La guerra si vince perché chi la vince lo fa in base a un puro rapporto di forza inequivocabile. Ma nella pace sopraggiunge l’altro aspetto negativo della forza: la falsità totale e omni-avvolgente. Là dove c’era la sopraffazione certa, in seguito arriva la inevitabile ridda dei compromessi. È come brancolare in una cortina fumogena, o peggio cadere in una palude, la quale riempirà con i suoi schizzi le belle insegne della vittoria. Tutto questo fa perdere di vista le mete iniziali e roboanti del trionfo militare: adesso non c’è più la marcia trionfale (anche se è costata chissà quanti morti). Dopo un po’ la gente si accorge di marciare non più nel fango della trincea, ma in quello ancora più puzzolente della politica. Dopo aver fatto l’amore sopraggiunge ben presto il disincanto della quotidianità: così accade anche dopo l’estasi della vittoria. La fanfara della vittoria e la marcia trionfale, diventano così il ridicolo balletto e balbettio di chi si è perso nel pantano e non sa più nemmeno dove andare. Questo accade quasi sempre perché raramente, i militari vittoriosi, sono anche bravi politici: devono cedere quasi sempre il passo a pessimi politici. In realtà è infinitamente più facile distruggere con la guerra che creare o ricostruire con la pace. Passato l’entusiasmo ci si accorge di essere circondati da macerie e da cimiteri. Ecco perché la pace di solito si perde sempre. Oppure se si vuole, detto in un altro modo, alla enormità del sacrificio richiesto, non corrisponde un premio adeguato dell’esito finale. Da questo punto di vista la scomparsa di intere generazioni è soltanto una terribile follia. Così tanto per fare un piccolo esempio, alla spaventosa enormità dei sacrifici e degli eroismi richiesti per vincere la seconda guerra mondiale, non corrisponde certo l’edificazione di una democrazia corrotta e “plutocratica”. Ciononostante, in confronto alla mostruosità del demone nazista sconfitto, questa democrazia di scadente ottone, appare lo stesso come se fosse oro colato.