7/7/2025
Avendo ricevuto una educazione cristiana, anche se mi ero già allontanato precocemente, avevo comunque mantenuto per così dire uno spirito di solidarietà, direi caritatevole e compassionevole, verso coloro che mi sembravano ingiustamente colpiti dal destino. Naturalmente proprio io ero il primo fra questi, conseguentemente avevo assunto il ruolo, direi la vocazione, di vendicatore e riparatore. Cosa poteva esserci di meglio, di più esecrabile e di più empio rispetto a maledire il destino, nonché alla volontà degli dei, che ritorcelo su se stesso come faceva Braccio di Ferro con il ferro di un cavallo? Certo la mia terribile professoressa di greco e latino ( che era già stata gettata in canale due o tre volte) a proposito di questa presunta vocazione, profetizzava così: potresti diventare un grande scrittore famoso, ma solo dopo la morte, oppure al massimo scrivere qualche canzonetta quando sei ancora in vita.. Qualcuno avrebbe potuto dire che avevo la sindrome del crocerossino a tutti gli effetti, se non fosse stato che a quell’epoca ero un ragazzo del 68: non proprio farina per fare ostie. Dunque in privato la mia attenzione per così dire rivoluzionaria, si dirigeva soprattutto verso coloro che, pur mettendocela tutta, sembravano fallire per immeritata sfortuna. L’idea di contribuire a rovesciare il destino mi eccitava più di qualunque altra cosa. Noi siamo concepiti in maggioranza e viviamo immersi, circondati in ogni lato, da ogni sorta di assurdità priva di qualsiasi razionalità che non sia la sua stessa forza negativa e oppositiva fine a se stessa: ora appare del tutto clandestina, per cui essendo invisibile cospira e corrode senza possibilità di salvezza, quando te ne accorgi è sempre troppo tardi; ora ribollente con la forza di uno uno tsunami che travolgendo tutto in modo irresistibile, esclude a priori ogni resistenza e possibilità di fuga. Sembra che a questo mondo ci sia un ordine, un rigore, ma sotto sotto, come nel nostro cassetto dei calzini e delle mutande, prevale la follia della sua segreta entropia. Potrei farvi alcuni esempi: Bukosky disse che niente è più estraneo a noi stessi del proprio io; Guareschi fervente anticomunista non ricevette dai democristiani nessun premio o ringraziamento ma in compenso De Gasperi gli fece fare un anno di galera; Trostkji il grande nemico dei metodi staliniani, la prima grande azione che fece fu il massacro degli operai a Kronstad… Qualcuno in questo marasma dice che l’onesto, morendo super eroicamente tra terribili tormenti, comunque trapassa felice di aver fatto il proprio dovere fino in fondo; ma già Kant ha fatto osservare ( argutamente o disperatamente ?) che nessuno affronterebbe prove terribili, se non fosse sicuro di averci il giusto premio nel al di là…Tutto questo si risolve in quella fregatura universale e colossale che si chiama vita. Certo da quella cornucopia (che Hegel chiama anche la devastazione totale…) esce, esattamente come dal sesso delle donne, tutto il bene e tutto il male del mondo; peccato che da sempre la maggioranza assaggia solo la seconda parte, magari senza aver gustato niente della prima. Questa potenziale fregatura gigantesca si articola in molte altre sub fregature; la famiglia come deiezione originaria, in seguito come pseudo cura nonché pseudo educazione, la scuola e la società come indottrinamento feroce al servizio della forza e della fede (tanto è lo stesso). Da ultimo la fregatura più grande e immeritata, naturalmente la MORTE. E’ per questo che il nostro compito è quello di riconoscere al più presto tutto ciò, di accettarlo almeno in parte visto che non se ne può fare ameno, di fare resilienza ma soprattutto architettare anarchicamente una specie di contro fregatura globale. Insomma non farsi fregare dalla famiglia, dalla scuola, dalla società, in pratica dalla vita e soprattutto dalla morte. Se ci pensi bene lo aveva detto persino Ficthe. Non bisognerebbe farsi assimilare e fagocitare dal folle conformismo servilista del genere umano, nonché dalla malvagia ipocrisia di chi ci marcia e macina sopra. Tuttavia allora pensavo che la rivoluzione sarebbe stata la panacea contro questo caos senza dimenticare quella piccola quotidiana rivolta a favore del prossimo. Non sapevo che questa strada encomiabile e piena di buoni propositi mi avrebbe portato alla rovina e alla perdizione. Ma si sa le vie del demonio sono lastricate di buone intenzioni. Tuttavia il vero motivo di questa mi predisposizione non era la bontà in se stessa, ma perché in realtà la ingiustizia mi opprimeva e mi intrigava assai più del buonismo umanitario, più di qualunque altra cosa. Mi affascinava il concetto, alquanto idealistico e ingenuo, di aiutare qualcuno a rovesciare un destino infausto. Essendo in pieno 68 facevo praticamene il sindacalista scolastico e così mi avevano eletto rappresentante di classe. In questo modo oltre a mettermi in mostra in diverse occasioni ero riuscito a far avere delle borse di studio a dei ragazzi volenterosi ma veramente bisognosi, piuttosto che ai soliti riccastri raccomandati, che non avrebbero almeno questa volta, speso i soldi per andare con le famiglie alle Canarie. Per questo motivo ero molto ben voluto nonostante mi considerassero un po fanatico. Io però non avevo solo questo lato così positivo, tale per cui avrei potuto partecipare al concorso del ragazzo più buono della scuola o della della parrocchia, sempre che non fossi stato un estremista in mezzo ad altri centomila accoliti. Molto simpatici ma un po folli e pericolosi. Naturalmente non avrei mai partecipato in ogni caso , mi sarei vergognato troppo. In realtà non ero affatto il ragazzo più buono. Avevo anche altri lati non propriamente edificanti. Per esempio durante uno scontro di piazza stavo quasi per strangolare il mio avversario politico: certo