positivo che negativo, anche lo sciamano potrà effettuare dei riti indirizzati alla vita o alla morte. Per lo stesso motivo lo sciamano potrebbe anche essere abbandonato e licenziato dal mana: allora lo farebbe anche la tribù cacciandolo o addirittura uccidendolo. In questo caso la strumentalizzazione e utilizzo del mana è come catturare dell’aria (energia che sta dappertutto) dentro a un palloncino e poi farle fare quello che tu vuoi; sempre sperando che non ti si rivolga contro, come succede a Topolino apprendista stregone.
– l’utilizzo metaforico del linguaggio in senso magico significa che anche le parole e i simboli (come tutto quello che è animistico) hanno vita e potere propri; quindi questo trapassa in una specie di filo conduttore associativo di simboli e parole, che permette di collegare le immagini e i riti fantastichi alle realtà corrispondenti. Questo lo vedremo meglio quando in seguito si parlerà di tecnica dei simboli. Tanto per fare un esempio attraverso una ciocca di capelli (che rappresenta una persona) posso guarirla o farle un maleficio; ancora meglio se distruggo la sua immagine… La metamorfosi utilizza e materializza ancora di più questo tipo di processualità simbolica metaforica: tipico esempio quando un vampiro si trasforma in pipistrello e viceversa.
2) La fase successiva viene definita delle divinità momentanee. E’ una fase importantissima non solo per lo sviluppo del linguaggio, ma della stessa mentalità e visione del mondo dei popoli primitivi. Abbiamo visto precedentemente che quella visione del mondo era costellata da una grande quantità di eventi epifanici che evidenziavano l’apparizione e la presenza del mana. Questo ha spinto dapprima a dare dei nomi comuni a questi enti-evento privilegiati, ma poi in seguito a tutto ciò che circondava il primitivo in modo importante. E’ stato proprio questo che ha portato alla creazione e proliferazione dal nulla di una quantità enorme di parole, in pratica alla formazione di un vero e proprio vocabolario originario. Questo però ha comportato anche altri passaggi:
– col tempo questi nomi sono diventati patrimonio comune di tutta la tribù, non più una specie di linguaggio privato ma condiviso. Questa condivisione ha provocato il tipo particolare di sonorità considerata eufonica (magari cacofonica per l’etnocentrismo delle altre tribù) e soprattutto il tipo di significato particolare da attribuire a quelle parole: è qui che si manifesta la tipologia della mentalità. Facciamo degli esempi: in greco la parola luna significa misura (facendo evidentemente riferimento all’utilizzo che ne fanno i contadini per il lavoro nei campi); invece presso i Romani significava più concretamente e poeticamente, colei che illumina la notte.
Ora dato che queste parole non indicavano come per noi delle cose statiche, ma bensì piene di vita e movimento, è ipotizzabile che il passaggio dal nome al verbo, dalla cosa all’azione non sia stato così problematico che si potrebbe pensare.
INCOMPIUTEZZA E INDEFINITEZZA DEL LINGUAGGIO E DELLA STRUTTURA NARRATIVA DEL MITO
1) Abbiamo più volte rilevato come i miti, soprattutto nelle loro formulazioni più primitive, appaiano come deprivati di senso, presentando dei corto circuiti nella coerenza delle strutture narrative, o più semplicemente nei giochi linguistici o nei vuoti di significato inspiegabili. A volte i simboli utilizzati sono ridicoli o troppo lontani dal nostro contesto e dalla nostra mentalità per poter essere decodificati completamente. A volte non riusciamo ad accettare la banalità assurda e infantile delle loro espressioni, altre volte sospettiamo che dietro a questa immaturità si nasconde invece una saggezza profonda, insospettabile a prima vista, soprattutto misteriosa. Un qualche cosa legato alla vita nuda e cruda, al rapporto con la natura e l’inconscio, quando queste erano veramente le dimensioni primarie senza maschere e coperture varie.
In realtà non dobbiamo dimenticarci mai che ci troviamo di fronte a:
– un lungo percorso pervaso di immaturità che riguarda tutti gli aspetti della cultura “work in progress”: logici, linguistici, simbolici, narrativi. L’uomo sta iniziando un primo approccio alquanto problematico, in modo incerto e faticoso ci sta provando; così mentre ci prova non sta semplicemente affinando delle tecniche comunicative o delle metodologie cognitive valide nella forma e nel contenuto: sta proprio formando se stesso, dando inizio piano piano alla coscienza, al pensiero, alla consapevolezza. Insomma a tutto ciò che costituisce oggi più che mai la forza e la ricchezza positiva della parte più importante della personalità umana legata alla razionalità critica. Tuttavia resta il fatto che c’è anche una convivenza per quanto problematica con la nostra dimensione mitica irrazionale; non solo perché non potremmo sbarazzarcene se non buttando via il bambino insieme all’acqua sporca, ma proprio perché anche questa ha contenuti imprescindibili positivi legati alla immediatezza emotiva delle nostre passioni e dei nostri vissuti. Tuttavia resterà sempre il fatto che l’ultima parola in senso conoscitivo e veritativo spetta all’autocoscienza critica anti-ideologica della scienza e della filosofia.
2) Pertanto ricapitolando, noi abbiamo così tante difficoltà interpretative di fronte al mito per i seguenti motivi:
– non possiamo chiedere a un bambino che cosa stia dicendo e pensando perché forse non lo sa neppure lui; non possiamo estrapolare dal racconto una chiarezza e una congruenza che i primitivi per primi non possedevano. Questo non toglie che come noi sogniamo misteriosamente il messaggio dell’inconscio, che però potrebbe essere decodificato, così con un po di fortuna potrebbe accadere lo stesso col mito.
– i loro stessi mezzi logici e linguistici erano in fieri e difettosi; e così pure la padronanza delle strutture narrative.
– noi a causa della enorme distanza temporale non conosciamo il contesto:
storico, naturale, sociale, e tanto meno quella immediatezza casuale (quell’attimo) che può aver colpito la loro fantasia ( improvvisa epifania del divino) al punto tale da trovare necessariamente uno sfogo nella espressività simbolica e narrativa del mito. Si tratta di uno stupore ipnotico e coinvolgente per noi intraducibile.
– la forza straordinaria della metafora ha avuto molteplici aspetti positivi: ha mosso il linguaggio, il simbolo e gli archetipi, più tardi lo stesso concetto passando dall’intuizione al logos vero e proprio. La metafora ha portato con lo sviluppo di tutti questi fattori alla nascita del pensiero, della coscienza e della consapevolezza. In questo senso ha avuto un ruolo propulsivo semplicemente enorme. Ciononostante c’è chi ha detto che la metafora è stata anche una specie di malattia del linguaggio, ora sovrabbondante, ora evanescente: in questo senso ha determinato da una parte una processione di simboli che restando aperta ha disperso diluendolo, il suo significato (qui la polisemia fa cilecca), nello stesso tempo ha lasciato una specie di nebbia e di confusione in cui si intravvedono diversi esiti senza indicare nulla di definitivo.
– il senso del mistero finale, da preservare a tutti i costi, proprio per indicare che lo stessoprotagonismo del dio deve restare oscuro e inaccessibile agli uomini. Deve sempre essere garantita una certa devota e terrifica distanza. Altrimenti il Dio si abbassa al livello dell’uomo oppure l’uomo stesso diventa Dio: ecco due ipotesi terrificanti per la mentalità dell’uomo primitivo.
I MITI MODERNI
Purtroppo tutti questi fattori altamente progressivi verso elevazione e maturazione si raggiungono solo fuoriuscendo dagli aspetti più deteriori del pensiero magico mitico, soprattutto combattendo la loro continua risorgenza (ma sarebbe meglio dire rigurgito, come nel caso attuale dei no vax). Ancora una volta si tratta di una battaglia enormemente difficile, contrastata da una dimensione istintuale-intuitiva primitiva (anche nei moderni) e naturalmente dai media oltre che dalle istituzioni culturali e religiose. In poche parole la complessità della sovrastruttura moderna sembra magari emancipata dal mito, ma non è affatto così: non vuole recidere le sue radici più profonde ne rompere il cordone ombelicale. Questo per il semplice motivo che il potere ha un bisogne assoluto di forgiare, condurre e controllare la irrazionalità umana anche usando i mezzi apparentemente più moderni (media). Ma non si tratta solo di questo: esistono aspetti strutturali ineliminabili (inconscio singolo e collettivo) e altri aspetti della mentalità mitica che invece sono positivi e vanno mantenuti, anzi difesi e sviluppati (prima fra tutte l’arte). Come si vede la difesa della ragione non può essere troppo rigida e dogmatica, ma anzi deve comprendere e salvare in parte, anche il proprio opposto. Come direbbe il secondo Wittgenstein la ragione deve partecipare di tutti le forme di linguaggio onde raccoglierne, fin quando è possibile, tutte le istanze di arricchimento e diversità dello “spirito”. Ciononostante dobbiamo dirlo, è proprio la sopravvivenza nefasta della mentalità mitologica, che sta mettendo a dura prova persino la speranza di sopravvivenza della intera razza umana. Stiamo parlando de:
– la eterna volontà di potenza imperialista e guerrafondaia (ieri incarnata dagli americani, oggi da altri “mostri” si affacciano alla ribalta della grande bouffe sanguinaria della storia)
– la subalternità ideologica delle masse, incapaci di prendere il proprio destino nelle loro mani: al massimo trasbordano da un continente a un altro.
– l’idea, completamente folle e utopistica, che la presunta unità (?!) delle religioni possa appunto salvare l’umanità dalla rincorsa verso il baratro, a cui fino a ieri (e oggi?) hanno ampiamente collaborato.
– l’idea che la religione (tutte le religioni) dopo aver distrutto l’illuminismo (complice il terribile fallimento del comunismo) rappresentino il vertice della cultura e della salvezza mondiale, mentre sanciscono solo il mostruoso arretramento della intera civiltà.
– l’idea che la scienza possa rinascere senza aver fatto i conti con i gravi errori e crimini del passato.
– il mito che la società americana rappresenti ancora oggi la locomotiva del progresso materiale e morale, mentre è una delle società più malate e violente al mondo, con una democrazia la più decadente e un imperialismo ormai alla frutta (marcia).
– il mito che la globalizzazione salverà l’europa mentre, se non verrà controllata, sarà l’ultimo capitolo dell’ineluttabile tramonto dell’occidente.
– infine il mito di tutti i miti: la continua folle rincorsa del progresso industriale infinito a cui corrisponde non solo lo sfruttamento capitalista micidiale e ormai mortale, ma il massimo di ingiustizia economica e sociale planetaria (e qui ancora una volta l’America è in prima fila). Contro tutti questi miti gonfiati tragicamente dai fatti, noi continuiamo a proporre (se non altro per continuare a sperare e a lottare) il mito del risorgimento di un socialismo radicale, laico e illuminista, non il solito moderatismo ben pensante della pseudo sinistra, ma un movimento combattivo e rampante per salvare tutti assieme: la democrazia, la scienza, la natura, il cambiamento sempre più ineluttabile per un diverso modo di produrre e consumare.
Come rimarcato più volte questo processo di lenta maturazione della personalità e cultura occidentale arriverà a compimento solo nel mito greco facendo il gran salto e rottura verso la filosofia: questo straordinario modello educativo, la paideia greca (pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, principalmente di tipo militaresco) attraverserà in modo fecondo tutta la storia della civiltà occidentale. Viceversa molti popoli resteranno tragicamente indietro a livello mitico, altri intraprenderanno una strada filosofica (oriente di India e Cina) sicuramente a volte più completa e sviluppata (nel senso della speculazione religiosa), ma pur sempre carente e latitante su due punti fondamentali. Infatti solo al livello della filosofia greca si proporranno come lasciti testamentari, due grandi sfide e due grandi scommesse, vale a dire la scoperta della libertà, del dialogo e della democrazia come fondamento imprescindibile di un modo di pensare e di vivere che è alla base in positivo della nostra civiltà. L’altro aspetto consiste nell’elaborare finalmente una scienza diversa, che non sia una dentiera cannibale prostituita al sistema borghese capitalista, quel simpatico vampiro che prima dissangua il mondo e poi ci defeca sopra. I greci questo concetto di scienza rispettosa della natura ce l’avevano anche se in modo eccessivo e dogmatico; peccato che proprio per questo era solo teorica e conoscitiva ; avrebbe dovuto diventare pratica rispettando i parametri fondamentali per una sopravvivenza umana consona e adeguata alla natura. La filosofia orientale, con tutta la sua prosopopea di aver fornito quasi tutto a quei brutti copioni dei greci, ha glissato proprio su questi punti fondamentali:
– non ha fatto i conti fino in fondo con li mito: l’imperatore giapponese non era come Hitler quasi Dio: era veramente Dio; in India ancora oggi prevale e sopravvive una visione della società mitologica fondata sulla eterna sopravvivenza delle caste. Anche se la stessa sopravvivenza egemonica del cristianesimo in occidente ci ripropone un versante mitologico meno tossico e primitivo ma sempre decettivo.
