Cavalcare un drago

Ondolina Rubia

L’onda del destino

Fin da piccolo sono vissuto ai bordi di una grande laguna sullo sfondo di una città che molti dicono essere la più bella del mondo. Non so se siano stati questi fattori che mi hanno dato una sensibilità straordinaria, quasi esoterica. Il possesso di queste chiamiamole facoltà particolari, è stata una cosa con cui ho convissuto ma che spesso mi ha anche fatto paura; ma perché proprio a me? Del resto la laguna è un enorme specchio e gli specchi si sa amplificano tutto: come la realtà è vera e deformante nello stesso tempo. Nessuno sa se la verità sta in superficie, nel profondo o a mezza altezza. Quel che è sicuro consiste nel fatto che nessuno può vederle tutte assieme contemporaneamente. Si può fare esperienza concreta e diretta di una sola (sempre che i sensi non producano una soluzione del tutto illusoria) confrontandola le altre sotto forma di universali astratti fino ad allora conosciuti; in pratica una sola prospettiva confrontata con universali fantasmatici.

A ogni modo mi creavo dei racconti fantastici, appartenenti a una mia personale mitologia infantile, solo che poi li vivevo come se fossero reali. Da bambini non è molto grave, dopo lo è molto di più. Infatti accadeva talvolta l’incontro con creature irreali e deformate come in sogno, se non forse veri e propri spiriti, più probabilmente enti immaginari che incredibilmente appaiono e si muovono tra noi.

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Passavo ore e ore a osservare il flusso di corrente della laguna . A volte contavo le onde una per una nel tentativo di identificarle per scoprire il segreto della loro forma cangiante. Arrivato a 987 o giù di li, mi fermavo perché la matematica non è mai stata la mia passione.

Tuttavia avevo scoperto che esisteva un tipo d’onda più raro e sfuggente, visibile solo a chi, dopo molto esercizio, fosse stato in grado di distinguerla da tutte le altre. In realtà era la sintesi di due onde sovrapposte, come due corni che si alzassero insieme per defluire subito dopo nella schiuma marina, dolciastra e salata della laguna. Le diedi anche un nome e cognome: ondolina rubia. Dopo un po elaborai una mia teoria: mi avevano appena detto che il mondo era rotondo e tutto coperto di acqua. Così elaborai la bella pensata che la mia onda avrebbe attraversato tutto il globo e sarebbe ritornata da me. Per renderla più riconoscibile le gettai sopra a galleggiare una carta colorata di rosso con i bordi gialli. Incredibile a dirsi, la manovra riuscì. Fu così che la chiamai ondolina rubia. L’onda in realtà sparì, ma sarebbe potuta riapparire e riemergere quando voleva, come se avesse un’anima e una volontà propria: soprattutto sarebbe dovuta ritornare proprio li, naturalmente dopo aver fatto il giro del mondo. Quando non si sa; ma io andavo spesso nel posto preciso del nostro appuntamento e confidavo nella fedeltà della sorte. La carta intanto proseguì il suo cammino seguendo la corrente veloce ma senza affondare, anzi mandando in lontananza dei piccoli bagliori. In questo modo mi faceva capire che non era affatto affondata e annegata, ma che, ben viva e sgargiante, continuava il suo magico cammino. Così me ne stetti ad aspettare per un anno intero, andando praticamente tutti i giorni alla solita ora al solito posto. Incredibilmente a un certo punto il prodigio (che comunque aveva una sua logica) sembrò avverarsi. NOTA (1)

Mi sembrò non solo che improvvisamente riemergesse l’ondina a due punte, ma che sopra, addirittura roteando come in un rodeo, facesse bella mostra un pezzo di carta colorato: solo che adesso non era più rosso ma rosa; i bordi gialli erano rimasti. Questo fattore lo perdonai subito, perché pensai che fosse appunto la riprova di un lungo viaggio, che fosse dovuto alla lunga permanenza in acqua e poi nessun esperimento riesce perfettamente uguale. Notai che incredibilmente, si trovava li per terra sul bordo della laguna, un magnifico retino. Anche questo lo interpretai subito come un segno del destino: qualcuno lo aveva dimenticato li, senza rendersi conto che tutto era già stato scritto, affinché io potessi recuperare al volo il prezioso pezzo di carta, che altrimenti avrebbe continuato a fare il giro del mondo per l’eternità. Quel retino aveva il compito magico di spezzare il tempo e realizzare il mito. Incredibilmente l’inchiostro con il quale era stata scritta quella magica cartina, invece di rammollirsi e sparire si era come solidificato, vetrificato. Pertanto sia pure con difficoltà si riusciva a leggere: sempre a condizione che mi fossi armato di una potente lente di ingrandimento. Quella lettura difficoltosa evidenziò subito un colpo di scena: infatti la lettera era scritto in tedesco… per fortuna subito a lato c’era una traduzione italiana la quale risultava in parte comprensibile. Sotto presentava la data 1819 e una firma però incompleta Schop….

A questo punto avrei potuto pormi il problema di come fosse possibile tutto ciò, cioè se fosse proprio la stessa cartina e di come mai presentasse quella scrittura. Tuttavia solo il fatto di averla ritrovata mi confermava che solo a me accadevano cose incredibili, cose magiche. Jung però non si sarebbe scomposto e avrebbe detto che si trattava di causalità simpatetiche. Oppure molto semplicemente non era ovviamente la stessa cartina, ma per me era come se lo fosse.