l’avevo fatto solo per salvare un mio amico che stava per essere finito a colpi di spranga. Per il resto detestavo la violenza e lo scontro fisico ma a quell’epoca era un po difficile sfuggire a tutto ciò. C’erano anche altri aspetti che sicuramente non collaboravano a rendere la mia immagine dotata di una areola sulla testa. In effetti passavo per essere un don Giovanni sfegatato perché facevo la corte a tutte le ragazze e a volte anche ci acchiappavo parecchio. Ma non era vero che fossi un predatore volgare e spietato. Solo che le ragazze mi piacevano assai ed era anche normale a quella età. Per esempio a mia discolpa durante una scuola quadri ci trovammo io e un ragazzo della mia età (18 anni) a dormire nello stesso letto con una ragazzetta di 15. Sono sicuro che lei moriva dalla voglia e si sarebbe fata possedere da tutti e due; ma noi la rispettammo a motivo della sua giovinezza e poi perché era una compagna quindi era sacra. Cosa avrebbe detto alle altre se poi avesse cambiato idea? Un altro aspetto era dato dal fatto che ero un anticlericale terribile. Ma questo accadeva per molti motivi niente affatto casuali o superficiali. Una volta avevo sorpreso mia madre piangere disperatamente più volte. Pensai, ah ah papa cosa stai combinando brutto vergognoso! Allora la misi alle strette e mi confessò che il prete non le dava la assoluzione perché usava i preservativi nonostante che avesse avuto già tre figli. Lo trovai ripugnante. Poi accadde che un altro prete, il quale fatalità abitava proprio davanti a casa mia, si ammalasse di tumore. La setta dei bigotti diabolici, sicuri che se la facesse con la perpetua, cercarono persino di scomunicarlo in punto di morte. Lei la obbligarono addirittura a sostenere un visita ginecologica da cui risultò essere vergine. Non so con quale predisposizione d’animo morì quel povero prete, ne come quella ragazza passasse il resto dei suoi giorni in questa bella compagnia. Tuttavia la cosa peggiore avvenne sul privato a scuola. Il mio insegnante di religione si chiamava Don Amedeo ed era la persona più proterva e insopportabile del mondo. Stavamo studiando Pio IX (il papa ghigliottina che aveva fatto mozzare la testa a 200 disgraziati tra cui una ventina di patrioti) e così gli chiedemmo cosa ne pensasse: ebbene lo difese a spada tratta con nostro grande scandalo. Era un vero adoratore del potere temporale: il cliente ha sempre ragione e la chiesa pure. Successivamente parlando di matrimonio disse che le ragazze dovevano assolutamente arrivarci ancora vergini come ai bei tempi. La cosa peggiore la fece quando attaccai sul muro della scuola il manifesto con la foto di Valpreda libero: cercò di farmi sospendere e da allora mi aggredì sempre nei consigli di classe per farmi abbassare la media. In poche parole lo odiavo a morte. Era proprio il simbolo di tutto quello che detestavamo e contro cui lottavamo con tutte le nostre forze. Don Amedeo era un prete alto e massiccio, il collo taurino, leggermente stempiato. Aveva un voce acuta e penetrante nello stesso tempo, tale da incutere timore e costringere alla obbedienza come nel corso di una cerimonia sacra. Con quella lunga tonaca nera che gli scendeva perfettamente a perpendicolo, sicuramente emanava un certo fascino e carisma; certo non per noi ragazzi rivoluzionari, ma per quelli che stavano dall’altra parte della barricata si. Soprattutto per quelle: ossia per certe studentesse particolarmente fragili e predisposte al fascino di monsignore. Ma perché meravigliarsi troppo di questa faccenda vecchia come il cucco? Quante volte delle giovani ragazze sono rimaste irretite da questo fascino subdolo della tonaca scambiando il diabolico per divino e viceversa? Certo più sono giovani e più la cosa appare sconvolgente soprattutto se la tresca viene fatta a scuola. Fatto sta che incominciarono a circolare strane voci, tale per cui incominciammo a tenerlo particolarmente d’occhio sperando di beccarlo in flagrante. Alla fine venne scoperto uscire da una stanzetta semisegreta piuttosto sudato e rosso in viso; dopo un po dalla stessa stanzetta uscì una ragazza alquanto accaldata che cercava di rassettarsi alla belle e meglio un copioso e intrigante reggipetto. Entrammo e rovistando nel cestino non trovammo dei santini ma dei fazzoletti intrisi di materiale maschile e femminile inequivocabile. Dicono che anche i servizi segreti usano questa pratica e noi facemmo lo stesso cercando propriamente preservativi usati piuttosto che delle informative segrete. In tutti i casi anche se non avevamo prove sicurissime, tutto questo per noi era già più che sufficiente. Ci stavamo preparando per fare un gran casino, ma per fortuna intervenne il preside che con le sue spie invisibili e clandestine sapeva già tutto e preveniva sempre tutto. Convocò i vari capetti delle sette gnostiche estremistiche, tra cui il sottoscritto, e disse chiaramente. So che a voi piacerebbe menare un gran scandalo e rovinare quel prete. Tuttavia facendo così rovinereste anche la reputazione di due ragazze. In particolare una di queste è orfana e probabilmente tutto questo è derivato proprio da una sua antica fragilità. Perciò ve lo chiedo per piacere, stavolta fate buon viso a cattivo gioco. Io manderò via don Amedeo che se la vedrà con si suoi superiori, inoltre farò cambiare scuola alle ragazze e tutto verrà messo a tacere. Noi accettammo soprattutto per compassione della ragazza orfana, però chiedemmo al preside qualcosa in cambio; stavamo organizzando una occupazione della scuola e gli chiedemmo anche a lui di chiudere un occhio su certe nostre iniziative. Così don Amedeo se ne andò via ed io non avrei mai pensato che un giorno me lo sarei ritrovato come bersaglio nelle vesti degli orsi del luna park, i quali girano da un capo all’altro ma se li becchi emettono un gran