– non si è posta il problema del rapporto tra personalità, società e libertà, ma semplicemente ha annullato la personalità stessa in nome di una assurda fuga verso il vuoto interiore come se questa fosse l’unica soluzione del tutto antistorica e apolitica. Al contrario già Platone nel mito della caverna spiegava che il vero filosofo ha una missione: liberare le masse, anche a costo della vita, dalle catene ideologiche originarie e primarie dell’istinto, della famiglia, della società, dello stato.
– in quanto alla scienza vale lo stesso discorso della democrazia: non pervenuto.
Dunque questi due concetti rappresentano ancora oggi una sfida cruciale: la democrazia e la libertà nel senso di una conquista enorme che però va difesa, consolidata e sviluppata. Questo a fronte di una sua attuale decadenza già nel mondo occidentale e soprattutto dei pericoli che provengono proprio dal mondo orientale. Un mondo che sembra ancora ben lontano dal raggiungere questo fondamentale approdo di civiltà, anzi Cina e Russia ci propongono una competizione a livello di visione e dominio del mondo, estremamente insidiosa e pericolosa.
La scienza invece va rifatta da capo (argomento trattato nella Presentazione) e soprattutto va capovolta la sua prassi di intervento sulla natura-materia: questo dovrà essere finalmente di tipo ricostruttivo ecologico e non predatorio distruttivo. Ciò non toglie che la scienza, nata così ambiguamente da Galileo e Cartesio, e soprattutto interpretata così malamente da Bacone e Hobbes, si sia sviluppata solo grazie alla precedente eredità di tutta la filosofia greca. Se dovesse veramente, sia pure tardivamente, imbracciare questa strada, la rinnovata scienza moderna, tornerebbe a sposarsi con lo spirito della scienza greca, anche se dovrà abbandonare giocoforza l’attitudine prevalentemente teoretica contemplativa. Per onestà intellettuale dobbiamo rimarcare che la scienza greca aveva mantenuto la religiosità della natura con l’imperativo categorico di preservare la sua integrità e verginità, proprio derivandolo dal mito. Perciò una volta tanto parliamo bene di questo povero mito; almeno in questo caso, se finirà male, sarà per averlo dimenticato del tutto.
SOVRASTRUTTURA ARCAICA
ORIGINI DELLA COSCIENZA E DEL LINGUAGGIO
QUESTIONI METODOLOGICHE
1) Dopo aver parlato del mito in termini generali, cercheremo di approfondire per quanto possibile la nascita di quelli aspetti fondamentali riguardanti l’origine e lo sviluppo della coscienza e della cultura umana nei suoi aspetti articolati. Prima di fare questo dobbiamo precisare alcune importanti considerazioni:
a) evidentemente stiamo parlando degli argomenti più difficili e ardui di tutta la storia della cultura. Non solo per la loro straordinaria complessità, ma proprio perché la loro estrema lontananza nel tempo, rende difficilissimo reperire gli elementi necessari per una adeguata ricerca scientifica. Stiamo parlando di prove valide e di un contesto in riferimento al quale sia possibile operare delle verifiche di una certa validità, non immediatamente empiriche ed estemporanee.. Infatti le prove e i reperti sparsi per tutto il mondo non mancano affatto e se ne trovano continuamente. IL problema consiste nel fatto che la distanza temporale impedisce una ricostruzione sicura, presentando un tipo di verificazione e interpretazione che potrebbe essere smentito facilmente da un altro ritrovamento. Se dovessimo fare una ricerca e un resoconto di tutti i tipi di ominidi o di prove che sono state trovate, ci vorrebbe una specializzazione che non abbiamo e soprattuto uno spazio molto forte. Inoltre questi stessi reperti si offrono alle più svariate interpretazioni: di certi scheletri ritrovati nelle caverne si è detto che erano le prime sepolture ma anche che erano stati trascinati li da animali per cibarsene in santa pace. In realtà questa estrema variabilità interpretativa è sempre successa per tutte le forme di cultura prodotte dall’uomo; succede anche oggi più che mai per la stessa scienza, che pure ha a portata di mano importanti e continue prove di verificazione all’interno della sua stessa contemporaneità. Questo tipo di relativismo interpretativo conflittuale lo ritroviamo oggi in pieno nell’antropologia, tanto che se ne decanta la morte imminente. La verità consiste proprio nel fatto che si procede per indizi provvisori e per congetture ipotetiche. Stiamo parlando di una sorta di metafisica particolare. Come si sa la vera metafisica filosofica fa astrazione di astrazione, pensiero di pensiero. Qui si fa una metafisica sui generis, più concreta nelle intenzioni, ma sempre facendo astrazioni su concetti e indizi che si sforzano di essere coerenti e fattuali, ma che in realtà restano sempre ipotetici senza avere ancora la possibilità (che forse non ci sarà mai) di approdare a risultati scientifici con livello di forte attendibilità.
2) Dunque il problema consiste nello scovare (e interpretare) delle tracce risalendo a ritroso un percorso lunghissimo. Tuttavia come già detto non seguiremo, se non di sfuggita, quelle empiriche per una ricostruzione si culturale, ma soprattutto biologica e cronologica, che risulterebbe troppo dettagliata e impegnativa. Ci baseremo su una ricostruzione ipotetica deduttiva dei principali fenomeni legati alla apparizione delle prime forme di cultura negli ominidi. Questo ci riporta alle diverse facce di questo processo. Sicuramente i mutamenti si sono prospettati estremamente graduali, appunto minimi, stemperati e frazionati dentro a un tempo lunghissimo che si perde nella notte dei tempi. Risalire a questi impercettibili accumuli di mutamenti innovativi è quasi impossibile. Invece è importantissimo rivalutare in modo esemplare, quando improvvisamente hanno finalmente prodotto un risultato straordinario e appariscente, come la nascita del linguaggio, le prime sepolture e riti religiosi, la nascita dell’arte, la nascita della coscienza. Si tratta evidentemente del famoso passaggio e trasformazione dalla quantità alla qualità, il quale per quanto criticato, mi sembra corrispondere al senso di questa evoluzione. Non ha senso dunque, osservando l’improvviso e quasi miracoloso accendersi di quesi lampi, pensare che siano stati preceduti solo da una lunga paralisi insignificante e non piuttosto dal sedimentarsi millenario di esperienza ed energia: un po come succede goccia dopo goccia con le famose stalagmiti. Tuttavia è vero anche il contrario: anche il caso assoluto ha avuto una parte importantissima, appunto come può essere la deflagrazione improvvisa causata da un cerino vicino a un deposito esplosivo, che ormai non aspettava altro che questo. Stiamo parlando di una glaciazione o della sua fine, di una mutazione genetica improvvisa, di un aumento demografico, di una scoperta di nuovi strumenti o nuove tattiche di caccia (in primis ovviamente la scoperta del fuoco). Dunque ci riferiamo anche al caso assoluto di cui non riusciremo mai a scoprire il vero senso proprio perché rappresenta una rottura del filo logico, un inizio completamente nuovo e inaspettato. Dobbiamo dunque aspettarci entrambi questi versanti (in realtà sovrapponibili e intersecantesi) ossia quello di un progresso lentissimo e apparentemente impercettibile e quello di una esplosione improvvisa, di un corto circuito apparentemente inspiegabile.
I TRE CERVELLI DELL’OMINIDE
3) In realtà i paleontologi hanno riscontrato che gli ominidi in quanto tali (da quando erano diventati tali) avevano già le caratteristiche e i prerequisiti per il grande salto verso la coscienza e la cultura che invece è accaduto verosimilmente moltissimo tempo dopo. Avevano infatti la famosa camminata eretta (accaduta forse per caso) che a sua volta aveva premesso la modificazione dell’apparato vocale senza il quale non sarebbe nato il linguaggio, l’utilizzo manipolatorio della mano che permise in due grandi modi l’aumento della intelligenza:
a) il fatto di portare il cibo alla bocca, diversamente dagli altri animali, ha permesso un diverso sviluppo e dislocazione della massa celebrale (la nascita da ultimo della corteccia cerebrale, ossia il vero luogo della intelligenza umana)
b) l’utilizzo della mano ha permesso la scoperta continua di nuovi strumenti; fattore che non ha solo man mano migliorato enormemente le condizioni di vita, ma che ha rappresentato proprio la palestra di un esercizio mentale, senza il quale la stessa corteccia e con essa la funzionalità intellettiva, sarebbe rimasta puramente potenziale; invece addestrandosi si sono sviluppate e rafforzate a vicenda. Questo perché è stato riscontrato che il cervello si è sviluppato su tre strati (MacLean1972 )
Il primo cervello (tronco encefalico) era quello simile a quello dei rettili e comportava :
– una violenza e aggressività incontrollabile
– un gregarismo totale
– lo scontro al vertice per il comando del branco senza esclusione di colpi.
– nessuna forma di solidarietà e il sacrificio programmato dei più deboli all’interno dello stesso gruppo.
In poche parole gli aspetti più selvaggi e feroci presenti in natura. E’ facile notare che erano gli stessi comportamenti del partito nazista e dei peggiori gruppi criminali. Non a caso esiste un quadro dove Hitler viene raffigurato come un “dinosauro”.
– il secondo cervello è quello simile alle scimmie (sistema limbico). Qui appare un fortissimo senso di imitazione. Questo è un aspetto formidabile dal punto di vista “didattico e cognitivo”: quando un singolo membro poteva apprendere qualcosa di importante, dopo un po diventava patrimonio di tutto il gruppo.
Questo significa anche la nascita molto importante di relazioni sociali più complesse, solidali ed empatiche (viene anche definito cervello emotivo). Nello stesso tempo anche il conformismo diventava ancora più forte. Questo è un modo di dire che da una parte l’imitazione anche come solidarietà e compartecipazione cognitiva ha avuto un ruolo straordinariamente positivo; intesa come conformismo cieco e istintivo l’ha avuto in negativo. Una società totalmente conformista assomiglia a una società di…scimmie che obbediscono totalmente e ciecamente per imitazione compulsiva: le famose tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano se non per gregarismo e adorazione del potere.
Tuttavia possiamo riscontrare anche di peggio. Ossia è stato notato in alcune tribù di scimmie comportamenti molto simili a quelli della fase precedente: si fanno guerre feroci tra di loro, praticano la schiavitù e addirittura il cannibalismo. Come dire, i tre cervelli agiscono in contemporanea e anche gli uomini purtroppo hanno simultaneamente tutti i comportamenti che ne sonoderivati. Questa è un’altra formidabile spiegazione della commistione e reciprocità di razionale e irrazionale. Ecco il senso continuo della nostra permanente battaglia quotidiana per la elevazione culturale e la sopravvivenza della specie: l’animalità più deteriore e il conformismo più becero sono sempre in agguato falsando e compromettendo il corso della nostra civiltà. A quanto pare l’ultimo strato del cervello non è affatto quello che vince sempre… Lo stesso conformismo di massa non è un semplice peccato veniale delle società moderne, restando sempre aperto in senso degenerativo a esiti totalitari. In ogni caso possiamo anche pensare che gli ominidi a strettissimo contatto la natura nel corso di migliaia e migliaia di anni, abbiano imparato per imitazione:
— dagli orsi come abitare le caverne
– dagli uccelli particolari costruzioni seguendo il modello dei nidi; ma anche come preservare riserve alimentari; infine a modulare i suoni e persino a danzare
– dai ragni a tessere i vestiti, le trappole, le reti per pescare
– dai lupi le tre tattiche fondamentali della guerra: attacco frontale, imboscata (fanno finta di fuggire attirando la preda più grossa in un agguato di gruppo) e infine ritirata strategica ( quando un gruppo devia l’attacco di altri animali più grossi o numerosi, anche sacrificandosi, ma salvando la sopravvivenza del branco). E’ quello che hanno fatto i 3.000 fanti italiani che sono morti a Caporetto salvando la nazione.
– dalle volpi come attuare imboscate attaccando improvvisamente alle spalle, come costruire fortificazioni con varie possibilità di fuga.
-dai castori come costruire delle dighe
– da molti gruppi di insetti il concetto di gerarchia, la divisione del lavoro, come procurarsi degli schiavi etc
– infine possiamo citare il fatto che l’ominide (o meglio la femmina dell’ominide) ha sicuramente copiato gli animali quando rifiutavano certi cibi ed altri li prendevano, fuori della dieta abituale, evidentemente per una funzione medicamentosa. Nacque così la prima scienza ossia la erboristeria. Questo perché avevano imparato a distinguere le varie erbe, a mescolarle e soprattutto a dosarle. Inoltre le madri avevano già sviluppato la componente più emotiva ed empatica del linguaggio e soprattutto imparato a insegnarlo ai bambini.