Solo chi sta scrivendo questa novella sa come andarono veramente le cose. Uno studente di filosofia stava facendo la tesi su Shopenhauer a Venezia. Aveva scritto quella lettera per presentarla al filosofo durante una seduta spiritica per sapere come la pensava su questo e altro; in effetti in quella specie di aforisma poetico quel filosofo veniva parecchio equivocato e travisato. In seguito la lettera era finita in laguna chissà come. Ma il vero risultato lo sapremo solo al termine della seduta.

NOTA (1) Infatti questo curioso episodio ha però dei significati antropologici e filosofici enormi: già un bambino, anche se molto particolare, può elaborare originali sequenze mitologiche, ma soprattutto impregnate a livello precategoriale di semiconcetti filosofici ( in questo caso si tratta ovviamente dell’eterno ritorno). Se questo accade a un bambino, a maggior ragione è successo a dei popoli primitivi. Pertanto è stato il mito la vera culla della filosofia persino nelle sue dimensioni più fantastiche. Aspetto questo che verrà confermato più tardi dal proliferare indiscriminato delle più fantasiose tesi gnostiche, a dimostrazione del fatto che è la fantasia che cavalca originariamente la intelligenza e la conoscenza; ma questo lo possiamo anche chiamare pensiero magico.

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Riuscii col tempo e con molta fatica, nonostante la mia giovanissima età, a ricopiare il testo, anche se concettualmente non ci capivo niente, in un modo che mi parve soddisfacente, semplicemente migliorando e rielaborando la forma. In realtà mi feci aiutare dalla maestra, la quale però allertò subito mio padre dicendogli che, a occuparmi di certe cose a quell’età (strane traduzioni di strani foglietti di strani e pericolosi filosofi) ero o un piccolo genio o un bambino pazzo… Il testo in italiano alla fine faceva così:

MOLTI SONO GLI ESECUTORI PASSIVI

DI UN DESTINO CHE NON GLI APPARTIENE.

A MOTIVO DELLE INFINITE CAUSE PREGRESSE,

DELLE MASCHERE E DEI VOLTI CHE CI VENGONO

IMPOSTE DALLA FAMIGLIA E DALLA SOCIETA’

PERSINO DA NOI STESSI.

POCHI SONO COLORO CHE LO DETERMINANO

MA COSI’ FACENDO RENDONO PERO’ ANCORA

UNA VOLTA GLI ALTRI

ESECUTORI

POCHISSIMI CREANDOLO

RENDONO LIBERI SE STESSI

E GLI ALTRI

QUESTI SONO I VERI EROI E I VERI SUPERUOMINI

MA ANCHE LORO NE SONO PADRONI SOLO IN PARTE A MOTIVO

DELL’INCONSCIO.

Naturalmente il significato del testo mi rimase alquanto ostico e misterioso ma una cosa l’avevo capita; tutto quello che appare straordinario a un ragazzo, agli adulti è meglio farlo restare completamente nascosto.

In effetti le cose che fantasticavo o che pensassi mi accadessero erano molte e se restavano nascoste era meglio.

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A scuola la maestra ci aveva detto che il grande Napoleone gli ultimi anni della su destino era vissuto prigioniero nell’isola di sant’Elena. Ecco uno che creando in modo straordinario il suo destino aveva reso esecutore passivo il mondo intero! Nella mia città c’è una fermata del vaporetto denominata sant’Elena e in effetti sembra proprio un’isola, nella città d’acqua fatta di isole.

Ebbene c’era un signore che passeggiava in riva da quelle parti che sembrava proprio lui: la statura, la corporatura, quel modo così particolare di tenere le mani; gli mancava solo il cappello a due punte, ma quello era pretendere troppo. Avrei voluto comprarlo e regalarglielo, ma per farlo avrei dovuto aspettare carnevale. Forse si atteggiava a essere il grande corso, forse pensava di esserlo per davvero: sicuramente anche io non pensavo che lo fosse veramente, ma una specie di reincarnazione si. Qualcun altro avrebbe detto semplicemente che era un matto appena uscito dal manicomio. Ed io? Io chi ero ?: soltanto un bambino un po troppo fantasioso. In fondo non era ancora così grave.

Un giorno mentre ero nel vaporetto con i miei, lo scorsi nella tolda che si apprestava a scendere:

subito corsi verso di lui e lo tirai per la giacca e gli dissi: Ma lei assomiglia soltanto a Napoleone o lo è per davvero? Quel signore incredibile mi diede una risposta altrettanto straordinaria:

Caro ragazzo, contrariamente a quello che pensano le persone troppo serie come gli adulti in genere, dobbiamo avere il coraggio di vivere nel mito, di credere alle apparenze e alla illusioni con tutte le nostre forze; magari farai una brutta fine ma non ti annoierai mai. Naturalmente ancora una volta non ci capii nulla ma rimasi affascinato; almeno era un punto di vista e forse un giorno, insieme all’altro messaggio misterioso recuperato in laguna, l’avrei finalmente capito. Per questo motivo decisi di trascrivere tutte queste situazioni in un quadernuccio, nella speranza che prima o poi le avrei capite:intanto non andavano perse. Decisi anche di dargli un titolo pomposo: il catechismo segreto dei più grandi ( degli adulti). In tutti i casi era come quando in chiesa ascolti la messa in latino e meno capisci e più resti affascinato e imbambolato. Magari se poi te lo svelano sparisce l’arcano con la più grande delusione.2 Nota

2Nota. In realtà lo scrivente è paradossalmente totalmente contrario al pensiero magico; tuttavia proprio per mostrarne la pericolosità deve prima mostrarne il carattere avvolgente e seduttivo.