ruggito. Infine era accaduto un episodio strano e particolare per cui effettivamente in molti dubitarono un po della mia sanità mentale. Esisteva nel nostro quartiere una strana leggenda. A dire il vero Venezia è piena di questi curiosi riferimenti e leggende esoteriche, soprattutto di streghe, molto di più di quanto non si possa immaginare. La leggenda del nostro quartiere riguardava una strana vecchia. Si dice che da tempo immemorabile vivesse clandestinamente nel quartiere una strega ormai vecchia di centinaia di anni. Forse si trattava di diverse vecchie morte nel corso di decenni e che la fantasia popolare aveva unificato in una sola persona. Fatto sta che molti giuravano sulla sua esistenza anche se pochissimi, comunque sfortunati l’avevano vista. Infatti si diceva che facesse riti satanici e che la sola vista comportasse una sfortuna imminente o addirittura incontri diabolici con spettri o mostri, comunque il fatto di incappare in un terribile destino travolti da queste strane entità. La sua figura era classica: tutta vestita di nero, scialle e fazzoletto compresi, assai corpulenta e barcollante. Aveva altre caratteristiche fisiche inequivocabili: gli occhi erano stravolti, aveva i denti aguzzi e obliqui che le uscivano da ganasce spropositate; ma soprattutto aveva una gran barba che contribuiva enormemente al suo aspetto repellente e diabolico. Una puzza nauseabonda anticipava di qualche metro la sua orrida presenza. A scuola si diceva che qualcuno tra gli studenti l’avesse anche vista ma come sempre accade la diceria rafforzava il mito che restava avvolto nel mistero più fitto. Naturalmente accadde proprio al nostro eroe di incontrarla. Doveva farsi interrogare in matematica e già la sua professoressa aveva la fama di essere una medium famosa che evocava i morti, faceva sedute spiritiche ecc ecc. Aveva una faccia incredibilmente ovale, con dei capelli raccolti molto in alto allo stesso modo, il che aumentava il senso di un viso oblungo molto impressionante, esoterico appunto. Sapendo che doveva farsi interrogare disse al ragazzo, non si sa per scherzo o per profezia: va la va la che per te farti interrogare è peggio che trovare la strega di Venezia…Dunque si stava incamminando a scuola magnis itineribus, via il dente via il dolore. Era già una giornata di Aprile ma, fenomeno abbastanza raro per quel periodo, a Venezia c’era una nebbia incredibile. Arrivato al ponte che portava al suo liceo da una parte poco frequentata, in effetti non c’era nessuno, gli si parò davanti una vecchia corpulenta. Come per un sesto senso capì subito chi era, ma come soggiogato rimase un attimo a guardare. La vecchia gli disse: ti vuoi divertire? E subito tirò fuori due seni avvizziti lunghi e magri che pendevano avvizziti in uno spettacolo poco edificante e soprattutto desolante. A quel punto la vecchia li afferrò con gli artigli e cominciò a rotearli dicendo più volte Pixi e Dixi, Pixi e Dixi quale vuoi? ma se non li ciucci morirai…. Allora di fronte a questa scena incredibile si mise a ridere a crepapelle e poi scappò. La vecchia strega fece in tempo a dirgli: Non finisce qui, la prossima volta che ci vediamo la pagherai. In ogni caso la interrogazione non finì troppo male: prese 5 e mezzo che per lui era già tanta roba. Subito dopo nel corridoio, una volta finita la lezione, la prof gli disse: Io scherzavo, non sapevo che sarebbe successo veramente: povero ragazzo d’ora in poi stai ben attento a quello che ti succede. In attesa che gli eventi precipitassero dobbiamo parlare di un’altra importante notizia riguardante questo racconto. Dalle finestre del suo liceo si vedeva a perdifiato la laguna che arrivava fino a Campalto, più a destra tutto il tratto davanti all’isola di Murano; a lato il cimitero di San Michele. Si vedeva anche dall’interno un grosso pezzo di terra diviso in due parti. In una c’era una specie di giardino molto esteso dove i ragazzi facevano la ricreazione; ma questo era separato da una altissima barriera di filo spinato che lo divideva da un altro territorio considerato tabù. Insomma andare da quella parte era praticamente impossibile anche perché i bidelli facevano buona guardia. In molti avevano provato qualche pertugio o passaggio segreto, magari anche cercando di provocarlo rompendo la rete o addirittura di scavalcarlo. Tuttavia la rete era doppia e passare in quel modo era impossibile. Infine non si poteva scavalcarlo perché non solo era altissimo ma finiva a spiovente. I pochi che ci avevano provato non solo si erano fatti male, ma si erano beccati una bella sospensione, passando alla fine non da eroi ma bensì da super fessi. Così col tempo la sua presenza misteriosa e invalicabile divenne una noiosa abitudine. Ma cosa si vedeva dall’alto o dai buchi della rete? C’era una specie di collinetta rotonda ormai seminterrata sotto la quale non si sapeva cosa ci potesse essere, ma si immaginava una qualche antica costruzione ad uso militare. E infatti era proprio così. Pochi sapevano che cos’era perché alla fine a tutti gli altri non importava più nulla dato che era inaccessibile. Tra questi il nostro eroe che lo aveva chiesto addirittura al preside in uno dei rari momenti che ce l’aveva buona. Si trattava di un balipedio del 1500, ossia un poligono di tiro navale. Infatti dal lato prospiciente la laguna se uno fosse riuscito ad arrivare fino a la, avrebbe visto 5 aperture caratteristiche per dei cannoni (non tutte però erano utilizzabili ormai ricoperte e tappate dal tempo). Se uno fosse addirittura entrato dentro avrebbe visto in uno stanzone pieno di detriti e pantegane morte i cinque cannoni dal lato posteriore, scena militaresca veramente impressionante. Erano ancora carichi? Erano ancora utilizzabili? Un piccolo particolare molto importante per il proseguo del nostro racconto; ma lo sapremo presto. Il