Insomma tanto per citare ancora il criticato passaggio dalla quantità alla qualità, l’ominide copiando gli animali è uscito (in parte) dalla sua stessa animalità. Il resto lo ha fatto la scoperta dell’utilizzo del fuoco , la nascita del linguaggio, la elaborazione della funzione simbolica, lo sviluppo della coscienza. Infattila elaborazione di racconti mitici implica, attraverso la funzione narrativa, una forma di consapevolezza e controllo dei propri simboli e pensieri.Tutti fattori questi che finalmente fondarono in modo altamente significativo la sua diversa umanità e che portarono alla produzione del binomio arte-religione e specificatamente del mito all’interno della dimensione magico animistica. In particolare l’utilizzo del fuoco ha avuto conseguenze enormi:
– è l’inizio della prima forma di secolarizzazione nel senso che per la prima volta imparò a dominare i propri terrori magici e in un certo senso a mediarli e a utilizzarli
– la fuoriuscita da un mondo puramente istintivo dato che nessun animale era in grado di vincere il terrore del fuoco.
– finisce l’era dello sbranamento e del sangue alla bocca che è la vera origine del mito dei vampiri.
Ora tutte queste cose messe insieme, pur derivando dalla natura, hanno fatto si che l’uomo facesse il gran salto, andando ben oltre i confini naturali attivando il suo originalissimo percorso di una infinita creatività artistica e strumentale. Adesso però è arrivata la resa dei conti e la natura presenta il prezzo rispetto a tutto quello che le è stato sottratto in modo troppo feroce (sfruttamento catastrofico) e troppo subdolo ( falsa razionalità di un modello fuorviante di pseudo scienza). La scienza non dovrebbe essere una pistola in mano a dei rapinatori (capitalisti) come purtroppo è accaduto nel passato e continua a essere: deve ritrovare una nuova epistemologia legata alla armonia della totalità, una nuova eticità in cui società e natura si riconoscono e salvano a vicenda, in base a un compromesso finalmente accettabile per entrambe.
Infine notiamo l’ultimo livello quello più importante di tutti (cervello cognitivo) ossia la corteccia cerebrale. E’ proprio l’ultimo e infatti si trova a diretto contatto con la calotta cranica. Questo livello è la sede di funzioni cognitive straordinarie, attivando le caratteristiche della più grande intelligenza e capacità conoscitiva. Poiché tutte queste funzioni logiche cognitive sono nate a livello intuitivo inconscio e tali si sono mantenute nella percezione preliminare, noi le definiamo pre-categorie. Questo perché prefigurano la funzione vera e propria che sarà dei concetti (categorie) in seguito elaborati dalla filosofia in direzione della sua esplicita scoperta e classificazione delle modalità della intelligenza e della conoscenza.
— fa sintesi ricostruendo la totalità e confrontando gli elementi tra di loro; non dimentichiamoci mai che la sintesi totalizzante (come ha dimostrato la Gestalt) è l’aspetto qualitativo originario della percezione e quindi della conoscenza (ma lo aveva già detto Hegel). E alla fine deve restare tale armonizzando sintesi e analisi. Pertanto non deve smarrirsi anche se dovrà passare per le forche caudine della quantificazione-matematizzazione. In caso contrario ecco la pseudo scienza che smembra tutto, certo con potere immenso, tuttavia predisponendosi a ogni tipo di selvaggia violenza e strumentalizzazione economica, politica, ideologica etc. E’ questo il potere della matematica attraverso la quantificazione che è sempre la riduzione verso il più piccolo.
– fa analisi dividendo gli elementi più semplici
– inventa il pensiero astratto attraverso lo straordinario potere della metafora e della metamorfosi. Attraverso la metafora compara e connette tra di loro infiniti oggetti e azioni; ma così facendo estrapola e disincarna (astrae) le loro qualità caratteristiche. In questo modo inventa deisignificati linguistici a carattere universale, applicabili potenzialmente all’infinito. Attraverso la metamorfosi sintetizza i simboli tra di loro, esprimendo una creatività artistica onirica in grado di dare voce alla misteriosa profondità dell’inconscio. In questo modo il pensiero astratto elabora e ricostruisce modelli di pensiero virtuali e mentali, andando ben oltre la presenzialità concreta degli oggetti (come lo stesso progetto del cavallo di Troia di Ulisse, la teoria egli opposti in Eraclito, il sillogismo di Aristotele etc)
– soprattutto ha sviluppato la dimensione critica, confrontando le esperienze, scegliendo la migliore non solo in senso pratico ma anche in senso etico e valoriale. In questo modo è andata ben oltre il semplice utilitarismo comportamentista (e qui siamo di fronte al sacrifico, all’eroismo della intelligenza e della volontà libera).E’ la dimensione da cui deriva il senso più alto della nostra umanità, riuscendo a censurare e controllare la negatività tipica dei due cervelli più arcaici. Tuttavia è chiaro che noi potremmo riscontrare queste facoltà, tutte insieme e in modo dinamico, solo a partire dalla nascita della filosofia vera e propria. In realtà anche queste si sono sviluppate molto lentamente in corrispondenza e in parallelo tra lo sviluppo della intelligenza umana e quello della corteccia cerebrale. Non esiste la data di nascita di ciascuna di queste funzioni mentali che comunque sono state esplicitate solo nel corso della storia della filosofia ai suoi albori in Grecia. Il senso di questa operazione consiste proprio nel dimostrare che la funzione simbolica mito poietica, immaginifica e visionaria, nascondeva, covava al suo interno implicite ( anche se livello embrionale) tutte le categorie filosofiche che emergeranno nettamente, nel nuovo discorso di tipo dialettico filosofico.
Stiamo parlando di:
–intuizione: in senso generale tutto ciò che appare nella coscienza immediatamente senza che ci rendiamo conto del lavoro precedente svolto dalla organizzazione della nostra intelligenza a livello inconscio; in senso specifico l’elaborazione, indirettamente simbolica oppure direttamente concettuale, che ci permette di risolvere dei problemi in modo velocissimo e fulminante, senza che ci rendiamo conto di come si sia pervenuti a tale risultato.
– induzione: il criterio di validità e di verità probabilistico che affidiamo a eventi più volte ripetuti nel tempo
– deduzione: la elaborazione e scoperta di nessi necessari causali inerente a processi formali del pensiero (matematica, sillogismo) oppure a processi materiali della realtà (determinismo)
– verificazione: la scoperta, positiva o negativa, quindi da ripetere o da evitare, che mettendo in atto determinati effetti si realizzano delle cause corrispondenti. Quest’ultima che curiosamente è apparsa per ultima nella storia della filosofia, se intesa come sistema scientifico rigoroso con applicazione di strumenti e formule matematiche, nella sua semplicità primitiva corrisponde al processo della esperienza presente a livello inconscio e istintivo anche negli animali.
– contraddizione: in realtà questa figura logica (sintesi necessaria di opposti che si negano e affermano nello stesso tempo) non è precategoriale, non appartiene alla immediatezza inconscia della intelligenza degli uomini normali, ma è frutto della elaborazione filosofica vera e propria, diciamo artificiale: nasce appare solo in Eraclito.
LA NASCITA DEL LINGUAGGIO E DELLA COSCIENZA
Stabilire se è nato prima il linguaggio o piuttosto la coscienza è come stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina. Se intendiamo la coscienza in senso forte, ossia la coscienza che percepisce se stessa come coscienza o almeno come fruizione non più solo istintiva intuitiva della visione del mondo, allora questo tipo di coscienza è nata insieme al linguaggio e si è sviluppata con esso. Ma se intendiamo la coscienza come un subconscio intuitivo, che comunque presiedeva apparentemente sommersa e nascosta, a una complessa organizzazione intelligente delle funzioni mentali, già oltre l’istinto meccanicamente inteso, allora è nata prima questa antenata archetipa della coscienza vera e propria. In questo senso è nata molto prima del linguaggio stesso, sviluppandosi lentissimamente nel corso di un periodo lunghissimo. Forse dovremmo dire se è nato prima il linguaggio oppure la intelligenza organizzativa strumentale (finalizzata, organizzata) inconscia: la risposta è affermativa per la seconda. In realtà stiamo parlando dell’istinto che almeno nella sua fase più primitiva, ipotizza addirittura la esclusione della coscienza. Basti pensare a che cosa è capace il mini cervello di una formica o di un ape per capire quante cose di incredibile ingegno e organizzazione questi animaletti siano capaci di fare su base puramente istintiva. Purtroppo è anche un modo per dire che per l’uomo, quello che chiamiamo coscienza, spesso ancora oggi è del tutto pleonastica: succede quando i suoi comportamenti scadono nelle forme peggiori di determinismo animalesco. In tutti i casi sicuramente la evoluzione e il potenziamento del linguaggio ha portato con se anche lo sviluppo della coscienza; ma questa è una considerazione fin troppo banale. Tuttavia prima di affrontare il tema del linguaggio vero e proprio, cerchiamo di chiarire che cos’è la coscienza e soprattutto il suo vero ruolo. Ancora una volta sarà opportuno ribadire che, a tale proposito, sarà impossibile sviscerare le graduazione cronologiche processuali avvenute realmente nella preistoria.
Abbiamo già detto che almeno negli animali più evoluti (in primis le scimmie antropomorfe) pur rilevando la egemonia dell’istinto, non si può escludere che sviluppassero anche una forma, sia pur minima ed embrionale, di volontà consapevole e di creatività: in poche parole una forma minima di coscienza che non fosse esclusivamente un fenomeno passivo. In particolare nelle scimmie antropomorfe questo embrione si è sviluppato fino al punto di portare ai vari tipi di ominide e da ultimo all’uomo sapiens sapiens.
Pertanto almeno nell’ominide deve esserci stata una formazione e un processo di ambivalenza e compromesso tra base istintiva e inizio della coscienza.
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Ma allora che cos’è la coscienza? La coscienza per così dire vera e propria, la ritroviamo prima di tutto a due livelli:
– è come già detto, il displai percettivo, visionario e sonoro, la modalità complessiva in cui appare e si manifesta la totalità delle nostre percezioni e dei nostri pensieri nella sua attualità più immediata. Questa in realtà nella sua dimensione attuale e attualizzante, è solo la punta dell’iceberg di una massa di dati molto più grande: in parte semi sommersa e in parte sommersa del tutto. La coscienza infatti non è altro che lo schermo dove si proietta la sintesi e il confronto selettivo tra l’urto delle percezioni incombenti, e la memoria di tutte le esperienze e i vissuti precedenti (qualcosa di enorme e che aumenta sempre di più). Se la coscienza appare come questo schermo, il subconscio sommerso appare come il contenitore o il deposito di tutti i film (i drammi simbolici emotivi) e documentari (conoscitivi) precedenti. Questi vengono volta a volta ripristinati o associati a quello realmente percepito e proiettato nella immediatezza dell’esperienza. Questa immediatezza è tale solo perché si verifica momento per momento; ma abbiamo capito che in realtà è il risultato finale di una enorme mediazione operata dalla memoria complessiva e dalla intelligenza. Ora se c’è un regista occulto di questa operazione ancora una volta è il nostro inconscio nascosto. Inoltre è’ proprio perché è impossibile separare la intelligenza dai contenuti di memoria a cui si applica, che la definizione di deposito o contenitore di quest’ultima è molto improprio. Infatti non è uno scaffale, non è una cosa, men che meno è una dimensione topologica separata a camere stagne come potrebbe essere una biblioteca. Insomma la memoria generale non esiste e i tre tipi di memoria riconosciuti funzionano tutti assieme e si aiutano a vicenda. La vita in un certo senso non è altro che la coscienza intesa come sintesi palpitante di tutti questi fattori: percezione, intelligenza e memoria, simbolo ed emozione. E questa forse è anche la più alta definizione di coscienza. In realtà la memoria è paragonabile a un orto vivente che crea e ricrea continuamente la propria organizzazione e dove le piante (i ricordi) sono potentemente collegate e intrecciate tra di loro. E’ proprio per questo che possono entrare in connessione in base a particolari corrispondenze e associazioni. Riepilogando abbiamo già riscontrato tre livelli. Partendo dal basso:
– i tre livelli della memoria inconscia dove si accumulano e intersecano, interagendo a diverso titolo i ricordi, da quelli più vicini a quelli più lontani; ma mai in senso riproduttivo passivo e sempre nel senso qualitativo della creazione incessante di nuovi vissuti esperiti e memorizzati. Lo stesso ricordo rivissuto non è mai lo stesso. Questi tre livelli costituiscono comunque la parte di memoria totalmente inconscia e quindi sommersa.