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Ogni giorno alle 5 del pomeriggio si sentiva provenire dal fondo della laguna un grido metallico e lancinante di sirene. Sapevo che potevano essere solo due cose: o l’avviso terribile di un bombardamento in arrivo come in un film, oppure il preavviso di qualche altro avvenimento pericoloso, tipo un terremoto, più probabilmente il veloce e improvviso sopraggiungere dell’acqua alta. Ma dato che non eravamo in guerra, a meno che non fosse scoppiata improvvisamente e inaspettatamente, questo non poteva essere; ma in tutti i casi suscitava lo stesso terrore col ricordo di quelli lontani e terribili avvenimenti che gli aveva tante volte raccontato il padre e lo zio. Questo terrore e questo mistero, insieme a quel suono particolare che sembrava provenire da un eco tanto lugubre e meccanico quanto materno (in quanto comunque angosciosamente allusivo di un avvertimento e di una protezione), sembrava fatto apposta per creare lo sfondo emotivo di un arcaico mito lagunare. Ci mancava solo questo per accendere una fantasia primitiva già molto predisposta. Era anche un modo di dire che il mito nasce o dal terrore incomprensibile o dallo stupore ammaliante di chi prova tutto per la prima volta, senza avere altri termini di riferimento che la sua stessa fantasia.

Nel dubbio finalmente chiese a suo padre cosa fosse quel suono lontano così aspro e ritmato.

Questa fu la risposta: sono dei suoni che vengono emessi per avvertire gli operai, cioè gli schiavi moderni, che finalmente la loro faticosa e pericolosa incombenza è finita. Allora in un battibaleno interpretai la scena a modo mio, avendo visto recentemente parecchi film mitologici ambientati ai tempi di Ercole e del Minotauro. Vidi centinaia di quei poveri operai che, sudando come negri, costretti a lavorare in modo coatto intorno a fuochi immensi e fumi pestilenziali, creavano immense ricchezze per i loro sfruttatori. In effetti i fuochi erano così grandi che si vedevano anche da lontano e gli odori pestilenziali, dopo aver attraversato chilometri e chilometri di laguna, arrivavano, indesiderati ospiti, fino a casa. Subito dopo però mio padre concluse: in effetti li chiamiamo sirene e quindi almeno linguisticamente, sono per davvero delle sirene. A quel punto subito pensai alle famose sirene che avevo appena visto nel solito film mitologico, cercare di adescare inutilmente il povero Ulisse con le loro codine guizzanti e forme procaci.

Pensai che un coro di quelle strane bestie acquatiche femminili, fosse tenuto appositamente prigioniero in una grande gabbia e che al momento opportuno fossero stimolate a urlare tutta la loro rabbia di femmine abusate e imprigionate da animali particolarmente feroci e inferiori come sono in effetti gli uomini. Era anche un terribile lamento arcaico, ma nello stesso tempo moderno ed esistenziale, di femmine prigioniere e innocenti, un grido rauco che sembrava provenire dall’alveo più oscuro e profondo della storia e della natura. Ecco perché ti prendeva alla gola e ti faceva così male. Non ti ispirava solo una paura indefinita, ma un misterioso e incombente senso di colpa. Invece di avvisarti e salvarti profeticamente, sembravano presagire una imminente e implacabile punizione. Qualcuno ha detto (genio o idiota?): quando possiedi una donna senza amarla è come se tu la violentassi. Ed è proprio per questo che quelle ribelli, modernissime e vendicative, uccidevano dopo aver consumato il rapporto, i loro improvvisati amanti per aver strappato un falso consenso. Così quei poveretti che pensavano di farsi una sveltina sullo scoglio venivano sbranati seduta stante lasciando come ricordo le lische, pardon gli scheletri imbiancati dal sole e dalla salsedine.E’ proprio per questo che noi maschi siamo fondamentalmente una associazione a delinquere a scopo sessuale. Ecco, bisognerebbe chiedere alle meravigliose sirene che cosa ne pensano; se non sono d’accordo, colpo di scena, allora siamo tutti salvi…Ma allora perché li ammazzano? Sono solo una variante de…… In tutti i casi cosa può esserci di più malvagio e terribile che adescarti e sedurti con le lusinghe di corpi meravigliosi, per poi portarti alla più completa rovina materiale e spirituale? In effetti come le tartarughe ci sono sirene di mare e di terra .Così intonano la loro meravigliosa terribile canzonetta per uccidere i marinai indiscreti e invadenti, ma soprattutto per scoparli avidamente; e se non li conoscono affatto, non gliene frega niente.Come dire, amore no ma sesso e morte si. In effetti anch’io non le avevo mai viste e nemmeno ci avevo parlato, ma già le desideravo con tutte le mie forze in base a un istinto di possesso che incredibilmente hanno anche i bambini. Alcuni anni prima eravamo con la famiglia in spiaggia; mi madre, dotata di un seno incredibile, ancora molto bella sui 40, andò a cambiarsi in capanna. Io mi struggevo pensando a quello che si vedeva e non si vedeva in quella cabina dalla penombra sciroccosa, attraversata dai profumi e profluvi dei vestiti e della biancheria intima di altre donne misteriose. All’improvviso uscì di corsa con un bellissimo bikini rosso che guarda caso, come si usava allora, aveva appiccicato su un bordo della mutandina scarlatta un curioso animaletto: in questo caso una piccola ma verdissima sirenetta. La donna incominciò a correre a perdifiato per raggiungere il bagnasciuga muovendo in modo meraviglioso i seni che io però non avevo mai succhiato. Allora a quella vista e a quel dolcissimo movimento ondulato, mi prese una frenesia di spogliarla del tutto e vederla finalmente completamente nuda. Era lei la mia prima sirena e il mio primo tabù; ma adesso volevo liberarle tutte dalle catene, non sopportando più la loro straziante canzone; volevo che tornassero nascoste, nuovamente libere nella umida profondità della laguna. Speravo che riconoscenti, finalmente mi lasciassero succhiare i loro seni appuntiti che naturalmente sapevano di latte e di menta, ricompensandomi della mancata esperienza originaria.

