Commento all’intervista di Gervaso a Montanelli

Dopo aver finito il pezzo sui “Mali d’Italia”, ho letto su Google News l’intervista fatta da Gervaso al suo amico Montanelli ben 40 anni fa: riflette nel succo in modo stupefacente e telegrafico, quanto vi ho scritto in dieci pagine (potenza del grande giornalista). Io però mi sono dilungato spiegando soprattutto le ragioni storiche.

Se uno rilegge il pezzo di Montanelli senza conoscere l’autore, potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un grande rivoluzionario, addirittura a un rivoluzionario trascendentale, talmente in alto da essere al di sopra sia della destra che della sinistra; e forse lo era. Purtroppo si considerava un moderato e si definiva un anarchico conservatore. Alla fine anche lui ha contribuito a uno scellerato status quo che poi è l’eterno abominevole regime; ma non era tutta colpa sua, quanto piuttosto della opposizione impossibile di un Partito Comunista in un paese che invece ne aveva un disperato bisogno.

La sua eredità più bella è stata la grande lotta purtroppo persa contro Berlusconi: una lotta che ha ampiamente dimostrato che solo lui era un grande borghese onesto, di fronte al partito di ser Ciappelletto e di tutti i Ciappelletto d’Italia par suo. Voglio citare un suo pensiero straordinario quando le ideologie erano ancora in auge. Disse:- Non credo alle ideologie che hanno un valore storico molto relativo, contestuale, effimero e soprattutto illusorio. Credo invece fermamente nei principi. Come dargli torto alla luce di quello che è successo.

Montanelli

Di seguito l’intervista di Gervaso a Montanelli ripubblicata da ilgiornale.it il 22 luglio ‘21.

“Moderno Voltaire in cravatta e vigogna, Indro Montanelli ha il dono, così raro fra noi giornalisti, di rendere facile il difficile, limpido il torbido, digeribile l’indigesto. Sotto la sua penna anche i logaritmi diventano commestibili.

Alla sua scomodissima scuola abbiamo imparato – o, almeno, ce ne siamo illusi – che la chiarezza è un dovere, l’obiettività non esiste, il lettore ha sempre ragione.

Siamo ancora uno Stato di diritto?

«Non direi».

Chi ha messo in crisi il principio d’autorità?

«Il fascismo, facendone un uso sbagliato».

Chi comanda in Italia?

«Tutti e nessuno. Forse, i vertici di partito. Ma fino a un certo punto».

E chi obbedisce?

«Nessuno».

Da noi, mangia solo chi lavora?

«Chi lavora è l’unico che non mangia. Solo i traffici rendono».

Le colonne della nostra morale pubblica?

«Non ne vedo più alcuna».

E privata?

«Nemmeno. Anche se ci sono ancora dei galantuomini».

Quale virtù più ci difetta?

«Un po’ tutte».

Ma più di tutte?

«Il coraggio, la sincerità – ch’è un aspetto del coraggio -, il civismo».

E l’individualismo?

«Non ne parliamo».

Come?

«Gl’italiani credono d’esser individualisti, mentre non sono che pecore indisciplinate e asociali».

Abbiamo più intelligenza o carattere?

«Intelligenza, o meglio sveltezza, prontezza di riflessi».

Perché gl’italiani parlano tutti assieme?

«Per incapacità di vivere insieme. Ognuno fa il proprio monologo, infischiandosi di quel che dicono gli altri».

In Italia, è meglio aver torto in molti o ragione da soli?

«Guai ad aver ragione da soli. È la cosa più pericolosa».

Il più italiano dei verbi?

«Arrangiarsi».

C’è tolleranza, oggi, in Italia?

«Ma l’Italia è tutta una casa di tolleranza».

Perché crediamo tanto ai miracoli?

«Perché non abbiamo più alcun motivo di credere alla logica, alla ragione».

L’italiano è più cattolico a letto o in chiesa?

«Ovunque: a letto, in chiesa, in politica. È sempre cattolico».

È più fedele alla moglie o al matrimonio?

«Al matrimonio».

Come mai?

«Il peccato gli fa compagnia».

Pensi anche tu che, nel nostro Paese, di progressivo ci sia solo la paralisi?

«Certo».

La nostra classe politica è più inabile nel fare, abile nel non fare, abilissima nel disfare?

«È abile nel non fare. Non che voglia disfare: disfa per inabilità a fare».

Le colpe degl’imprenditori?

«Non alzare mai lo sguardo su quel che avviene fuori delle loro aziende».

Dei sindacati?

«Ma i nostri non sono sindacati».

E cosa sono?

«Corporazioni medievali, le quali non vedono che l’interesse di categoria».

Perché tanti somari in tanti giornali?

«Non c’è più il filtro. Ma, ormai, avviene ovunque. La lotta alla meritocrazia significa l’appiattimento sul più sprovveduto».

Con che criterio scegli i collaboratori?

«O so che sono bravi, o piglio dei giovani e li metto alla prova».

Devono tutti pensarla come te?

«Ci mancherebbe altro! Al Giornale c’è un po’ di tutto».

Anche missini?

«No».

E comunisti?

«Ch’io sappia, solo il corrispondente sardo».

Perché è così difficile scrivere come si parla?

«Perché l’abitudine alla menzogna, in Italia, è istintiva, secolare. Bisogna coprire e, quando si copre, non si può scrivere come si parla».

Esiste l’obiettività?

«Come ideale, quindi irraggiungibile. Cerchiamo, comunque, d’avvicinarlesi, o, almeno, fingerla».

È buon giornalismo l’arte di mentire, avendo l’aria di dire la verità?

«È giornalismo abile».

Come mai i giornali di partito sono così indigesti?

«Perché strumenti di propaganda, che è sempre, per natura, cattivo giornalismo».

Cosa vogliono i giornali dal potere politico?

«Protezioni, coperture, finanziamenti, facilitazioni».

E il potere politico dai giornali?

«La stessa cosa».

La stampa è sempre il quarto potere?

«Ma come si fa a parlare di quarto potere in un Paese dove i poteri non esistono più, anzi esistono solo poteri usurpati, come quello esercitato dalla magistratura, che piglia iniziative anche legislative?».

Cos’è l’impegno? Solo incitamento – come diceva Prezzolini – alla bugia di gruppo?

«Nella pratica, in Italia, questo è stato».

Paga ancora buttarsi a sinistra?

«Sì».

Perché?

«L’errore commesso a sinistra non è errore».

E cos’è?

«Un generoso fraintendimento, riscattato dalle buone intenzioni. Pensa a quel ch’è stato scritto all’inizio del terrorismo. Ma nessuno ne chiede scusa a nessuno».

Perché tanti ex fascisti nei partiti antifascisti?

«Perché tutta l’Italia fu fascista».

Anche per te, come per Longanesi, l’intellettuale è un signore che fa rilegare libri che non ha letto?

«Sì».

A proposito di Longanesi: quanto gli devi?

«Moltissimo».

Ossia?

«Il gusto d’esser in disaccordo col gregge, l’anticonformismo, la lucidità».”

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