– il punto mediano di intervallo e di intersezione in cui la parte inconscia emerge e incomincia a fuoriuscire alla coscienza: questa è sub conscia quasi in dormiveglia. Ritornando alla immagine dell’iceberg è la parte semi-sommersa e semi-galleggiante. (IMMAGINE ICEBERG)
– il risultato finale è quello in cui tutto questo si realizza e appare alla coscienza come se avesse fatto tutto da sola, miracolosamente e intuitivamente nel senso , direbbe Hegel, di un colpo di pistola; infatti è sempre intuitivo, immediato, velocissimo e per giunta incessante ( agisce persino quando dorme); ma ha alle spalle un lavoro enorme come quantità e soprattutto qualità preparato dalla parte sommersa.
La coscienza dunque è la vita nel senso che qui si mangia la pastasciutta e non l’analisi intellettuale critica di come è stata fatta e magari di che voto darle; questo lo fa semmai l’autocoscienza critica.
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Questo processo inteso come lo scenario visivo e sonoro, che cerca di riprodurre la scenografia della realtà esterna, ce l’avevano anche i primitivi e così pure gli stessi animali. Tuttavia, e questo è il punto cruciale, negli ominidi subconscio intuitivo e percezione del mondo, facevano tutt’uno in senso ipnotico: inoltre non avevano pensieri ma solo emozioni e pulsioni fino a quando non è apparso il linguaggio, ossia il fattore straordinario che ha sancito il distacco molto importante (ma non assoluto) dell’uomo dal mondo animale. Evidentemente non avevano nemmeno la differenza tra interiorità ed esteriorità. La vera coscienza appare quando ci si rende conto di questa separazione. Questo significa che tutto questo è accaduto quando è finita la simbiosi ipnotica tra la produzione del simbolo e la fruizione del simbolo, quando l’uomo per la prima volta ha incominciato a distinguere tra sogno a occhi chiusi e la immagine a occhi aperti. Questo ha comportato soprattutto una maggiore consapevolezza delle scelte e della stessa volontà. C’è chi ha ipotizzato che questo passaggio abbia determinato addirittura un diverso funzionamento del cervello umano (Nota). Osservando la dialettica tra subconscio percettivo preliminare e la fase finale della coscienza percettiva vera e propria, si potrebbe pensare che fosse sostanzialmente identica tra animali e primi ominidi. In realtà le scimmie antropomorfe avevano già un repertorio precategoriale più forte se non altro per la forza imitativa e per la maggior complessità delle loro relazioni e gerarchie sociali. Avevano anche un inizio di simbolizzazione legato al collegamento più articolato tra suoni e gesti. Quando nacque il rito si era già sviluppata una prima forma di linguaggio; e quando non molto tempo dopo, fece capolino la produzione del mito affabulatorio vero e proprio, era finalmente iniziata la grande avventura della cultura orale. In un primo momento la coscienza ha ritenuto che i suoi pensieri derivassero dall’esterno su suggerimento divino (siamo nella prima fase animistica del mito); ma quando ha capito che i pensieri erano suoi è nata finalmente quella vera autonomia intellettuale che ha contraddistinto dappertutto (Grecia, Cina, India) la nascita della filosofia. Questo è accaduto soprattuto in Grecia dove il distacco dal mito e dalla religione popolare, si manifestò in modo più forte e particolare: la prima filosofia greca (Fusis) era una forma di teologia intellettualista, materialista e naturalista; ma quella orientale, per quanto sofisticata, restava una teologia esclusivamente religiosa vera e propria. Ecco il motivo per cui noi, ancora oggi, viviamo in base a quella eredità miracolosa, in una società democratica e individualistica. Si tratta di valori che, tanto per dire, in Cina ancora oggi non conoscono e che in India appaiono ancora molto fragili e ambigui.
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Ma quando tutto questo prodotto percettivo, una volta memorizzatodiventa riflessivo e retrodatato, quando diventa coscienza di coscienza, coscienza che ripensa se stessa e tutte le sue precedenti manifestazioni, a questo punto nasce l’ autocoscienza in quanto tale. E’ solo a questo punto che l’aspetto concettuale prende decisamente il sopravvento su quello intuitivo simbolico (ovviamente senza abbandonarlo mai del tutto) ; o meglio quello intuitivo rielaborato si trasforma e diventa autocoscienza concettuale. La prima forma di coscienza e autocoscienza ce l’abbiamo già nella fase narrativa del mito: per elaborare una narrazione non può esserci solo una immediatezza spontanea intuitiva, deve esserci anche una capacità di collegamento che a sua volta presuppone una forma di controllo e di sintesi. L’autocoscienza vera e propria esplode, si fa per dire, solo con la scoperta della scrittura e si compie con la filosofia greca:
– nella scrittura perché solo così, nella produzione ed elaborazione di un testo scritto, si supera il livello intuitivo per lo più presente nella espressione orale. Quando parlo raramente controllo la gestione dei suoni e la forma delle parole: la mia parlata è velocissima e spontanea; ma quando scrivo sono praticamente costretto a fare autocoscienza continua sulla correttezza e sul senso generale di quello che sto formalizzando attraverso dei segni grafici. Senza contare che solo così ce l’ho a portata di mano o di memoria per confrontarla continuamente nel senso riflessivo più complesso e più profondo: autocoscienza appunto nel vero senso della parola. Tuttavia è solo nella filosofia greca che l’autocoscienza si sviluppa quasi definitivamente senza tuttavia trovare una carta di identità precisa. Prima di tutto perché il il processo logico e l’architettura concettuale diventano imponenti tanto quanto era prima la mera produzione simbolica. Secondariamente perché emergono i concetti che individuano la organizzazione della intelligenza e della conoscenza e soprattutto emerge la battaglia dialogica per esprimerli e difenderli.
Infatti non dobbiamo pensare che il simbolo produce solo altri simboli attraverso un processo “infinito” di metaforizzazione; il simbolo si apre alla stessa concettualizzazione. Pensiamo appunto al fiume e al fuoco del filosofo di Mileto. La continua osservazione di questi fenomeni porta a ritenere che:
– nel caso del fiume esiste una dimensione di velocità incessante, di mutamento continuo, ma anche che in questo flusso permanente, esista una continuità e una permanenza. Il passo successivo è ritenere che tutta la realtà è la metafora totale di questa condizione. Siamo passati da una immagine diretta (il fiume) a un simbolo (lo scorrere incessante dell’acqua) a un concetto ( la variabilità processuale di tutto ciò che esiste).
– per quanto riguarda il fuoco alla fine si prende atto che questo fenomeno mentre distrugge tutto quello a cui si applica, ne riceve un continuo incremento e nello stesso tempo consuma anche se stesso: così mentre si autocrea si autodistrugge. (secondo Eraclito, ma anche secondo noi, questo è un bel esempio di contraddizione)
Questo non vale solo per la filosofia ma anche per la scienza se pensiamo alla famosa mela di Newton…
Pertanto la memoria (o meglio i vari tipi di memoria) ha un doppio carattere intuitivo: uno inconscio dove si prepara e organizza un materiale pre-percettivo, e uno intuitivo consapevole quando questo materiale si manifesta e appare nella coscienza. Ma la memoria non è solo il contenitore, il raccoglitore e connettore di tutte le esperienze e delle relative interpretazioni (emotive, simboliche, concettuali); non è una specie di catalogo enciclopedico che si limita a selezionare e classificare. La memoria è molto di più, ossia un crogiolo “magico” (nel senso che l’inconscio è una forma di pensiero magico) che assembla tutto questo in modo creativo (ma anche distruttivo) e misterioso. Cessa di essere enigmatico solo se si scoprono i codici interpretativi simbolici che strutturano e attivano il linguaggio segreto dell’inconscio. Questo accade mediante una incessante sintesi dinamica creativa, tale per cui lo stesso ricordo viene rivissuto in modo sempre diverso. Questo tipo di pensiero è talmente creativo che può in effetti aprirsi a dei colpi di genio improvvisi e inaspettati: le famose intuizioni geniali. Ora anche se quasi tutta la conoscenza, almeno inizialmente, nasce proprio così, tuttavia questi straordinari lampi mentali vanno lungamente verificati e rielaborati, non possono essere presi tout court senza beneficio di inventario. Aspetto che evidentemente i primitivi non facevano e non potevano fare, affidandosi quasi completamente alla intuizione (anche se un aspetto critico nel corso dell’esperienza dovevano pur averlo, per esempio elaborando le tecniche e strategie di caccia). Questa egemonia della dimensione intuitiva non rappresenta affatto, come molti vorrebbero, una delle principali caratteristiche della mitica età dell’oro, come se i primitivi sapessero già tutto per scienza infusa. Oppure facendo riferimento al fatto che non distinguevano coscienza e mondo esterno, allora vivevano in chissà quale simbiosi felice. In realtà la loro vita non era cosÌ tanto serena ma piena di potenze simboliche maligne o inquietanti. Infatti il pensiero intuitivo produce anche, più facilmente e molto più pericolosamente, forme molto gravi di sbandamento pseudo-logico e pseudo conoscitivo. Queste a loro volta costituiscono delle vere trappole di tipo emotivo e simbolico, peggiorando ulteriormente il significato negativo decettivo. Per decettivo intendiamo una falsità che non solo è destinata a peggiorare sempre di più, ma finisce per coinvolgere disastrosamente la totalità del contesto in senso etico e morale. A questo livello il simbolo ti incapsula e trascina nel suo doppio micidiale determinismo: quello emotivo ipnotico e quello immaginifico simbolico. Ora questa produzione simbolica non corrisponde ne alla vera realtà, ne ai veri bisogni umani (a meno di non accettare che anche mangiare i cadaveri faccia parte dei bisogni cosiddetti umani). Pertanto questo tipo di pensiero intuitivo, che corrisponde anche al primo livello della percezione (sia quella inconscia preliminare, sia quella che da ultimo effettivamente emerge alla coscienza), esprime anche, sempre a livello subconscio, un complesso coefficiente di invenzione mentale fantastica. Insomma mescola una dose di esperienza realistica, senza la quale non potrebbe vivere, con la produzione di un mondo completamente inventato.Certo possiamo dire che all’inizio vi era una sovrapposizione totale tra realtà effettivamente esperita in senso concreto e una artificiale attivizzazione simbolica della stessa. Incredibilmente quesa cosa, di mescolare e sovrapporre al reale la nostra fervida immaginazione, la facciamo ancora oggi attraverso illusioni, stereotipi e pregiudizi, visioni ideologiche ecc. Tale per cui la nostra idea di realtà non è la vera realtà, ha un coefficiente fortemente fantasmatico. Questo non solo nel senso conoscitivo per cui è solo una copia parziale e contraffatta della realtà, ma proprio nel senso che sovrapponiamo alla scenografia reale la nostra visione del mondo. Il problema non è solo e tanto un discorso di soggettivazione, di relativismo, ciascuno ha il suo; il vero guaio sta nella qualità di questo approccio che è sempre ipnotico. E’ lo stesso motivo per cui i pazzi o le persone fortemente nevrotiche non si accorgono nemmeno di esserlo; la stessa coazione a ripetere è un fattore prevalentemente ipnotico. Solo l’autocoscienza attivata dall’interno o dall’esterno, è l’unico è l’unico antidoto valido a questa specie di sonno mitico indotto nella infanzia e poi autoindotto da noi stessi. Oggi questo gap tra fantasma e realtà si è notevolmente ridotto, ma resta sempre presente sotto forma di illusione ideologica e cognitiva, anche scientifica. Infatti la nostra produzione mentale mantiene sempre a diverso titolo una doppia valenza dogmatica fideistica e superstiziosa. Questo persino nei più grandi filosofi e scienziati (che comunque sono figli del loro tempo); figuriamoci negli uomini comuni.Si tratta di un doppio livello “ideologico” (all’inizio della storia biologicamente precostituito, ma poi storicamente delimitato e determinato dalla evoluzione della civiltà) che dobbiamo necessariamente auto-produrre per fornirci la cosiddetta realtà: giacché sia ben chiaro, la realtà non è affatto partita subito come la intendiamo oggi. Essa si è realizzata nel corso di migliaia di anni; e forse tra millenni sarà diversa, anche molto diversa. Nel nostro modo di costruire ed elaborare la realtà ci sarà sempre qualcosa di fantastico e totalmente soggettivo ( ecco la eterna sopravvivenza del mito); tuttavia abbiamo sviluppato, soprattutto a partire dalla filosofia greca, un livello evolutivo di conoscenza, storicamente caratterizzato da grandi esperienze culturali e scoperte (“Fenomenlogia dello Spirito”) le quali anche ci danno un risultato sempre parziale lo mantengono apertoossia work in