Allora chiesi a mio padre che cosa pensasse delle sirene e se in laguna le avesse mai viste. Per gioco mi rispose in questo modo, senza rendersi conto di quanto fosse pericoloso stimolare la mia fantasia già al galoppo. Certo che le ho viste; ma si fanno vedere solo quando pensano che anche tu sia un animale marino come loro. Nel mio caso pensano che sia un leone marino o un vecchio tricheco che ha perso la dentiera…Hanno il corpo verde smeraldo, il sangue verde e hanno anche le mestruazioni verdi; ma sono fortunate, per coprirsi e per pulirsi usano come assorbenti delle alghe senza spendere un soldo. Se lecchi il loro sangue, anche se sa da freschin, prima diventi verde anche tu e poi un po alla volta ti trasformi in un pesce. Molti dei pesci che tu vedi e anche mangi, sono in realtà uomini trasformati. Se non gli stai simpatico ti mangiano, ma se gli sei simpatico, ti fanno nuotare come un pesciolino dentro al loro pancino….te capì? Quella notte sognai che venivano tutte a riva verso di me, poi si alzavano con un mirabile colpo di coda e mi mostravano i loro seni così floridi e bellissimi: alzandoli e stringendoli con un gesto così materno ed erotico insieme, mi spruzzarono sul viso rivoli di latte e menta ridendo felici e io più di loro. All’improvviso mi svegliai tutto bagnato sul viso e sulle labbra che sapevano effettivamente di latte e menta; un colpo di vento aveva fatto cadere sulla scrivania attaccata al letto, un bicchiere di quel liquido che a me piaceva così tanto. Accanto sul muro avevo attaccato delle immagini mitologiche degli esseri primordiali insieme alle foto procaci delle mie attrici preferite (con grande scandalo di mia madre data l’età).

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Tuttavia quello non era l’unico rumore di sirena che si sentiva attraversare e lacerare la laguna. Infatti ce n’erano ben altri tre : i pompieri, la polizia e infine quello dell’ambulanza marina.

Tutti e tre erano accompagnati dal potente sciabordio delle onde e da quello rombante del motoscafo che frangeva i flutti. Per il resto quei tre erano caratterizzati da sensazioni ben diverse: il primo di paura e ansietà, il secondo dal senso dell’avventura e della violenza (sentivamo già il tintinnare delle pistole), il terzo dalla disgrazia incombente. E così fu. La nostra riva della laguna era inframezzata a distanza di duecento, trecento metri, da due imbarcaderi dove potevano attraccare motoscafi di tutti i tipi e di tutte le misure. Noi eravamo la solita banda di ragazzini della via Paal, giravamo sempre in biciclettine che a noi sembravano delle moto, stazionavamo e marcavamo il territorio dalle altre bande rivali. Qualsiasi grande novità era per noi l’occasione di una avventura e di una emozione fantasticata ed esagerata: finalmente non ero più solo a trasformare la vita in un romanzo, in un film pur di essere finalmente protagonista di qualcosa. Un giorno, verso le 10 della mattina all’improvviso apparve uno di noi tutto trafelato e sudato dopo una breve corsa accelerata, dicendo: Presto ragazzi venite sta per arrivare un motoscafo a tutta velocità nel prossimo imbarcadero. Subito corriamo là e vediamo quello che succede.

Ci precipitammo e ci mettemmo in prima fila come se fosse un film da vedere alla mostra del cinema. Il motoscafo arrivò rombando con due enormi baffi e sbuffi d’acqua a prua e a poppa, provocando onde così alte che andarono a sbattere persino sulla riva alta, dando un senso imperioso di modernità e di maestosità. Ma siccome avevamo già visto che si trattava dell’ambulanza marina quella maestosità si colorò ben presto di mestizia, anche se non ci saremmo mai immaginati fino a che punto. Ma per noi non c’era differenza tra un film dell’orrore e un film del dolore. Già dalla velocità del mezzo si poteva capire che doveva essere un caso molto grave e commovente. Infatti da una casa che si trovava a 30 metri dalla riva uscì una portantina medica trasportata da due robusti infermieri: dentro ci stava un poveraccio mezzo agonizzante da tanto era pallido, seguito e confortato dalla vecchia madre disperata e piangente. Solo quando lo trasbordarono sulla imbarcazione ci accorgemmo che non aveva le gambe.