balipedio veniva anticamente utilizzato così. Si mettevano delle barchette a diverse centinaia di metri onde fare da bersaglio. Gli artiglieri dovevano incessantemente buttarle giù a dimostrazione non solo della mira ma della velocità di esecuzione. Chi faceva più centri nel tempo più breve possibile vinceva e aveva come premio di andare direttamente nel galee a far la guerra ai turchi. In questo caso oltre al senso patriottico ed eroico, oltre allo spirito di avventura, prendevano paga doppia. Evitavano di stare nelle noiosissime caserme ma alla fin fine il loro premio era quello di rischiare la pelle o qualche brutta mutilazione. Questo la dice lunga sullo spirito guerresco dei veneziani fino a quando durò ma anche sulla terribilità di quei tempi. Proprio su questo c’è da fare una importante considerazione. I veneziani sono famosi per il loro lato edonistico carnevalesco, per lo spirito mordace goldoniano, per la costruzione di una città esteticamente meravigliosa. In realtà per secoli a Venezia non si faceva altro che sentire dalla mattina alla sera i colpi sparati dal balipedio a testimonianza della determinazione e ferocia di un popolo senza la quale non avrebbe mai costruito un impero contro terribili concorrenti (Genova e i Turchi).
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Nel mese di aprile capitò in classe una new entri: un ragazzo di nome Nino Bigo, ma tutti lo chiamavano Bigolo un po per prenderlo in giro e un po perché era molto alto e allampanato. In effetti sembrava un bigolo col pomodoro in quanto ci aveva un bel ciuffo di capelli rossi. Per questo motivo si ambientò al 50% in quanto i soliti bulli gli ruppero i coglioni ma non in modo eccessivamente esagerato. Del resto si capiva che ci era abituato. Il preside fece un po di fatica e prenderlo in quanto sembrava troppo tardi; ma siccome era fortemente raccomandato la passò liscia. Al che si capisce che era figlio di gente molto ricca e potente. Si capì anche subito che della politica non gliene fregava un fico secco e che preferiva dedicarsi alla ridente patatina che non mancava in classe. Insomma era il classico ragazzo alto borghese che non seguiva certo la corrente impetuosa che ci aveva spinto tutti a metterci il fazzoletto rosso al collo sia pure con mille sigle diverse. Veniva da una città portuale e vestiva alla marinara, un po come braccio di ferro e un po come capitan Findus, in realtà a parte la battuta, era molto elegante e anche questo faceva colpo sulle ragazze. Ma la cosa che faceva più colpo di tutto consisteva nel fatto che almeno una volta alla settimana, se era bel tempo, durante il week kend, suo padre veniva addirittura a prenderlo finita la scuola in yacht. Dopo di che se la spassavano in lungo e largo in laguna fino a lunedì, quando ritornava a scuola sempre con lo stesso sistema. In quell’epoca e ambiente di estrema agitazione politica antiborghese, tutto questo avrebbe potuto essere molto pericoloso, ma in realtà molti dei compagnucci ci avevano anche loro lo yacht anche se non usavano con lo stesso sistema. Però almeno chiudevano un occhio anche se brontolavano; se avessero attaccato materialmente la barca dello scandalo, dopo per coerenza, avrebbero dovuto fare lo stesso con quello di famiglia. Chiaramente ancora una volta certe ragazze erano proprio quelle che venivano maggiormente colpite da questa messa in scena. Nino Bigolo a parte questo particolare nautico, era un ragazzo modesto che magari sapeva anche farsi ben volere, nonostante non fosse certo molto brillante. Dava l’idea di uno schiacciato da una famiglia troppo ingombrate tale per cui faceva più compassione che irritazione e in fin dei conti non era altro che un “ragazzo”. Non era certo colpa sua se aveva dei genitori così “in” e per giunta ci avevano anche lo yacht. Dimostrò subito di non avere troppa voglia di studiare ma aveva sbagliato scuola visto che in matematica se la cavava ma in greco e latino era un disastro. Il primo compito di greco e latino si salvò perché era riuscito a copiare e la prima interrogazione la saltò dandosi ammalato. Il secondo compito fu un disastro e prese tre. Al che incredibilmente e poco virilmente si mise vergognosamente a piangere in classe; ma tutti avevano capito che il vero problema era il prestigio dei genitori. La professoressa più giovane che quell’anno aveva sostituito per fortuna la vecchia belva, alla fine rimase impressionata e gli disse: Ragazzo mio che ti succede? A tutti capita prima o poi di prendere brutti voti… Nino rispose così: Sa professoressa mi ero molto impegnato, avevo studiato molto, non mi aspettavo questo disastro: adesso la mia autostima è sotto i tacchi, e giù a piangere sconsolato. Quella manfrina estemporanea e prolungata disgustò parecchi sia maschi che femmine; ma non quelle che avevano già messo gli occhi sul passatempo nautico e tra i maschi proprio lui anche se per altri motivi. Anche se era sempre pronto a morire sotto le sacre bandiere non aveva nessun culto macista o viriloide; anzi quella situazione pur disturbandolo, gli fece soprattutto una pena infinita. Al che scattò quel fatidico meccanismo tale per cui decise di aiutarlo senza se e senza ma. Sempre per quella famosa faccenda del destino da rovesciare. Un giorno che casualmente facevano un tratto di strada insieme incominciò a parlargli e alla fine lo convinse che avrebbe potuto aiutarlo validamente, facendogli ripetizioni a gratis. Nino rimase molto colpito e soprattutto stupito; ma come? un compagno che aiutava un ricco borghese e per giunta senza pagare… Perché fai questo diceva? Appunto per farti vedere di cosa sono capaci i veri comunisti: noi se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo prima di tutto cambiare i rapporti umani, rovesciare le vecchie impostazioni solamente egoiste, utilitaristiche