progress. Se non fosse soggettiva, ma subito totalmente oggettiva, cioè fondamentalmente riproduttiva (magari come copia esatta di una realtà già bella che data e confezionata una volta per sempre) il soggetto non sarebbe costretto a quella lunghissima e infinita rincorsa di se stesso e dell’oggetto, descritto meravigliosamente da Hegel nella “Fenomenologia dello Spirito”. Questa rincorsa intesa nel suo significato più positivo è l’unico vero senso della civiltà e forse della vita stessa: conoscere se stessi e il mondo come sono veramente; ma questo ancora una volta ci riporta alla fuoriuscita dal mito e dalla famosa caverna platonica. Ecco perché questo livello della rincorsa, eternamente verosimile nella sua attualizzazione concreta, si pone pur sempre come trampolino di lancio verso un verosimile più ricco, sempre più approssimato e ravvicinato alla verità che però non raggiungerà mai del tutto. Da questo punto di vista noi rincorriamo sempre il verosimile illudendoci necessariamente, ma pericolosamente, che sia la verità: la verità esiste come realtà che ci possiede, ma noi a nostra volta la intravvediamo sempre e solo in parte. Questo infatti significa verosimile: è simile alla verità realtà ma solo in parte. Quando le menti maggiori di un’epoca hanno raggiunto una condivisione nella soluzione teorica e soprattutto pratica di certi problemi, allora di sicuro c’è stata una svolta di tipo evolutivo che ci sta avvicinando alla verità. Il concetto di verosimile quindi dovrebbe dismettere la sua dimensione più negativa di copia semplicemente contraffatta, e diventare l’emblema di un processo veritativo progressivo che riesce a concretizzarsi sempre di più, aumentando la corrispondenza tra pensiero e realtà. E’ il concetto di inverosimile che invece può incrementarsi solo su di un piano simbolico, dilatando ed espandendo a dismisura la sua dimensione fantastica e immaginifica. Questo aspetto è fortemente positivo solo per l’arte ma profondamente pericoloso per tutte le altre attività umane. In realtà possiamo chiamare “falsità” la dimensione mentale negativa che salta completamente il problema della corrispondenza con la realtà, per il semplice motivo che ha un bisogno invincibile e originario di crearsi un mondo tutto suo e soprattutto di crederci ciecamente e compulsivamente. In questo senso non è solo uno stato infantile e primitivo, quindi fondamentalmente spontaneo: è purtroppo una struttura permanente della nostra personalità legata alla immaturità cronica e sempre risorgente del nostro inconscio singolo e collettivo. In poche parole è un mostro col quale siamo sempre destinati a fare i conti, quello che ci costringe a stare prigionieri dentro alla caverna e soprattutto a concepirla e viverla come se fosse meravigliosa mentre è la parte più infima e mefitica del nostro abisso mitico ideologico. Infatti rappresenta una patologia quasi sempre ereditaria (prima dalla natura, in seguito dalla famiglia e dalla società) alla quale aderiamo con tutta la nostra volontà, persino quando ce ne rendiamo perfettamente conto. In questo senso è molto più una perversione che una spontaneità. Quante volte una infinità di persone, singolarmente o collettivamente, pur assistendo al crollo oggettivo di credenze ormai dimostratesi perdenti e fasulle, se non addirittura folli e criminali, hanno voluto continuare a perpetuarle lo stesso a tutti i costi. Per noi l’antidoto a tutto questo significa far risorgere un nuovo illuminismo umanistico e scientifico profondamente emendati dai loro crimini (Rivoluzione Francese e Comunista) ed errori conoscitivi (positivismo sia alla vecchia maniera, che aggiornato in qualche forma di neo-scientismo)
Certo è profondamente contraddittorio attaccare il mito nella sua parte negativa, ma nonostante ciò riconoscerlo anche in quella positiva, ben consapevoli che epocalmente resteremo prigionieri subdolamente di entrambi: il problema è di farlo al minimo e non al massimo, di farlo in modo virtuoso seguendo soprattutto la ragione (filosofia critica più scienza critica al loro livello minimo di coefficiente mitico).
Di fatto la prima “concezione e visione” della realtà dei popoli primitivi era una specie di film ora semplicemente fantastico ora horror. C’è da chiedersi quanti popoli vivono ancora in queste condizioni. Basti pensare, lo ripeteremo all’infinito, alla tragica vicenda della infibulazione ecct. In effetti, ieri come oggi (ma probabilmente per sempre) la cosiddetta realtà è appunto la nostra particolarissima e limitata esperienza della percezione, collegata alla doppia condizionatezza strumentale che abbiamo a disposizione: ossia quella biologica originariamente ereditata e quella strumentale scientifica, attraverso la quale cerchiamo di allargare in continua evoluzione, i nostri precedenti confini sensoriali e cognitivi. Tale per cui ogni animale ha la sua speciale visione del mondo, ha la sua realtà: il suo particolare apparato percettivo se la seleziona e assembla come ne è capace, per giunta in relazione ai suoi bisogni fondamentali, i quali possono essere molto diversi e legati a contesti molto eterogenei tra di loro. Così questo apparato congenito percettivo, la natura ce lo ha fornito ed elaborato almeno in parte relativamente contraffatto, come facevano i primi fotografi che ritoccavano le foto; in parte lo inventano addirittura, come facciamo quando usiamo degli occhiali colorati: sono gli occhiali ad essere verdi e non il mondo in se stesso. Sembra una barzelletta ma succede più spesso di quanto non si possa immaginare, soprattutto sul piano simbolico ed emotivo: come quando i bambini baciavano Hitler o Stalin ma in realtà baciavano dei dinosauri sanguinari. Uno potrebbe dire; ma perché erano bambini appunto…In realtà lo facevano anche gli adulti che erano a loro volta dei bambini malati patologici in preda a una forma di ipnosi mitica ancora più forte di quella dei bambini.
Questa contraffazione e invenzione originaria è un disvalore in quanto tale (illusione, pregiudizio, scarso verosimile fino all’errore e alla falsificazione vera e propria) solo se travalichiamo, gravemente o del tutto, il piano della esperienza concreta socialmente condivisa, fino a perdere completamente il contatto con la realtà. La verità nella immediatezza della visione del mondo è sempre bordeline: è cioè ambiguamente verosimile, ma questa incertezza si scioglie positivamente se punta verso una concretezza limitata ma progressiva, oppure peggiora in negativo se sprofonda verso forme di auto allucinazione. Certo anche la nostra realtà e verità epocale resta dunque pur sempre verosimile: il problema è se viene vissuta e interpretata in senso dogmatico oppure in senso progressivo propositivo. Il suo fantasma mitico ha, nonostante tutto, un coefficiente di realtà che le permette di proseguirsi oltre se stessa: rappresenta il limite conoscitivo, l’illusione di un’epoca. Se non fosse così i libri di storia e di scienza resterebbero sempre uguali. Certo questa illusione può anche fermarsi e impaludarsi drammaticamente, ma finora ha sempre proseguito il suo cammino superando la propria impasse. Purtroppo solo oggi la scienza sta facendo una terribile e tardiva scommessa con se stessa, nel tentativo disperato di salvare il mondo dai suoi precedenti crimini ed errori, coincidenti con la sua compromissione tecnologico capitalista. Una cosa è sicura: solo lei, a patto di emendarsi e purgarsi dai gravi errori e perversioni precedenti (positivismo) potrà salvare il mondo (neo-illuminismo): non lo farà il capitalismo totalmente compromesso con quella pseudo scienza, non lo farà la religione e men che meno un assurdo ritorno al mito. Come già detto questa terribile deriva proviene dalla sua componente fideistica superstiziosa maggiormente legata al pensiero magico delle masse e delle elite (inconscio arcaico), ma soprattutto alla volontà di potenza di quest’ultime. Questa negatività pseudo-conoscitiva decettiva (perché entra e fomenta un mondo fantastico e non ne esce mai) lo ritroviamo nella parte peggiore del mito, delle religioni e delle odierne ideologie (ma in realtà persino nel cuore della cosiddetta scienza). Giunti a questo punto sarà bene precisare il significato di alcuni termini. Per fideistico intendiamo l’atteggiamento di totale accettazione (adorante, fanatica, indiscutibile) di un qualsiasi prodotto immediato del pensiero, un’asserzione, una immagine un simbolo, i quali vengono accettati ed esibiti in quanto tali, privi di qualsiasi istanza critica. Certo la componente più arcaica del mito corrisponde a questa totale mancanza di critica, esprimendo un vissuto che non aveva nemmeno i mezzi logici per esercitarla, restando totalmente incapsulato nella sua ipnosi religiosa. Ma più tardi, quando la filosofia greca questi mezzi li fornirà, la inconsapevolezza del mito diventerà la volontà passatista del mito, una malattia con cui facciamo i conti ancora oggi e che colpisce non solo le masse ma anche i geni “dogmatici”. Per superstizione intendiamo la credenza in poteri straordinari o comunque in una effettualità che non esiste da nessuna parte se non nella visione allucinata di chi la asserisce.Tuttavia entrando nel mondo dell’arte questa capacità creativa fantasmatica assume un significato del tutto diverso. Infatti incredibilmente si rovescia e sublima, acquistando un significato fondativo e originariamente positivo del tutto diverso. Questo non solo perché l’arte deve autoprodursi e percepirsi in un regime di libertà assoluta, quindisenza limiti e vincoli di sorta, ma perché il suo compito non è più quello connotativo. Non deve farci vedere una realtà concreta condivisa sul piano della verità univoca e della utilità sociale, ma è quello di far vedere tutte le prospettive possibili della realtà e addirittura di inventarle, sia su un piano di somiglianza realistica che di invenzione e creatività totali. Anche questo ha un significato conoscitivo enorme nel senso della esplorazione del nostro abisso pischico e della nostra stessa creatività potenziale. Ma mentre il verosimile ha un valore intrinsecamente pratico, nell’arte la dialettica di verosimile.-inverosimile ha un valore sempre aperto su un piano ideologico, immaginifico rappresentativo, cioè in definitiva simbolico. C’è però una differenza enorme; l’ideologia frega la gente perché nasconde il suo lato mitico (quando non lo esalta del tutto come nel nazismo…); nell’arte è molto meno pericoloso perché si sa già, per lo più, che è un gioco e una finzione. A questo punto, tanto per rimarcare il gioco così complesso e ambiguo della contraddizione, potremmo avere un inverosimile estetico che però ci da paradossalmente, sul nostro tempo e la nostra società, la verità più vera.
LA PASSIVITA’ DELLA COSCIENZA
Questo per dire che la nostra povera coscienza si trova inizialmente “costretta” tra due situazioni coercitive:
-una intrinsecamente ed esternamente passiva: subisce cioè la doppia condizionatezza necessaria sia dell‘urto della realtà in quanto tale, sia della qualità delle sue impressioni percettive (i limiti interni del suo apparato percettivo). Chiedere alla nostra coscienza se è libera è come chiedere a una foto se è libera: è prigioniera di un contenuto e delle modalità della sua reduplicazione visualizzazione. Infatti quando noi apriamo gli occhi non possiamo non vedere, così come non possiamo chiedere al cuore di non battere più: siamo prigionieri della visione. Non è vero che la coscienza è il luogo principale della nostra indipendenza, libertà e autonomia; semmai è vero il contrario, o meglio la coscienza in quanto sintesi è sempre una formazione di COMPROMESSO. La coscienza è il risultato relativamente passivo di tutte le precedenti operazioni subliminali percettive che l’hanno preceduta e alla fine resa possibile. Essendo un già confezionato, la coscienza non decide, ma è gia stata decisa da un inconscio percettivo intuitivamente fulminante sul piano dello scontro incntro con l’attualità (ma dietro ha tutto il vissuto della memoria precedente)
-pertanto la sua componente simbolica onirica (inconscio), ha sempre un valore parzialmente contraffattorio e a volte addirittura totalmente mistificante (come, alla peggio, nelle visioni dei pazzi schizofrenici). Questa dimensione mentale, ieri così drammatica ed egemonica nella cultura dei primitivi, in realtà resta ancora oggi inquietante e pericolosa: è sempre latente nell’inconscio delle masse e potrebbe riesplodere se opportunamente e tragicamente sollecitata.
Purtroppo questa patologia ideologica superstiziosa, la possiamo riscontrare (in modo forse minore; ma sarà vero?) anche tra persone molto acculturate e dotate intellettualmente (persino tra gli stessi psicoanalisti). Ancora una volta per evitare questa ricaduta del meglio verso il peggio esistono solo due soluzioni:
– una straordinaria capacità di autocoscienza (anche in senso psicoanalitico) da parte del singolo che deve avere evidentemente delle doti eccezionali.