Eravamo tutti ammutoliti di fronte alla tragedia, ma ciononostante, a bassa voce, incominciammo a commentare e a fare delle diagnosi: le aveva perse in guerra , no in un incidente sul lavoro oppure di automobile…ma forse era “solo” una brutta malattia. Qualcuno addirittura, rimembrando chissà quale ricordo, disse: E’ un degenerato che si è ammalato di sifilide. Tuttavia non questa frase non fece nessun effetto perché non sapevamo ancora che cosa fosse. Allora il bellimbusto indispettito proseguì: E certo le donne prima ti danno il piacere e poi ti massacrano… Per quanto riguarda il piacere pensai subito alle sirene, per il dolore molti fra i ragazzini presenti, pensarono alle loro madri che a volte li battevano ancora peggio dei padri, e siccome avevano le mani più piccole si aiutavano con delle ciabatte. Con la faccia tosta e incoscienza dei bambini, a volte tanto terribile e cinica che più di così non si può, volevamo chiedere agli infermieri e magari alla povera madre, cosa era successo per davvero, ma per fortuna il timore ci bloccò. Poi il motoscafo sparì velocemente come era arrivato, portandosi dietro il carico e il terribile mistero di quel destino che poi è sempre così per tutti, che la vada bene o che la vada male: tanto siamo quasi tutti solo ignari e ingenui esecutori, siamo come le note di uno spartito sconosciuto e di un regista invisibile..Sappiamo solo che è lui il padrone dei nostri sogni e del nostro destino. Siamo come onde emerse dalla immensità imperscrutabile dell’oceano, da una enorme forza naturale, cieca e anonima, che assurdamente e misteriosamente origina e scuote tutto l’universo. Come da sotto il mantello di un prestigiatore e sommo incantatore, così magicamente emergono tutte le forme possibili e immaginabili. Questa forza immensa e infinita come ci fa nascere per caso e senza garanzie così ci fa morire. Era dura fin dall’inizio ma alla fin fine è terribile per tutti. Così si produce e consuma il mistero di tutte le forme: quelle che furono, quelle che sono e quelle che saranno. Infatti dopo un po, che sia la frazione di un secondo o migliaia di millenni, (tanto per lei, per la terribile forza, il tempo non esiste) se le riprende e annulla su di se, pronta a farle riapparire medesime e diverse, di modo che, più o meno simili, si rinnovano e ripetono all’infinito. A un certo punto magari spariscono del tutto sprofondando per sempre nel grado zero del proprio enigma materiale e cognitivo: così nessuno saprà mai da dove sono venute e dove sono scomparse. Se qualcuno ci riesce la chiama:genealogia. Le possiamo anche chiamare idee, ma non sono ne eterne ne perfette, quelle ci sono solo nell’iperuranio della nostra testa.

Comunque la storia non fini lì, il bello e la morale dovevano ancora arrivare nei giorni successivi. In realtà eravamo così scioccati che nessuno parlò più dell’argomento, come se non fosse mai accaduto.

Ma non era affatto così: tanto è vero che io da quel momento incominciai a evitare per un sacco di tempo di passare per quel punto esatto della riva. A farla breve avevo il terrore di perdere le gambe anch’io. Pensavo di essere il solito esagerato fanatico, ma con gran stupore mi accorsi che gli altri ragazzini facevano esattamente lo stesso. Quel posto era diventato un tabù per tutti quelli che avevano visto e vissuto la madre dolorosa e suo figlio che per noi era Gesù mutilato. Alla fine li presi tutti uno per uno e chiesi loro perché lo facessero. Tutti mi diedero la stessa risposta: avevano paura di perdere le gambe come era già successo allo sfortunato protagonista. ( Nota 3)

Nota 3: Questo evento che è accaduto veramente, testimonia da solo la evidenza e la potenza del pensiero magico. Come esempio vale più di un saggio. Tuttavia c’è da chiedersi: ciascuno dei ragazzini coinvolti lo fece scattare per conto suo, testimoniando che tutti siamo immersi automaticamente nel pensiero magico, oppure addirittura ci fu tra di noi un contatto inconscio telepatico, come quando tutti fanno lo stesso sogno senza saperlo? Certo questo accade non solo da bambini, anche perché qualcuno ha detto: più un adulto rinnega e si allontana dalla sua infanzia più testimonia di essere un adulto malato, cioè un bambino malato mal cresciuto. In poche parole è più impregnato inconsciamente di pensiero magico , nonostante tutta la sua pseudo razionalità,di quanto non lo siano gli stessi bambini. A questo punto però quando rovescia il gioco infantile della onnipotenza fantastica nella patologia concreta del potere la faccenda diventa drammatica e anche peggio. Diventa così facilissimo il passaggio da una piccola forza deviata a una grande potenza sanguinaria.

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A circa un centinaio di metri da dove abitavo ci stava una piccola edicola. Era una specie di quadrato di cemento posto a un bivio nella intersezione di diverse strade. Era veramente un piccolo edificio assai curioso, in seguito quando la edicola venne chiusa, rimase abbandonato per anni. Insomma aveva qualcosa di sinistro e in effetti fu motivo di una iniziazione distopica piuttosto terribile.

In quel momento io e tutti gli altri della banda, ci rifornivamo proprio lì dei fumetti delle avventure dei nostri eroi preferiti: Blek Macigno, capitan Miki, Zagor, l’Ombra che cammina ecc ecc. Il corrierino dei piccoli e Topolino non faceva per noi, erano poco avventurosi, li giudicavamo roba da bambine. Naturalmente eravamo grandissimi lettori dei romanzi di Salgari.

La guerra era appena finita da 15 anni e avevamo la testa piena dei racconti dei padri, dei nonni, degli zii, insomma dei sopravvissuti che erano riusciti a portare a casa la pelle. Persino i racconti delle torture non ci riportavano a cose reali, come quando andavamo dal dentista, ma alle immagini falsamente sanguinarie viste al cinema, alle smorfie degli attori altrettanto finte ed esagerate.