e per così dire affaristiche. Non ti sembra bello che ci sia qualcuno che finalmente fa qualcosa senza interesse e doppio fine? – Ah ma allora tu non vuoi farmi diventare comunista come te? Ma! se dovesse accadere certo che non mi dispiacerebbe, che discorsi…ma la cosa che mi preme di più è farti vedere che il destino si può cambiare…- Non ti colpisce il fatto che io pur essendo ricco accetto di non darti soldi, mi sembra una palese ingiustizia….Bè tra ragazzi in fin dei conti forse sarebbe addirittura ridicolo. Al massimo mi regalerai il capitale di K.Marx in versione economica…io poi lo metterò nella biblioteca della scuola preside permettendo. Allora Nino continuò: Sai adesso ti dirò il vero motivo per cui ho accettato. I miei con me sono piuttosto taccagni. Per pagarti senza dilapidare la mia paghetta dovrei chiedere loro dei soldi, ma così facendo mio padre verrebbe a sapere che a scuola sono una schiappa e questo potrebbe avere conseguenze per me molto negative. A questo punto non ci restò che metterci d’accordo sul giorno e sulle ore ecc ecc. Io mi accorsi subito che il mio discepolo non aveva metodo di studio e soprattutto negli anni del ginnasio non aveva studiato molto presentando una preparazione molto incerta da tutti i punti di vista. In tutti i casi costringendolo a impegnarsi dopo un mese si prese un bel 5 in interrogazione che era già un bel passo in avanti. Dunque non ci restava che proseguire andando ben fieri che la nostra piccola impresa andava ben oltre il suo significato meramente scolastico. Per il resto la nostra amicizia latitava; o meglio fingevo una cordialità alquanto artefatta e di circostanza: eravamo troppo diversi e lui, anche se non era troppo antipatico restava un fighetto per giunta di bassa categoria, senza una gran personalità e nemmeno troppo carino…Però altezza mezza bellezza e poi c’era la faccenda dello yacth e delle scorribande in laguna. In tutti i casi eravamo veramente l’uno l’opposto dell’altro. Un bel giorno Nino se ne uscì con una frase ad effetto che se se la fosse risparmiata, visto quello che poi sarebbe successo, sarebbe stato molto ma molto meglio. Disse:Visto quello che fai per me allora io ti dico questo. Qualunque cosa possa accadere io non ti tradirò mai. Ed io ridendo ma già alquanto perplesso, ribattei così: Stacci attento “boccariol” che lo disse anche S Pietro ma poi tradì per ben tre volte… Nino allora abbassò gli occhi perché di certo era già molto meno coraggioso e determinato del santo numero uno sul calendario. Come spesso accade, basti pensare alla guerra di Troia, capitò di mezzo alla storia l’intrigo di una (giovane) donna. Quando in classe si sparse la voce che davo ripetizioni gratis a Nino tutti si scompisciarono dal ridere: nessuno pensò che ne venisse davvero qualcosa di buono. Nino era una testa dura e un pappamolla e io, come al solito, un ultra idealista; avrei solo perso il mio tempo per giunta con un nemico di classe. Quando videro che aveva preso un bel 5 da 3 incominciarono a ricredersi, ma soprattutto ci fu una certa ragazza che trovandosi anche lei temporaneamente in difficoltà (in crisi perché aveva perso il moroso da poco) decise di unire l’utile al dilettevole. Da una parte la ragazza pensò di recuperare anche lei la situazione senza spendere un soldo, dall’altra fece chiodo schiaccia chiodo per trovarsi subito un altro moroso. Essendo tanto bellina quanto opportunista e superficiale era della stessa pasta di Nino, pertanto la faccenda del censo e ancor più dello iacht costituiva il vero incentivo per tutta la subdola operazione di seduzione. Quindi la preda era Nino e non certo io. Purtroppo fin dall’inizio credetti il contrario e quindi accettai di buon grado e Nino lo stesso: studiare in tre con il diversivo della bella ragazza, forse sarebbe stato meno pesante che stare sempre vicino a un moralista comunista. Così non mi accorsi che la ragazza spesso e volentieri si strusciava con le gambe e con le tettine sul bellimbusto borghesuccio, ignorando l’eroe del proletariato; o meglio non lo volevo vedere e quando fu evidente anche a me ormai era troppo tardi. La situazione precipitò quando vidi che sotto il tavolo di studio invece di pensare alle sudate carte si tenevano mano nella mano. La mia mancata seduzione e il trionfo di Nino senza che avesse meritato niente adesso spostava tutto: ero io che mi trovavo a essere il perdente predestinato senza essermelo meritato. Anzi tutte e due i recuperanti avevano approfittato per così dire della mia buona fede e mi avevano fregato godendo di una prestazione gratis e oltre tutto infilandoci dentro la loro tresca. Anche se bisogna pur dirlo Nino Bigolo ci aveva delle belle attenuanti: resistere in quella situazione per un ragazzo era veramente difficile. Da un certo punto di vista era una situazione ovvia e solo da riderci sopra; ma per me era una tragedia nera, non solo per la sconfitta e delusione sessuale, ma proprio per perché il destino questa volta mi si era rovesciato addosso come una barca durante una tempesta improvvisa. Era capitato il contrario di quello di cui mi ero proposto e adesso la vittima sacrificale ero io. La situazione precipitò ben presto in quanto la situazione non solo diventò di pubblico dominio, ma franò immediatamente con la velocità ineluttabile di una tragedia greca. Già a scuola mi accorsi che mi guardavano in modo strano tra il compassionevole e il ridicolo come succede agli innamorati delusi o troppo sfortunati o troppo scemi. In particolare la mia migliore amica mi prese sotto braccio e cercò di farmi capire con le migliori parole ciò che era successo per davvero. Anche se lo sapevo già la conferma era definitiva. Subito dopo accadde il peggio del peggio. Tornando disperato e sconsolato verso il vaporino che mi portava a casa sorpresi all’altro