– oppure un continuo e serrato confronto tra autocoscienze senza esclusione di colpi come per primo la faceva proprio il Socrate.
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Prima di tutto possiamo, a partire da una considerazione puramente cognitiva (ancora separata “teoricamente” da quella emotiva simbolica, ossia il vero inconscio) dividere “virtualmente” la coscienza in quattro parti. Volendo le possiamo anche separare cronologicamente, nel senso che “virtualmente” logicamente una accade per prima e la seconda, la terza e la quarta sono a diretta conseguenza della precedente, ossia una dietro l’altra. Lo facciamo a scopo puramente didattico; nella vera realtà sono quasi simultanee, a volte sinteticamente mescolate e sovrapposte, sulla falsariga di come l’inconscio tratta passato, presente, futuro, cioè tutte insieme e alla stessa maniera (come se appunto non ci fosse una vera scansione temporale). A livello funzionale la incredibile fluidità generale della nostra mente è tale che gli scompartimenti e le sequenze intese come realtà rigidamente separate e successive, in effetti non esistono: le mappe geografiche e i settori del mappamondo cerebrale, non ci devono far dimenticare che il nostro cervello funziona tutto insieme e tutto su una volta momento per momento. Poi ovviamente i momenti “totali” si susseguono cronologicamente, ma presente, passato e futuro sono sempre compresenti e coofunzionali. Pertanto è più facile dire che esiste una causalità totale e una effettualità totale che coinvolge tutti i fattori da un duplice punto di vista, diacronico e sincronico insieme. Conseguentemente anticipiamo (aspetto decisivo che riprenderemo alla fine) la coscienza in quanto tale non può essere riportata meccanicamente a singole parti della materia (cerebrale), in quanto la sua vera dimensione potenziale è quella di trascendere incessantemente (conoscitivamente) la realtà e persino se stessa. Pertanto prima di specificare le quattro componenti virtuali della coscienza parleremo ora della intelligenza trascendentale scoperta la prima volta da Anassagora.
IL NOUS
Il primo che ha capito questo con assoluta genialità, elaborando la prima teoria complessiva sulla intelligenza umana (NOUS) è stato Anassagora. Questa a sua volta è stata interpretata in due modi completamente diversi: ossia su base materialista oppure spiritualista; ma sta di fatto che il Nous è la intelligenza che regge l’universo, immanente e trascendente nello stesso senso. Per noi la componente spiritualista non convince: non esiste questa intelligenza che aleggia al di sopra dell’universo come una specie di fantasma e spirito guida, che nello stesso tempo lo regge e finalizza (verso dove?: verso se stesso come dirà Aristotele…) Ci convince di più la dimensione materiale, anche perché non dimentichiamo che Anassagora fu il primo a inventare la teoria atomica della materia. Questa intelligenza agisce nel cervello perché questo evidentemente rappresenta il punto più alto di realizzazione e organizzazione della stessa materia, proprio perché lo fa in modo consapevole. Ora nella materia vera e propria può agire in modo ancora più complesso ( al punto che tutta la intelligenza umana ne conosce ancora una minima parte) ma in modo inconsapevole; conseguentemente si ritrova nella stessa ma a svariati livelli di complessità, automatici e meccanici. Secondo An essendo automatico accade in modo assolutamente necessario e deterministico (ecco una falla nella sua teoria: oggi la scienza ammette per lo più la importanza del caso).E’ immanente perché presiede alla struttura e organizzazione della materia, è trascendentale perché ne determina anche il destino ma senza esserne condizionato. Se la intelligenza del cervello dipendesse dalla materia che lo attiva in base alle caratteristiche negative coercitiva della stessa, la intelligenza umana sarebbe ben poca cosa. Invece, pur restando nel senso materialista il Nous, che si trova anche nell’uomo, ha la straordinaria caratteristica di essere a contatto con tutta la negatività della materia senza esserne contaminato (al massimo temporaneamente), anzi la supera e la svela conoscitivamente. Il nous supera continuamente la materia interna (cioè se stesso) e facendo ciò supera anche quella esterna: quindi conoscendo entrambi, ne limita gli effetti negativi e la spinge verso la positività. Purtroppo questo è avvenuto soprattuto con la medicina, questo è innegabile: e infatti il nous è paragonabile a quei medici che pur in contatto con le malattie non solo non le prendono, ma le curano: così pur essendo materia non la subisce ma la trascende incessantemente. Potremmo anche dire che il cervello umano è l’unico tipo di materia che oltre a essere consapevole, esprime una funzionalità che va bel oltre la effettualità della sua struttura. E’ temporaneamente affetto da errori conoscitivi, ma può sempre curarli e superarli. Purtroppo questa teoria ha due grandi difetti. Prima di tutto non conosceva la reale strutturazione materiale di ciò che elabora la conoscenza: cioè l’io. Il nous in realtà è dominato dalla irrazionalità dell’inconscio , cioè da una sub-materia ma Anassagora non poteva saperlo Secondariamente ritiene che la conoscenza sia già di per se positiva, che il conoscere in se stesso sia già legato alla elevazione spirituale; nello stesso tempo che l’universo materia, esprimendo questa intelligenza, sia esso stesso espressione “necessaria” della razionalità e quindi del bene. Purtroppo l’universo è anche guidato dal caso, il quale non è ne buono ne cattivo, accade e basta; ma i suoi effetti possono essere comunque devastanti per la sofferenza e la morte della vita percipiente il dolore. In definitiva anche la razionalità può essere massimamente malvagia, come testimoniano le invenzioni delle macchine da guerra e i regimi che prevedono massacri e torture di massa. Quindi non basta la conoscenza della razionalità intesa come mera conoscenza nuda e cruda, ci vuole anche l’idea del bene; ma questa la possiede solo il filosofo (?) , unico solitario tra gli uomini, inoltre richiede un terribile sforzo di volontà assai raro. Questo tipo di ragionamento venne esplicitato e portato alle estreme conseguenze da Socrate che con la teoria dello intellettualismo etico pretendeva che la conoscenza portasse automaticamente al bene; ma basta pensare agli scienziati nazisti per mettere in ridicolo questa teoria troppo ottimista. E’ come quei medici che a contatto con le malattie non solo non le prendono, ma le guariscono. Le malattie sono i misteri (ma anche gli errori interpretativi) della materia e dell’universo, la guarigione trascendentale consiste nel continuo avanzamento della conoscenza. Il Nous è materiale e immateriale nello stesso tempo; se si preferisce è una forma di materia straordinaria, oggi diremo una forma di energia. . Com’è possibile tutto ciò? Perché il nous parte da una totalità critica e tende a una totalità critica andando in tutte le direzioni finché trova quella giusta. Nello stesso tempo ovviamente dei danni a settori specifici del cervello coinvolgono funzioni particolari, testimoniando che è materia; ma la sua capacità evolutiva e progressiva inarrestabile dimostra la sua valenza trascendentale. E’ materia, è dentro alla materia e al mondo, supera la materia.
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I LIVELLI DELLA COSCIENZA ( PRIMA PARTE)
Vediamo ora i 4 stati virtuali di coscienza, 2 inconsci (inconscio simbolico ed emotivo; inconscio pre-percettivo preliminare) e due sono consapevoli (coscienza e autocoscienza). I primi tre sono compresenti e simultanei a vario titolo in tutti gli esseri umani; l’ultimo si accende solo in chi cerca la verità sia pure a un livello introspettivo minimo, ossia in chi fa filosofia o per lo meno inizia. Tuttavia sia chiaro che anche questo, pur essendo l’unico antidoto contro la falsità e il predominio dell’inconscio, non approderà mai a un livello di verità assoluta e sarà sempre potentemente condizionato dall’inconscio.
a) la prima dimensione è proprio l’ultima che è stata scoperta da Freud: l’inconscio. Tutta la nostra produzione mentale e in definitiva la nostra personalità, è subdolamente telecomandata a livello ipnotico (totale nel sogno, parziale nella cosiddetta coscienza vigile, che in realtà è in dormiveglia) da una memoria segreta contenente i nostri traumi infantili. Questi vanno intesi non solo come dolori violenti veri e propri, ma anche come frustrazione di desideri mancati o non soddisfatti, soprattutto di tipo sessuale. Questi fatti vengono rimossi e trasformati, criptati, nella elaborazione di una costellazione di simboli ricorrenti che determina la nostra emotività e il nostro comportamento. Pertanto persino il secondo livello, ossia la pre-percezione preliminare è filtrata e selezionata proprio da questa istanza segreta.
b)la seconda dimensione è quello dello lo stato della percezione inconscia preliminare; infatti questa non è una vera coscienza nel senso, che essendo inconscia, è sommersa e non appare: tuttavia lavora segretamente e velocissima a livello quindi intuitivo. Però fa le stesse cose della sorella gemella più grande che poi la clona nella dimensione dell‘evidenza visiva e consapevole. E’ già una forma di percezione perché non solo è organizzata ma è un “sistema articolato vero e proprio”, basato sul primo approccio sensoriale con la realtà esterna. in effetti fa le stesse cose della (percezione) coscienza ma in modo diverso, cioè preliminare e inconscia. La prima è una dimensione inconsapevole in via di elaborazione, la seconda è il suo duplicato semi-conscio a livello di ultima confezione come risultato acquisito e visibile momento per momento (ma sempre passibile di essere rimesso in discussione).
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La terza dimensione: la coscienza. Siamo finalmente entrati in una dimensione di consapevolezza però non totale. La consapevolezza è data dal fattore ovvio e banale che finalmente appare il displai visivo e sonoro della coscienza, non solo ma vi è una certa consapevolezza mentre accade, , sia pure superficiale e immediata, del suo significato generale. Tuttavia non dimentichiamo mai che :-
-è legata all’inconscio vero e proprio
-è ancora legata come un cordone ombelicale alla pre-percezione preliminare; quindi non è del tutto consapevole essendo al confine tra conscio e inconscio. Pertanto la (percezione) coscienza vera e propria prende tutto questo come prodotto finale in una forma comunque “parzialmente consapevole”. Parzialmente consapevole significa, da un punto di vista conoscitivo, ribadire tre aspetti importanti:
– ovviamente quello più banale ci avverte che non è e non sarà mai una verità assoluta (anche se magari la si scambia per tale). Questo errore lo fanno le persone normali che hanno un livello scarso o nullo di introspezione; ma lo fanno persino i filosofi che si fermano subito a questo livello. Questo è particolarmente grave quando si scambiano forme di evidenza superficiale per verità assolute; stiamo sempre parlando di approssimazione verso la realtà. Il problema consiste nel fatto che la coscienza nella sua spontaneità, non accetta la insicurezza derivata dalla incertezza dei suoi risultati provvisori e relativi. Anzi si abbandona facilmente a forme di verità assolute innamorandosi e difendendo a spada tratta il suo prodotto immediato. Questo lo fa andando in due direzioni opposte: affidandosi alla intuizione simbolica ed emotiva ( a volte geniale, ma più spesso mitica…) oppure a una forma fraintesa di evidenza che assolutizza i fatti. La prima è pericolosa perché copre il mondo con un sipario inventato; la seconda perché scambia il coperchio per la pentola, rischiando ogni volta di bloccare e fraintendere la ulteriore profondità della conoscenza. Infatti la superficialità blindata del fatto si appoggia a sua volta sul determinismo del passato e del presente bloccando il futuro e impedendo alla novità di emergere. Il passato rappresenta un blocco enorme con la sua tremenda forza di gravità verso ciò che ci ha preceduto, una forza che oggettivamente blocca la novità, più difficilmente la favorisce. Anche il presente è in gran parte risucchiato dal passato: tuttavia ciò non impedisce mai anche la fuoriuscita di semi che potrebbero germogliare. Questi, se opportunamente riconosciuti e aiutati, rompendo la dura scorza che vorrebbe comprimerli e sopprimerli, diventeranno il futuro come superamento dei limiti del passato. Tuttavia se vengono bloccati questo, che è già grave a livello conoscitivo, lo è ancora di più a livello di dinamica sociale, ostacolando il processo di maturazione e liberazione della società. Proprio Hegel ha mostrato quanto sia drammatica la immaturità della coscienza “naturale” e di quanta strada abbia dovuto percorrere per trovare, nel compromesso evolutivo che la sintesi fa spingendosi sempre più in alto, una concezione relativistica della verità che è poi il vero fondamento della democrazia e della scienza. Questo compromesso non è solo la testimonianza epocale di una verità sempre parziale, ma è anche il fondamento di una civile convivenza a tutti i livelli della società: compresa quello tre maggioranza e opposizione nelle società democraticamente più evolute e e avanzate. Questo nonostante il fatto che proprio lui abbia reintrodotto miticamente e metafisicamente una forma di assoluto come approdo finale della coscienza diventata autocoscienza. Per noi, e non ci stancheremo mai di dirlo, l’autocoscienza critica è appunto il massimo livello e organo di tutte le facoltà critiche del pensiero. Queste tendono non solo a rivelare e superare gli errori della conoscenza, ma i crimini del potere. In questo modo svelano tutte le pseudo giustificazioni che vengono fatte ideologicamente a livello mitico o con l’alibi della cosiddetta necessità dei fatti. Ecco una nuova mitologia di auto-giustificazione pseudo scientifica delle classi dirigenti laiche e religiose.