La stessa faccenda di fascisti e partigiani era per noi come la lotta tra indiani e cowboy, l’eterna faccenda di guardie e ladri anche se la nostra preferenza andava, guarda caso, a quelli che passavano per selvaggi e per ribelli. Insomma i buoni erano i cattivi e i cattivi erano i buoni, anche se a volte questa confusione aveva portato, non molti anni prima, al prezzo di un sacrificio inutile e di un tradimento infame. Ma tant’è la morte pareggia tutto e i buoni muoiono inutilmente quanto i cattivi e anche peggio; anche se naturalmente guai ad accorgersi o peggio sbandierare una cosa del genere. La faccenda dei fumetti diventava epica quando, per drammatici motivi pecuniari, che prima o poi capitavano a tutti, mettevamo su dei banchetti dove vendevamo i nostri preziosissimi album cercando di fari affari e soprattutto scambiarci i pezzi cercando quelli mancanti.

In quelle occasioni vendevamo e ci scambiavamo anche gli album dei calciatori, dei dinosauri, e poco più tardi, sottobanco, le prime figurine delle donnine nude.

In mezzo a tutto sto trambusto mi capitò di leggere delle strisce di fumetti estremamente inquietanti e intriganti, le quali certamente non avevano nulla a che fare con la nostra precocissima età. Infatti mi colpirono enormemente. In questo modo le mie coordinate mentali, in apparenza salgariane, in profondità ancora parrocchiali e familiste, vennero messe a dura prova. La cosa straordinaria fu che dopo la lettura breve e semplificata dei fumetti, feci in realtà dei lunghissimi e profondissimi sogni filosofici di incredibile portata, a dimostrazione che la mia precoce perspicacia era guidata da una specie di intelligenza trascendentale, esoterica e misteriosa. Sto parlando di strisce di fumetti tratti dall’Intrepido.

La prima sequenza comincia così.

Siamo in una enorme pianura dopo una grande battaglia dell’800, tipo Waterloo oppure rievocando le gesta di Michele Strogoff. La grande distesa è completamente tappezzata a perdita d’occhio dei corpi dei caduti. Eppure, incredibile a dirsi e a vedersi, non è del tutto immobile, infatti improvvisamente, da qualche parte, sussulta in modo quasi impercettibile su se stessa, dando la illusione di una specie di tappeto ondulante. Sono i corpi dei moribondi che improvvisamente cercano di alzarsi nella foga inutile dell’ultimo respiro: sono tutti morti a gruppi, la nello stesso posto, ma in tempi diversi. Seguendo quelle piccole onde potresti scandire i luoghi e il furore della battaglia. Sono quasi tutti ormai cadaveri, ma qualcuno ancora rantola agonizzante in attesa di una fine tardiva e impietosa. Solamente il colore sgargiante delle divise, blu e rosse, come tante macchioline, tanti puntini disseminati come le tessere di un puzzle, è l’unica percezione visiva che ricorda ancora la vita. La morte questa volta si è messa il vestito di arlecchino. In alcuni punti sembra come alzarsi e galleggiare addirittura una nebbiolina rossa, rendendo il paesaggio ancora più spettrale e sconvolgente, andando ben oltre i limiti emotivi sopportabili della condizione umana. Da un punto di vista oggettivo è tutto così dannatamente materiale, ma da un punto di vista soggettivo siamo nell’orrore indicibile e ultra umano. L’odore di morte, l’odore del sangue toglie il respiro, ma la nenia del lamento insopportabile dei moribondi spingerebbe chiunque a un suicidio fulmineo e immediato, col coltello, con la pistola, con le proprie mani alla gola, non importa, basta fare presto. Dicono che i generali ci sono abituati e per loro è una specie di musica. Eppure in questo panorama così desolato e disperato c’è qualcuno che è rimasto ancora vivo e tutto d’un pezzo. Infatti nel bel mezzo della pianura ci sta un grande albero. E’ una enorme quercia secolare che sicuramente ne ha già viste di tutti i colori. Ai tempi delle guerre di religione ci impiccavano i frati. La sua maestosità così saggia e benigna sembra contrastare con tutto quello che le è successo attorno già nei secoli passati e adesso in questo presente ancora così terribile. La illusione del razionale circondato e sovrastato dall’irrazionale ti fa andare in tilt il cervello (PS era esattamente quello da cui voleva salvarsi Hegel…che alla fine benediceva anche i massacri della storia). Se la guardi bene ti accorgi che è cava, ma se la guardi ancora meglio vedi che dentro si è rifugiato un soldato incredibilmente sopravvissuto a quella terribile mattanza.

Trema come una foglia e ancora non si capacita di essere ancora vivo. Sicuramente è un disertore che nel trambusto della battaglia è riuscito chissà come a trovarvi rifugio e nascondiglio senza che nessuno se ne accorgesse. Ma adesso ha ancora paura a uscire, qualcuno dei moribondi potrebbe sparargli come l’ultimo regalo della giornata. Per questo ha deciso di aspettare fino a sera, intanto incapace di placare la sua tremarella, riconosce tra i caduti più vicini qualcuno dei suoi amici. Ha rimosso tutto, non ricorda più nulla, nemmeno come ha fatto a introfularsi li dentro.