capo della fondamenta i due giovani amanti mano nella mano. Follemente e sciaguratamente decisi di seguirli senza farmi accorgere. A Venezia esistono una gran quantità di posti segreti e nascosti dove i ragazzi possono fare le loro cosine anche molto spinte senza essere visti da nessuno; e anche se qualcuno vede tanto meglio così godono anche loro. A volte nella stessa calle sconta, soprattutto di sera, si ritrovano casualmente più coppie e tutti mentre fanno le cosine sbirciano anche gli altri e così godono di più sia facendo che guardando. Purtroppo seguendoli senza farsi vedere incappò in questa situazione, cosa che esasperò enormemente una situazione già così difficile: a farla breve come nell’Orlando Furioso gli saltò completamente il cervello e divenne una specie di demone impazzito e vendicativo. I due ragazzi si incamminarono lentamente baciandosi spesso in modo profondo e già bastava questo per far venire il sangue alla testa al loro segreto inseguitore. Lui a volte per non farsi vedere, si nascondeva acquattato dietro delle colonne o sugli angoli delle calli, suscitando la ilarità o la perplessità della gente, anche se in effetti non c’era niente da ridere. Alla fine svoltarono in fondo a una calle che dava su un canale molto poco frequentata. E li naturalmente baci su baci finché Nino, che in fatto di donne se la cavava meglio che in latino, le mise le mani nel reggipetto, una alla volta. Poi con incredibile coraggio gliele tirò fuori tutte e due, con un certo sforzo perché erano molto grosse. A quel punto incominciò a succhiarle dolcemente ma avidamente. Sembravano bianche come il latte, come budini che sapessero di vaniglia con un bel fragolone appuntito rosso al centro. Il terzo incomodo, osservando tutto ciò sudava come un rubinetto lasciato aperto, fino a quando non accadde il peggio. Lei ormai come in estasi, si chinò su di lui, glielo tirò fuori dai pantaloni e incominciò a succhiarlo come Dio comanda. La vista del pene del ragazzo che appariva e scompariva ritmicamente nella bocca della ragazza fino a quando questa non si fermò per completare l’opera risultò sconvolgente. Lei incominciò a berlo a grandi sorsate, giacché il ragazzo era giovane e ne aveva tanto, produsse su di lui un tale effetto straniante che si sentì svenire. A quel punto non si sa come, spinto dall’istinto di sopravvivenza, riuscì ad allontanarsi rendendosi conto di aver fatto una stupidata enorme, una cavolata che però ormai aveva bruciato per sempre la sua vita. Quando tornò a casa più tardi del solito, i suoi poveri genitori vedendolo così sbiancato e sciupato pensarono che avesse fatto un brutto incontro con i fascisti o con i carabinieri…A volte due tette e un pompino possono uccidere più di qualsiasi ideologia. La notte non dormì sognando sempre i due giovani amanti ricoperti di sangue uccisi da lui più volte o col pugnale o a pistolettate. Alla mattina si accorse di avere la febbre alta, ma ormai travolto e totalmente in preda al suo delirio vendicativo, decise di andare a scuola lo stesso e scappò via per non farsi vedere dai suoi genitori in quelle condizioni. In fatto di pistola in effetti la soluzione c’era già, ma non aveva mai pensato che l’avrebbe usata per fini sessuali, visto che aveva sempre escluso categoricamente di adoperarla per la violenza politica. Il fatto è che suo padre tornando dalla guerra in Iugoslavia era riuscito non si sa come a portare a casa una famosa pistola tedesca del tipo Luger che gli era stata regalata, nel corso di circostanze straordinarie, da un ufficiale nazista. Non l’aveva mai detto a nessuno e semplicemente l’aveva nascosta con la fondina e tutto dietro al alcuni mattoni della cantina a loro volta occultati e protetti da un pesante armadio. Li se ne stette come la bella addormentata per parecchio tempo, ma mai e poi mai si sarebbe aspettata che il cavaliere che l’avrebbe risvegliata, lei che aveva freddato chissà quanti partigiani, fosse un ragazzetto di estrema sinistra ma non per motivi politici; però la follia, come il gelato ha tanti gusti, ma sempre di follia si tratta. La cosa curiosa consiste nel fatto come si fosse accorto già molti anni prima, del pericoloso arnese imboscato in cantina. Era diventato amico di un commilitone di suo padre: loro due avevano fatto insieme la guerra contro i partigiani in Iugoslavia e ogni tanto parlavano di quei terribili avvenimenti. Andavano sempre in laguna a pescare tutti e tre con grande spasso. Un giorno che ci andò senza suo padre, assente per un qualsiasi motivo, l’uomo gli raccontò una storia di guerra interessante e intrigante. Suo padre era un omone gigantesco con una forza pazzesca, in più era, da buon veneziano, un nuotatore provetto. Così accadde che nazisti e fascisti, tre cui loro due, venissero attaccati dai partigiani mentre attraversavano un fiume per giunta alquanto impetuoso. Fu una strage. In particolare venne colpito un ufficiale nazista che si trovava molto vicino a mio padre: l’uomo ferito sarebbe sicuramente morto annegato, se non fosse che mio padre se lo prese in groppa come a volte fanno i delfini con i naufraghi. Rischiando tantissimo tra il fischiare di mille pallottole, lo portò prima a riva e poi al sicuro. L’uomo riuscì a salvarsi e a guarire dalle ferite e così per sdebitarsi decise di fargli un bel regalo. Per l’occasione non solo gli donò la pistola d’ordinanza, ma addirittura due medaglie naziste d’argento con la svastica e la immagine di Hitler. Non so come mio padre portò tutto a casa nel viaggio di ritorno fatto sta che nascose il malloppo in scantinato. Tuttavia il suo amico non disse della pistola ma solo delle medaglie. Fatto sta che cercando le medaglie, che tra l’altro non trovai mai, scoprii invece il nascondiglio della pistola. Bastò spostare l’armadio, scoprire che alcuni mattoni non erano