– pertanto per la coscienza, la sua stessa provvisorietà è il trauma conoscitivo ed esistenziale più grande: è quello che fa restare le masse ( e i dirigenti) in preda a forme di dogmatismo feticista e superstizioso. E’ quello che fa rimpiangere il passato del medioevo quando tutti vivevano , pur nella più grande precarietà materiale, con grandi ed eterne sicurezze vitali. Invece la coscienza se inserita in un processo positivo di conoscenza è sempre avviata in un percorso ininterrotto che finirà solo con la morte…E’ dunque disposta a fare una delle cose più difficili e dolorose: accettare la sua morte parziale, ma anche la sua rinascita, ogni volta che è costretta dalla forza della verità a fare un salto conoscitivo. Nello stesso tempo non potrà mai godere a pieno dei suoi successi: sa che sono parziali perché soggetti a revisione ed anche perché il mondo è sempre cangiante. Questo vale anche su di un piano squisitamente emotivo; anche se dovessimo ripetere sempre lo stesso schema vincente, depositato nella memoria e poi resuscitato e attivato con successo, in realtà non sarà mai vissuto emotivamente nello stesso modo.
I LIVELLI DELLA COSCIENZA SECONDA PARTE
Il primo livello lo chiamiamo lo stesso coscienza subliminale, per rimarcare il fatto che fa le stesse cose della coscienza, e facendolo prepara, seleziona e assembla, i materiali sensoriali che e poi appariranno visibili nella coscienza vera e propria. Quando noi lavoriamo al computer, a un certo punto compaiono sul display delle immagini visibili; sembrano apparire di colpo come per miracolo, ma non è così: il nostro computer ha già eseguito una quantità incredibile di operazioni e trasmissioni di messaggi, codici ecc velocissimo e in modo invisibile. Alla fine di tutto questo lavoro segreto, così complesso e considerevole, appare solo il risultato finale. Questo magari paradossalmente, è anche minore rispetto al lavoro che lo ha preparato. Così accade anche con la nostra coscienza. Non vediamo le sue funzioni preliminari senza le quali la coscienza-display non ci sarebbe: vediamo solo il prodotto ultimativo.
– prima di tutto, come ci ha insegnato la Gestalt, e contrariamente alla teoria associativa (dando ragione ad Hegel che la prima e più importante categoria filosofica, è quella totalizzante sintetica) i dati sensoriali non appaiono uno alla volta, ma sono subito organizzati in una forma unitaria. Non vedo una retta come dei punti frazionati e man mano ricomposti e uniti uno dopo l’altro, come una specie di somma sul pallottoliere, ma li vedo subito immediatamente senza soluzione di continuità come una linea completa; e non la vedo solo come figura neutra, se è colorata vedo subito un filo longilineo colorato. Anche in questo caso non vedo prima la riga e poi il colore ma li vedo insieme. Perché accade questo è un altro grande mistero. Probabilmente la stessa esperienza per strutturarsi ha dovuto ricostruirsi evolutivamente (quindi dopo chissà quanti tentativi) in base a una capacità per così dire “produttiva” di forme unitarie e non disciolte o sparpagliate in una specie di caos atomistico. Anche se riceviamo (nella prima immediatezza dell’inconscio percettivo) le immagini sequenza di un cartone animato una alla volta, alla fine lo ricomponiamo nella coscienza come una forma unitaria dinamica; lo stesso dicasi per le parole o per i suoni. Sarà forse una specie di trucco necessario e abitudinario per far funzionare l’impalcatura della esperienza. Questa infatti non può sorgere ogni volta ex novo, o rimettersi in discussione completamente: sarebbe antieconomico al massimo, e comunque anche mortale nello scontro per la sopravvivenza. Nello stesso tempo è evidente che ricostruiamo e ci aspettiamo che la realtà sia sempre la stessa, che i suoi mutamenti non siano vere novità sconvolgenti, ma movimenti ciclici ripetuti, in quanto tali anticipati e prevedibili. Già qui notiamo un aspetto illusorio e ipnotico molto forte: la realtà è la nostra visione del mondo come noi vorremmo che fosse e soprattutto che restasse. Nel primo caso anche se fosse apparentemente visionaria e rivoluzionaria,in realtà resta dogmatica e conservativa: non vogliamo accettare le critiche e soprattutto sottoporla a verifica. Nel primo e secondo caso questo è il principale motivo per cui lo spirito di conservazione prevale su quello di cambiamento. Questo non solo a un primo livello percettivo, ma poi ideologico man mano che ci innalziamo verso livelli culturali sempre più complessi. Tuttavia la percezione inconscia e conscia non può fermarsi, se vuole sopravvivere al puro livello conservativo, deve saper mutare utilitaristicamente in base alle circostanze. Quindi paradossalmente è proprio il livello ideologico, culturalmente molto più complesso e apparentemente autocosciente, a mostrarsi, spesso tragicamente, ultra conservatore, anche se s spaccia magari per rivoluzionario.Tuttavia attenzione: la vera autocoscienza non è la costruzione di un sistema concettualmente iperbolico, ma la capacità di sottoporsi a critica, revisione, verificazione; altrimenti resta dogmaticamente solo visionaria ed emotiva. Parafrasando la grande filosofia ritroviamo sia Parmenide, una volontà di identità e permanenza, sia Eraclito, cioè la necessità di essere predisposti anche al mutamento incessante, destabilizzante e improvviso. Infatti la coscienza, questa forma abitudinaria pre-confezionata che vorrebbe restare tale, tuttavia ha sempre anche la necessità costrittiva di rimettersi alla prova, nello scontro confronto con la esperienza mutante della attualità reale. Lo schema riproposto e rivissuto vorrebbe esorcizzare la novità per riconfermarsi agevolmente e comodamente; ma viceversa è proprio la novità che potrebbe rimetterlo in crisi, costringerlo a modificarsi in parte o a sostituirsi del tutto.
Uno dei grandi paradossi consiste nel fatto che, nel passaggio dalla percezione subliminale a quella cosciente vera e propria, esistono tre livelli di attivazione e se si vuole, tre dimensioni di attenzione e attualità. In realtà sarebbero quattro, se considerassimo anche l‘autocoscienza, ma questa essendo il livello più alto di consapevolezza, comunque mai assoluto, la vogliamo tenere distinta:
– il primo di carattere conservativo va sempre alla ricerca di una riconferma rassicurante (lo fa tornando ad confrontare ed riconfermare nella memoria risultati positivi).
– il secondo reagisce, già a livello inconscio, alla irruzione spiacevole e stressante di elementi nuovi e perturbanti, con i quali è letteralmente costretta a fare i conti in fretta. E’ dunque anche una sentinella sul chi va là, che non può permettersi di cullarsi solo sulla prima impressione rassicurante. E’ qui che avviene l’inizio di una nuova verifica perdente o vincente. Dopo aver detto questo è abbastanza sconvolgente constatare che appunto a livello inconscio intuitivo, esiste già un apparato critico formidabile al servizio della salvezza della specie, anche se l’aspetto conservativo è altrettanto importante; ma non in tempo di guerra evidentemente…
– il terzo e ultimo aspetto della coscienza in quanto tale è quello del risultato finale dell’attenzione, quando nella nostra coscienza si manifesta il display visivo e sonoro della realtà: qui attraverso una attenzione finalmente consapevole e la volontà autodeterminata, possiamo decidere il proseguo manifesto delle nostre attività. A questo punto la coscienza se vuole può continuare come flusso immediato come quando guardiamo un film per ore, senza fare appunti critici, ma semplicemente abbandonandoci alle nostre emozioni. Questo film potrebbe essere il film della nostra vita. Esistono persone che passano tutta la vita così, abbandonati prevalentemente alla immediatezza delle loro impressioni ed emozioni: i primitivi, i bambini (anche se quest’ultimi un certo spirito critico ce lo devono pure avere se vogliono superare i livelli della formazioni psicologica), i pazzi ettc. E’ questo uno dei motivi per cui si resta prigionieri per sempre della propria confezione ideologica originaria, per cui quando un evento o qualcuno, ti rompe questa specie di bolla, è un grande terribile trauma (lo fanno i nostri simpatici missionari che distruggono il vecchio mito per sostituirlo con un nuovo…). Ma se una volta finito quel film, ci soffermiamo ad analizzarlo e discuterlo pezzo per pezzo, allora incominciamo a fare autocoscienza avviando ed elaborando un complesso apparato categoriale critico di tipo conoscitivo, estetico , morale etcc. La nostra autocoscienza è, nonostante tutto (ovviamente anche lei è molto condizionata dal contesto e dall’inconscio singolo e collettivo) l’ultimo baluardo per comprovare e raffinare l’intuizione, per difenderci dall’inconscio, dal mito, dal potere: insomma per contrastare tutto quello che, per via endogena o per via esogena, finisce per farti il lavaggio del cervello. Questa è uno degli aspetti più incredibili e paradossali della condizione umana: ossia il primo lavaggio del cervello ce lo ha fatto la natura rendendoci prigionieri dell’istinto; il secondo ce lo hanno fatto i nostri genitori fornendoci o sfornendoci de primo contesto culturale imitativo e condizionante, soprattutto un super io; il terzo ce lo ha fatto la scuola e la società cercando di darci il più possibile l’imprimatur coercitivo del potere vigente (soprattuto religioso). L’ultimo però ce lo siamo fatti da soli, prigionieri della nostra stessa produzione simbolica (mito-religione). Pertanto se acquistare e conquistare la vera umanità significa raggiungere il più possibile una vera libertà mentale, allora questo significa non solo uscire dalla caverna, ma resettare tutto, un nuovo inizio finalmente affrancati ed emancipati da tutte le cavolate che fanno di noi un fenomeno passivo, piuttosto che un essere umano capace di autoeducazione ed auto-elevazione. Ma attenzione: questo non significa affatto, come orribilmente sta avvenendo oggi, inseguire il mito ultra borghese di una libertà assoluta: come se i genitori e gli educatori dovessero lasciare allo stato brado i “formandi”; o come se la investitura sessuale fosse una specie di optional totalmente fluidificato. Questo infatti ci riporterebbe “borghesemente” al soggettivismo più estremo, alla volontà di potenza di una ubris ormai priva di qualsiasi limite nella folle corsa che la nostra società capitalista (e di pseudo-sinistra) sta facendo verso la disgregazione e l’autodistruzione più totale. Il rovesciamento dei ruoli a tutti i costi è fine a se stesso e profondamente nichilista in direzione della famosa perversa società liquida: la distruzione del concetto di patria; la fine dell’autorità in educazione; la fine della regolarità sessuale; la distruzione totale della virilità; il femminismo revanchista che cerca solo una forma di vendetta cosmica e di un nuovo potere discriminatorio. Tutto questo porta alla distruzione del ruolo e della categoria in quanto tali. L’unica categoria che sopravviverà sarà il nuovo potere femminista una volta salito sul trono. Nonostante questo io sono per una donna a presidente della repubblica a dimostrazione del fatto che non voglio contrastare l’ascesa della donna, ma gli aspetti degenerativi di questa lotta. Di solito si vedono e subiscono dopo la presa del potere; ma noi li vediamo già adesso macroscopici. La distruzione del ruolo accentua ed esaspera l’anomia in direzione di una ulteriore deperimento dei collanti sociali.
Da qui l’enorme importanza della filosofia critica, della scienza critica, della psicoanalisi critica, anche se in realtà la filosofia critica li ricomprende tutti assieme.
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Abbiamo già visto come la percezione, e quindi il primo livello della conoscenza, nasca in base alla categoria della totalità. In realtà questa sarebbe una pre-categoria visto che agisce a livello inconscio: dunque le pre-categorie sono le gemelle embrionali, ma comunque efficaci, di tutte quelle che ritroviamo, però completamente sviluppate (categorie= concetti), nell’autocoscienza critica riflessiva, soltanto che appunto agiscono a livello inconscio intuitivo. Come possa essere accaduto questo incredibile miracolo della conoscenza resta un mistero. In tutti i casi la nostra intelligenza intuitiva inconscia potenziale, non produce solo le pre-categorie, ma anche tutta la infinita creatività simbolica metaforica. Questa a sua volta può sempre riportare alle pre-categorie o successivamente alla delle categorie vere e proprie, quando queste finalmente emergono alla coscienza come esistenza e come funzionalità. In tutti i casi restano due vie e probabilmente entrambi sono vere:
– la via innata. Certo si può sempre pensare che il patrimonio della conoscenza si depositi prima nella memoria tramandata per generazioni finché non si fissa nei cromosomi e di li diventa ereditaria a tutti gli effetti.