C’è chi è morto combattendo fino all’ultimo eroicamente e chi , ancora più codardo di lui, s’è messo a scappare sul più bello, ma non ha avuto la stessa fortuna. A un certo punto da uno spiraglio dell’albero che lo ospita e protegge, scopre una strana figura, incredibile e bizzarra, farsi strada da lontano. Man mano che si avvicina sembra un contadino bellicoso che maneggia un bastone sfavillante o un monaco lugubre e ondeggiante tutto vestito di nero. Ben presto si accorge con orrore che il viandante della morte effettivamente non è altro che, realtà o delirio, la signora dell’ultimo respiro. Come in tutte le scene classiche, camminava roteando la sua grande falce scintillante celebrando se stessa, celebrando il trionfo della morte. Forse portava effettivamente con la sua falce l’ultima pace ai pochi sopravvissuti che la imploravano invocando inutilmente la madre. Purtroppo si avvicinava pericolosamente sempre di più alla fatidica quercia, mentre il poveretto che stava dentro, tremava sempre di più, pensando che questa volta non l’avrebbe fatta franca. Infatti arrivata di fronte a lui, la fetida vecchia lo apostrofò così: Su tesoro esci, su su fai presto, tanto lo so che sei la dentro vigliacco. Egoista e furbastro, volevi nascere senza morire? Guarda che il tuo corpo è come un vestito in affitto, adesso lo devi restituire alla guardarobiera di questo gran teatrino puzzolente. Tutti i travestimenti e le divise portano alla morte, non solo quelle dei soldati a cui tra poco farai compagnia. A questo punto incominciò a colpire il legno con la falce e il destino del disertore sembrò compiersi dopo che se l’era già cavata innumerevoli volte, tra spari di fucile appena sfiorati, colpi di baionette andati a vuoto e furiose sciabolate fortunatamente disperse nel nulla. Allora quel povero disgraziato tentò il tutto e per tutto e rispose così.

O morte, spietata ma a volte misericordiosa nel porre fine agli affanni degli uomini, non ti sei ancora stancata oggi? Non hai lavorato abbastanza, non senti il peso dei secoli sulle tue scapole ossute? Sicuramente non sentirai gocce di sudore e nemmeno le perle delle lacrime, ma forse sentirai le tue ossa scricchiolare da tanto hai lavorato. Certo fai un bel lavoro , chi oserebbe contrastarti? magari la tiri per le lunghe ma alla fine vinci sempre tu. Non pensi che hai diritto a un po di riposo, non pensi che dovresti obbedire al caso almeno una volta nella vita, pardon nella morte? Risparmiarmi visto che oggi mi sono già salvato infinite volte. C’è un limite a tutto. Morire proprio adesso sarebbe troppo spaventoso.

A queste accorate parole la vecchia rimase perplessa (nessuno le aveva mai parlato in questo modo), sembrò rifletterci e poi rispose così:

No guarda, io il limite non lo conosco proprio, però anch’io mi esaurisco come tutte le forze, per esempio durante le epidemie quando faccio gli straordinari; ma non ti preoccupare, recupero subito. Durante le guerre come questa io mi riposo, tengo solo la contabilità, il resto, il grosso lo faccio fare tutto a voi macellai. Il bello è che poi vi lamentate di me, che faccia tosta! Infatti in questi casi è raro, caro mio, che io intervenga in prima persona, io sono come il datore dell’ultimo lavoro dell’ultimo minuto; ma il lavoro sporco quello lo faccio fare agli altri. Vedi in lontananza quei due tipi che vagano anche loro per queste contrade irrorate di sangue e coperte di lamenti: prima o poi si incontreranno e se ti salverai anche da loro, allora e solo allora finalmente avrai vinto. Potrai finalmente tornartene a casa ammesso che tu ce l’abbia ancora, ma dopo quello che hai visto qua, sarà solo una finzione. Di sicuro una patria ormai non ce l’hai più. Come vedi ti do una ultima possibilità, altrimenti eseguiranno anche per te la ultima assurda condanna di questo luogo maledetto. Adesso…adesso vado finalmente a riposarmi, come dici te, penso proprio di essermelo meritato…Faccio fatica sai, povera vecchia, anche se mi metto sui cuscini più morbidi sento sempre le ossa che mi punzecchiano.

In effetti quei due tipi in lontananza vagavano tra i morti senza nemmeno essersi ancora accorti della loro reciproca presenza, da tanto erano presi dalla loro occupazione: cercavano di riconoscere tra i morti se c’erano persone importanti per recuperare i corpi, gli altri, i figli del popolo, potevano anche marcire abbandonati alle intemperie e agli animali selvaggi di quel luogo. In effetti erano ufficiali dei due eserciti in lotta: una volta che si fossero riconosciuti in quanto tali cosa sarebbe successo? Si sarebbero abbracciati, avrebbero finalmente riconosciuto di essere fratelli o si sarebbero sbudellati come tori infuriati ?

L’attesa fu breve. Non appena intravidero gli odiatissimi colori delle loro divise si precipitarono a tutta velocità l’uno contro l’altro roteando le sciabole scintillanti e, neanche a farlo apposta, si sfidarono a regolar tenzone proprio di fronte alla pacifica quercia. Così incominciarono a menarsi dei fendenti così violenti che se si prendevano si sarebbero sicuramente fatti a fette; alla fine quello dalla giubba rossa, la stessa del disertore clandestino, diede un colpo ben assestato e tagliò di netto la testa all’altro facendola sanguinosamente roteare ai piedi dell’albero.

Non contento di quanto successo, privo di qualsiasi forma di pietà, si avvicinò per il gusto di brandirla a mo di trofeo: voleva attaccarla a qualche ramo appuntito dell’albero, come ricordo della sua impresa caso mai qualcuno avesse fatto un giro turistico da quelle parti.