cementati e alla fine il pacco regalo di hitleriana memoria venne fuori. Avendo orrore per la violenza (se non per necessità assoluta di autodifesa) la rimisi al suo posto ne mai avrei pensato di usarla. Purtroppo adesso tutto era cambiato ed io ero diventato come mister Haid. Così quella mattina non misi nello zaino i libri di scuola, come fanno i bravi ragazzi, ma la pistola maledetta; non prima però di averla caricata con i pochi proiettili che erano rimasti nella fondina. Cosa volevo fare veramente non lo sapevo nemmeno io; ammazzarli sul serio, fare solo un’azione dimostrativa, uno scherzo terribile o qualcosa del genere. E poi siamo sicuri che la pistola dopo tutti gli anni avrebbe funzionato? Detto fatto misi lo zaino in spalla e mi diressi verso la filovia dato che il mio tragitto prima di arrivare a scuola era molto lungo e prolungato: dopo la filovia mezz’ora di vaporino e poi circa mezz’ora a piedi (sperando di non trovare fascisti per strada). Prima di arrivare alla piazzola dovevo passare di fronte all’edicola e qui accadde subito un secondo fatto straordinario (dopo l’incontro con la strega). C’era la pubblicità a caratteri cubitali di un fatto drammatico e particolare: una giovane ragazza francese si era suicidata gettandosi in acqua nel Canal Grande. Adesso per impedire che il suo corpo venisse orrendamente smembrato dalle eliche di vaporini e motoscafi la navigazione veniva sospesa per tre giorni. Subito pensò ad Ofelia il cui cadavere galleggiava e si muoveva nel fiume come se avesse un messaggio tenebroso da riferire. Allora comprò il giornale e si affrettò a montare sul mezzo pubblico dove lesse l’articolo. Durante il tragitto in vaporino il vento fresco e salso gli sferzò il viso ma non riuscì a svegliarlo dalla sua sbornia fantasticamente schizofrenica e violentemente psicotica. Sta di fatto che dopo essere sceso a S Marco si diresse verso S Maria Formosa e subito nel canale che costeggiava il campo emerse incredibilmente il cadavere nudo della ragazza. Si vedevano fuori dall’acqua il viso e la testa con dei bellissimi capelli biondi spampanati dall’acqua tremolante e verdissima della laguna; più sotto emergevano i seni e ancora più sotto la macchia chiara del pube. Corse subito in riva per vederla, per prenderla e salvarla se non dalla morte almeno dalla distruzione dell’acqua. Ma niente; appena si avvicinava lei si immergeva di nuovo come se avesse una missione da compiere. La cosa più curiosa e incredibile consisteva nel fatto che cosa assai rara data l’ora, c’erano pochissimi passanti, ma quei pochi che c’erano sembrava che non si accorgessero di nulla. Non gli restava che stare al gioco e seguire il cadavere di Ofelia nel suo imperscrutabile progetto. Questa dopo varie apparizioni e immersioni marine lo portò di fronte a una chiesa di e qui accadde qualcosa di ancora più terribile e straordinario di quello che era già successo. Pur essendo ateo e segretamente armato entrò in chiesa per riposarsi emotivamente dai suoi guai. Si sedette di fronte alla navata che era incredibilmente lunga. Dopo un po entrò in scena un prete molto alto con la tonaca inamidata che gli scendeva perfettamente a perpendicolo: non ci mise molto ad accorgersi che era, neanche a farlo apposta, l’indefettibile Don Amedeo. Il suo nemico numero uno si mise lentamente a camminare in lungo e largo tenendo un libricino di preghiere con tutte e due le mani enormi. Così andava da un capo all’altro della navata; arrivato a un estremo faceva dietro front. Alla terza o quarta volta di questa curiosa messa in scena il pistolero incominciò a contare i passi come se ci avesse un takimetro: erano trenta passi esatti esatti sia da destra che da sinistra. Inoltre si accorse che la scena gli ricordava quella del luna park quando gli orsetti di latta colorata facevano la stessa cosa, in attesa di essere colpiti dalla carabina di qualche improvvisato e aspirante tiratore scelto: il quale se lo colpiva oltre a un regalino finale, aveva la soddisfazione immediata di vedere la belva alzarsi sulle zampe per il dolore, nonché sentirla emettere un grido lancinante metallico e tenebroso. Quasi subito gli parve come in un delirio, di scambiare Don Amedeo per l’orso del luna park e decise quindi di trattarlo come se fosse veramente tale. Don Amedeo dunque faceva ogni volta trenta passi esatti e pensò che al trentesimo passo preciso preciso avrebbe sparato. Non voleva ucciderlo, forse, sperava soltanto di avere la soddisfazione di udire il suo grido di dolore. Conta allora i passi uno per uno: 20, 25, 26 , 27, 28 e 29 e, e…Ma proprio all’ultimo momento il prete, forse guidato da un incredibile istinto si sopravvivenza, fece improvvisamente come un gran salto e scomparve diretto fiondato in sacrestia. Allora furioso per il fallimento e ormai consapevole di essere completamente pazzo, decise di farla finita e rivolse la pistola verso se stesso, ma questa volta il colpo non partì e l’arma fece cilecca. Allora come impazzito prese la pistola e la gettò con tutta la forza dentro al confessionale più vicino; ma rintanato li dentro ci stava, incredibile a dirsi, il sacrestano il quale si stava masturbando con accanto un bel pacco di giornaletti pornografici. Aveva osservato la stranissima scena e aveva messo fuori la testa proprio nel momento che veniva lanciata la pistola, la quale lo prese pesantemente e sanguinosamente sulla testa. Fece in tempo a uscire inferocito e cercare di lanciarsi contro l’aggressore, ma subito svenne per il dolore inciampando rovinosamente sul sacro pavimento. A quel punto il ragazzo se ne scappò a gambe levate cercando di dirigersi verso scuola che era stato fin dall’inizio la sua vera meta. Aveva con se in tasca solo il quotidiano con la storia di Ofelia: lo zaino e tutto il resto era rimasto in chiesa. Giunto a un