– si sono sviluppate e si sono aggiunte nel corso dell’esperienza fattiva: è stata la millenaria ripetizione di azioni e situazioni concrete che ha lasciato nella mente la traccia intuitiva di una certa facoltà e operatività mentale, che alla fine si è consolidata diventando patrimonio strutturale e funzionale. In questo modo si sono sviluppate prima come modalità indiretta embrionale, ancora inconscia, agendo ma restando nell’anonimato. Questo se fosse vero ci fornirebbe una duplice spiegazione:
– spiegherebbe finalmente l’intuizione. Questa svolge a modo suo (cioè in modo simultaneo e velocissimo) tutte le facoltà e funzioni della intelligenza (che poi emergeranno alla consapevolezza solo nel corso della filosofia). Se non fosse così l’intuizione sembrerebbe per davvero un miracolo infondato, un frutto del caso, un mistero insolubile. Invece così l’intuizione ha già percorso e in un certo senso saltato (per la velocità), tutti i numerosi e complessi passaggi dell’intelligenza cognitiva e simbolica. Tuttavia la nostra ricerca e convalida della verità, non può fermarsi alla immediatezza del prodotto intuitivo. Adesso dovrà ripercorrere e riconoscere in senso autocosciente tutti passaggi e i nessi che erano rimasti latenti e impliciti, per darsi un adeguato fondamento (relativo) logico ed soprattutto a livello di verifica empirica. Adesso, finito il gioco pirotecnico, dovrà sudarsela.
– spiegherebbe anche come poi il pensiero abbia effettivamente scovato ed elaborato le categorie: per il semplice fatto che erano già contenute nel suo inconscio intellettuale intuitivo. Un po alla volta il genio umano (pensiamo alla prima coppia Anassagora-Socrate) le ha riesumate, ripulite e portate a compimento facendole diventare patrimonio consapevole della conoscenza. Chi volesse prenderle in esame ne troverà una certa parte dove abbiamo parlato della corteccia cerebrale.
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Il fatto che la percezione nasca in base alla categoria della totalità (non lo sa ma lo fa) non deve farci dimenticare il potere enorme della analisi, della riduzioni in parti o verso il più piccolo: aspetto che per esempio i primitivi facevano sicuramente quando dividevano le quantità di prede da spartire. Anche l’uomo primitivo ha avuto a che fare con la astrazione negativa ma come è accaduto per tutte le pre-categorie per molto tempo non se ne è reso conto: non solo perché non aveva ancora sviluppato i mezzi intellettuali, ma proprio perché era inserito in una dimensione qualitativa totalizzante come era la natura magica animistica. In realtà persino Pitagora, molto più tardi, aveva una concezione magica qualitativa della matematica e non si era reso conto del terribile potere distruttivo della misurazione operata dalla matematica parcellare quantificante (una volta che fosse stata applicata alla natura-materia).
Successivamente su di un piano pedagogico didattico si scomponevano i problemi più complessi in quelli più semplici, risalendo dai fattori più facili e più agevoli. Anche le donne primitive quando insegnavano il linguaggio ai loro bambini, scomponevano e ripetevano i fonemi facendo la prima forma di spelling. Tuttavia per i primitivi (e questa è una delle poche cose in cui, nonostante il mito, esprimevano una netta superiorità conoscitiva) la natura come totalità era sacra e tale doveva restare. Secondo questa linea di pensiero che noi riteniamo la più grande eredità del mondo arcaico, la vera soluzione e ricomposizione della pratica analitica, sta nel ritornare alla totalità e non a distruggerla (se non come un caso estremo). E’ ovvio che l’uomo ha anche dovuto forzare la natura contraddicendo questo assunto, ma nello stesso tempo avrebbe dovuto esprimere una moderazione: est modus in rebus. Invece come si sa è stata scelta la strada della ubris e della volontà di potenza totale di scienziati tecnici e capitalisti vari. Ormai con l’acqua alla gola, dobbiamo cercare il minimo di antropomorfizzazione e il massimo di natura, se ci riusciamo e se non è troppo tardi.
– come diceva Kant il subconscio percettivo organizza i suoi contenuti in spazio e tempo, che sono appunto forme mentali sintetiche (capaci cioè di inquadrare, unificare e compattare la forma conoscitiva, secondo sequenze coordinate di posizione di successione). Queste secondo Kant sono elaborate a priori prima dell’esperienza (quindi innate).
Sono sintetiche appunto perché riportano e modellano questi contenuti alla organizzazione di una unità formale (la loro unità formale) sottraendole al caos originario. Kant infatti ha dato per scontato che la percezione al suo inizio sarebbe un caos totale e in questo senso indefinibile: essa acquista una forma, in modo del tutto artificiale e convenzionale, tramite le grandi invenzioni di spazio e tempo. Qui tuttavia si arriva a un grande paradosso: ossia da la nostra realtà sarebbe una scenografia del tutto inventa e costruita; ma questo è impossibile altrimenti sparirebbe e sarebbe impossibile qualsiasi prova di verificazione (cioè una delle cose che gli premono di più per uscire dalla metafisica). Inoltre poiché SP/TEM sono innate, precedono la esperienza e non possono assolutamente derivare da lei (altrimenti perderebbero la lo assolutezza). Ecco che, per esempio la forma rotonda, non deriverebbe dalla natura, ma sarebbe una creazione della mente. Invece è abbastanza evidente che è il contrario: la forma geometrica è nata perché è stata copiata da una cosa esterna che esisteva già (es: il tondo della luna… la forma triangolare di certe montagne ecc) Perciò Kant va preso con le pinze e a metà.Questa specie di doppio involucro, semi-rigido nel caso dello spazio e fluido dinamico nel caso tempo, darà le sue stesse caratteristiche organizzative ai contenuti di esperienza a cui si applica (fenomenici). Tuttaviaresta il problema enorme non solo della dimensione fantasmatica di spazio e tempo, ma del reale valore conoscitivo del contenuto fenomenico che poi appare riorganizzato in questa forma. Ancora una volta notiamo una specie di prestazione portentosa della nostra esperienza ed intelligenza: infatti è perché noi abbiamo già nella intuizione subconscia la funzione precategoriale del tempo e dello spazio, che potremmo poi riportare a coscienza e autocoscienza la matematica (tempo) e la geometria (spazio).
– in tutti i casi per svolgere questa mole di lavoro deve andare incessantemente a rovistare e ricomporre i vari tipi di memoria tra di loro. Questo tipo di processo è incredibilmente del tutto inconscio e velocissimo, nonostante la enormità dei dati a disposizione; ma nello stesso tempo ha già preparato degli schemi ripetitivi, in base ai successe e alla conferme eventualmente già ottenute, i quali si spera, se non altro per abitudine, siano nuovamente riconfermati. In questo modo però si ricreano a livello percettivo, quelle tipiche situazioni di pregiudizio o stereotipo che potrebbero anche fallire e costringere rapidamente a nuove e rapide soluzioni. Questi schemi preventivi e preventivati agiscono a livello intuitivo (la complessità di una intelligenza che agisce velocissima e segreta) ma proprio per questo ipnotica. Quante volte, senza essere eccessivamente nevrotici, vediamo cose che non ci sono e viceversa, proprio perché ci stiamo ancora appoggiando a un vecchio schema abitudinario; quante volte in albergo cerchiamo disperatamente di accendere la luce a destra perché così era nella nostra comoda camera da letto, mentre adesso è dalla parte opposta. In un primo momento questa delusione suscita addirittura attimi di terrore come se ci fosse crollato il mondo addosso, come se stessimo sognando un incubo…Ma insomma dove siamo realmente? Questo apre una parte enorme di considerazione, soprattutto in relazione alla dimensione ipnotica dei primitivi per quanto riguarda la costruzione visionaria simbolica della loro realtà, che è già un altro livello di discorso da quello che stiamo facendo. Anticipiamo che questa dimensione ipnotica doveva essere fortissima ma non assoluta, altrimenti avrebbe bloccato ogni evoluzione successiva.
CONCLUSIONE E SINTESI
1) Per moltissimo tempo l’uomo primitivo è vissuto senza una vera coscienza e una vera consapevolezza (fattori che non escludono affatto la attivazione di una intelligenza intuitiva) senza la capacità di distinguere tra sogno e realtà, tra interno-esterno, soggetto-oggetto. Non sapremo mai quando è iniziata veramente questa distinzione: siamo però in grado di chiarire quando è apparsa in modo evidente, anche se come già detto, è stata preceduta da un lungo percorso silente e misterioso. Sicuramente si è originata agli esordi del mito e si è completata nelle sue fasi più alte e più mature (la saga di Gigalmesh, i poemi omerici). In questi poemi per la prima volta appare chiara la distinzione tra sogno e realtà, anche se il sogno resta la dimensione religiosamente più importante; cionondimeno appare nettamente diversificata dalla attività per così dire giornaliera alla luce del sole. Il che non significa però che anche questa sia ancora abbondantemente colonizzata dalla dimensione ipnotica (come del resto accade ancora oggi). Tutto questo processo lo possiamo sintetizzare in questo modo linguaggio-mito-coscienza. Il mito orale ha coinciso con lo sviluppo del linguaggio e conseguentemente della stessa consapevolezza-coscienza. La funzione narrativa non poteva non comportare nella sua stessa maturazione, al controllo mentale necessario per la costruzione di una trama sempre più complessa, la produzione stessa del linguaggio portava ad una assuefazione del potere magico-animistico della parola: incominciava il protagonismo umano che emerge prepotentemente nei poemi omerici al di la dell’intervento ( del resto spesso ridicolo) degli dei nelle vicende umane.
Sicuramente nei poemi omerici emerge anche la prima forma di autocoscienza, ma era ancora troppo immediata, troppo legata al simbolismo e alla emotività della funzione mitopoietica. Non conosceva ancora se non in forma embrionale e narrativa il lungo processo di mediazione e lo sviluppo necessario per sviluppare il concetto e l’apparato critico per difenderlo e approfondirlo. Cosa che evidentemente accadrà solo con la filosofia greca: inizia con Anassagora e trova in Socrate il primo eroe che evidenzia l’autocoscienza come prodotta da un lungo processo critico dialogico destinato a restare sempre aperto. Non dimentichiamo che l’universale simbolico è spurio, in quanto fa riferimento solo a se stesso e al suo mondo fantastico, non ha la caratteristica di fare presa sulla realtà. Al contrario l’universale concettuale, il prodotto più grande della autocoscienza filosofica , ha le caratteristiche logiche e ontologiche di poterlo fare.
2) I principali fenomeni linguistici hanno comportato uno straordinario mutamento anche nella mentalità e nella vita sociale e tribale.
IL NOME COMUNE.
L’avvento del nome comune è legato ai miglioramenti fonetici che rendevano molto più facile e sciolta la invenzione della parola simbolo da legare alle cose; infine alla stessa mentalità magica animistica. Se tutto il mondo era popolato di presenze animate magiche allora assistiamo a una incredibile proliferazione di parole corrispondenti. Questo ha creato in pratica i primi fenomeni di selezione eufonica e di uso collettivo condiviso delle parole, una specie di dizionario e lessico e quindi un vero e proprio linguaggio corrispondente anche alla psicologia di quel popolo.
IL NOME PROPRIO
Il primo nome proprio è stato probabilmente quello del re Dio. Questo ha comportato una rivoluzione incredibile nello sviluppo della mentalità e della complessità dei rapporti umani.
– la nascita della religione antropomorfa non più legata al concetto indifferenziato di mana ma a personalità umane-divinizzate ben distinte
– ha comportato un consolidamento del lunghissimo processo che ha portato a forme sempre più spiccate di individualizzazione
– ha sviluppato la complessità consapevole dei rapporti parentali
– la nascita legalizzata della proprietà privata
– la nascita della prima forma di universale concettuale. Infatti il nome proprio sintetizzava tutte le qualità della persona a cui faceva riferimento. Collegava tra loro non elementi fantastici come faceva l’universale simbolico, ma reali e concreti; non solo, ma, per la prima volta, faceva emergere i concetto di essenza stabile di quella persona, una sintesi permanente e strutturale a cui avrebbe fatto riferimento per tutta la vita.
A questo punto siamo finalmente arrivati a un passo molto vicino dal trattare il mito greco.