certo punto si riposò tutto sudato e sempre più scalmanato per l’emozione. Si era seduto su una riva quando neanche a farlo apposta la bionda galleggiante riaffiorò proprio davanti a lui: e subito prese una certa direzione soprattutto una certa velocità, come se questa volta lo dovesse seguire per forza . Infatti si diresse verso la cavana della scuola che li teneva qualche barca, comunque scomparendo ben presto alla vista come al solito sott’acqua. A quel punto il ragazzo si trovò di fronte a due porte sbarrate: una era quella della cavana e l’altra era misteriosa. Allora cercò di forzare la prima, ma niente era chiusa e inattaccabile. Allora se la prese con la seconda che sembrava più vecchia, più sporca e polverosa, insomma più fragile. Anche li però stava apparentemente perdendo il suo tempo, perché la porta resisteva inamovibile. A un certo punto inaspettatamente la porta si aprì e incredibilmente apparve…la strega. Questa gli disse subito: Te l’avevo detto che ci saremmo rivisti…prego si accomodi. Lo prese per il collo e lo sbatté per terra dentro, subito dopo sparì e la porta si rinchiuse da sola pesantemente. A quel punto non gli restò che esplorare e capire dove mai fosse capitato. Non ci mise molto a capire che si trovava nella famosa parte proibita e tabu della scuola, vale a dire nel territorio del famoso balipedio navale. Infatti ben presto si avvide che si trovava di fronte a una casamatta circolare ormai tutta verde e seminterrata la cui parte davanti puntava sul fronte lagunare prospiciente. Aggirandosi sul retro ebbe una fortuna inaspettata. C’era una porticina semisfondata tale per cui, data la sua magrezza, con un po di fatica riuscì a entrare dentro. Subito ebbe un effetto sconvolgente sia visivo che olfattivo e ancor più simbolico: ebbe la sensazione di un luogo in cui, come in tutti i posti militari, si decideva il destino delle persone nel senso della gloria e della morte. Ma presentì subito che al contrario per lui c’era posto solo per morte e infamia. C’era una puzza terribile di chiuso, di muffa, persino di morte. Infatti il terreno era cosparso di detriti non meglio identificati, di scheletri di pantegana e persino di due gatti. Per fortuna le pantegane ci andavano li apposta per morirci e non per prolificare dato che la loro vera dimensione vitale non è terricola ma vicina all’acqua. C’era anche un giornale che riportava la data di 60 anni prima, lasciato chissà da chi. C’era proprio la storia e funzione del balipedio spiegando che era stato lasciato in tutta fretta proprio all’arrivo dei francesi; ma anche precisando che era stato caricato in previsione che qualche nave degli invasori arrivasse da quelle parti. Questa notizia era importante perché si capiva come mai i cannoni erano rimasti caricati e che la polvere da sparo se conservata bene, dopo 150 può esplodere ancora. A questo punto mancava solo una casa, ossia un terribile colpo di scena. Un colpo di scena che puntualmente arrivò: sbirciando fuori dall’oblò da cui spuntava la bocca del cannone centrale, vide ancorata proprio davanti a poche centinaia di metri, lo Yacht maledetto di Nino Bigolo, cioè il principale responsabile del disastro, il simbolo del tradimento. Neanche a farlo apposta pensò che i due ragazzi stavano proprio li consumando quelli amplessi di cui lui non avrebbe mai goduto. A quel punto fu tutto uno: pensò adesso do fuoco al giornale col mio accendino e scaldo la culatta del cannone. Vediamo che succede: probabilmente niente, oppure anche se spara non lo colpisce, ma forse…E’ un po come la roulette russa, potrebbe anche esplodere tutto… Accostò il giornale infuocato e dopo un po partì una fragorosa cannonata che colpi la barca la quale in pochissimo tempo affondò senza lasciare apparentemente scampo ai due giovani amanti.
Adesso sono ricoverato nel manicomio di San Servolo. Sarà la decima volta che scrivo e riscrivo questo racconto. Me lo chiedono insistentemente il direttore del manicomio e il mio avvocato nel tentativo di capire cosa è successo veramente separando la fantasia dalla realtà. I due ragazzi non sono morti, anzi sono venuti a trovarmi, ma io anche su consiglio di tutti, non ho voluto riceverli. Adesso vi racconto le cose veramente vere ma sulle altre presunte non so dire più nulla, anche perché faccio fatica a ricordare per giunta dolorosamente. Purtroppo la faccenda di Don Amedeo e del sacrestano pornografo col bernoccolo in testa è vera ed è l’unica per cui sto rischiando grosso. Anche la faccenda della ragazza annegata è in parte vera; i pompieri mi hanno raccontato che alla fine di tutto la hanno ritrovata incredibilmente proprio nella loro darsena. Pace all’anima sua. Lo stesso dicasi per la presunta strega che è solo una vecchia matta che a volte mostra le tette cantando Pixi e Dixi per tirarsi su di morale. In effetti sono riuscito a entrare nel balipedio e a sparare una specie di colpo a salve che naturalmente non ha colpito lo yacht. Sembrava che stesse affondando, ma si era solo inclinato a causa della secca ed io evidentemente sono svenuto per il senso di colpa. I due ragazzi non se ne sono nemmeno accorti e hanno continuato a scopare alla grande. Solamente la mia insegnante di matematica, una grande medium, afferma in incognito che è tutto vero per filo e per segno: secondo lei alla fine solo un incredibile miracolo ha salvato i due ragazzi da un destino esoterico maligno che ormai sembrava prefissato e che è incredibilmente saltato solamente all’ultimo momento.. Il direttore ha detto che essendo incensurato al massimo mi prenderò qualcosa con la condizionale. Ha anche detto che resterò poco lì e tornerò gioiosamente alla famiglia e alla società; ma io invece gli ho detto che se mi terranno li mi faranno un gran piacere. Basaglia quando lo ha saputo si è arrabbiato moltissimo.