Mentre stava tentando di realizzare il suo vezzo così selvaggio e disumano, naturalmente si accorse che la quercia in realtà era abitata….Chi va la? esci subito altrimenti farai la stessa fine di questo qua, disse agitando la testa mozzata e sgocciolante. Ma l’altro per sua fortuna aveva ancora una pistola col colpo in canna. Ce l’aveva già in mano, pronto a tutto, mentre assisteva al duello. Così non esitò a sparare a bruciapelo e colpì il suo amico, nemico, compatriota e assassino proprio nel bel mezzo della fronte.

Infine perquisì il morto ancora caldo e scoprì che aveva una bella borsa piena di denari. Nello stesso tempo vide in distanza ancora una volta della gente che si avvicinava, questa volta addirittura con dei carri. Sapeva che erano i contadini del luogo, i quali dopo averne subito di tutti i colori, adesso reclamavano una parte per se, depredando i cadaveri di tutto: armi, stivali, divise ecc.

Si avvicinò a loro tenendosi a distanza di fucile e propose urlando un baratto: lui gli avrebbe dato un po di soldi e loro gli davano finalmente degli abiti civili per scappare più tranquillo. Un tentativo di diventare trasparente certo che no; ormai si era sporcato per sempre. Un tentativo di diventare invisibile certo che si, ma sarebbe bastato per evitare la fregatura totale del mondo?

Così fu e il nostro antieroe se ne sparì solo solo nella notte; ma nella sua mente, oltre al vuoto pneumatico c’era solo la sua disperata volontà di mimesi e di sopravvivenza a tutti i costi.

A questo punto restava ancora la parte più importante, cioè la morale conclusiva. La quale risultò anche questa straordinariamente articolata e complessa. Poiché non possiamo aspettarcela da un bambino allora la diciamo noi.

Prima di tutto quelli che durante la pace, ti dicono tutto il giorno quello che devi fare e che non devi fare, come lo devi fare, sono proprio quelli che poi mandano a morire la meglio gioventù come se fossero bocce e birilli.

Se devi lottare e morire lo devi fare in piena coscienza, sapendo tutto quello che c’è in ballo nello sporco gioco che potrebbe costarti la vita. Del resto la vita e la morte tremendamente inutile degli eroi è una delle tragedie più grandi che affliggono l’umanità. Per i santi è diverso, finiscono in paradiso, li mettono sul calendario e tutti sono contenti. Con le figurine dei santi potresti anche avere un premio straordinario: chi riempie una pagina intera per esempio di vergini sante (oggi sempre più rare) guadagna la indulgenza plenaria e va diritto in paradiso. Ma se ti dovesse accadere di accorgerti che chi combatte sotto la tua stessa bandiera non è gravemente all’altezza, cioè è un fetente e un idiota, insomma che il gioco non vale la candela, non ti resta che ritirarti il più velocemente possibile senza dare nell’occhio. Sempre sperando che il grillo parlante non ti dia del vigliacco e magari lo sei veramente.

Nella vita di fronte alla morte fisica, a quella spirituale e ideologica, circondati da zombi di tutti i tipi e di tutte le varietà, non resta che la grande fuga nella notte fredda e solitaria all’interno del proprio irripetibile mistero, cercando di sottrarti il più a lungo a possibile alla forza di gravità del destino, alla forza centripeta dell’universo che vorrebbe riprendersi, a volte velocissimamente, quello che ti ha dato momentaneamente in prestito. Per liberarti della forza di gravità delle ideologie potresti attraversare il deserto delle sette solitudini, ma dietro c’è sempre qualcuno che ti corre dietro e che prima o poi ti acchiapperà. Quando il carnevale diventa troppo sporco e mortale non resta che nascondersi dietro le quinte…magari mangiarsi la maschera, diventare come l’uomo senza volto, mimetizzarsi insieme alle maschere vuote. A volte se ti fingi completamente pazzo o un idiota totale, potresti anche salvarti se non muori di fame o ti bombardano il manicomio dove nel frattempo ti sei rifugiato e nascosto. Anche perché a volte i manicomi sono posti più razionali rispetto a tutto quello che accade fuori nel mondo.

Restava il nodo assai insidioso e problematico della diserzione in se stessa. Ma il nostro infante fumettaro non la viveva come una faccenda prettamente militare o patriottica, ma come un dramma psicologico esistenziale a sfondo familista. In effetti voleva disertare e divorziare da suo padre che lo picchiava ferocemente, da sua madre che guardava senza alzare un dito e proferir parola irrorata dai fiumi delle sue lacrime innocenti. Voleva separarsi dal suo destino biologico, cioè da sua sorella gemella che di notte, zitta zitta, quatta quatta, dopo aver costruito genialmente una lunga pinzetta con una appiccicosissima gomma americana in punta, gli fregava tutti i sudatissimi soldini dal suo salvadanaio corazzato, apparentemente inespugnabile; da sua sorella Vera che come parente di vero non aveva niente, dato che a tre anni lo inseguiva con una ferocissima aspirapolvere rombante. Se fosse rimasto ingerito dentro al sacco sarebbe stata veramente una morte ingloriosa mangiando tutta quella povere. Ecco, da tutto questo voleva disertare; ma poi dalla famiglia, poi dalla scuola, poi dai preti, dalla patria? Di una sola cosa era sicuro che non avrebbe mai disertato dalla sua meravigliosa laguna e dalla città che vi galleggiava sopra e che qualcuno aveva definito una vagina pulsante. Se la sua patria era quella l’avrebbe difesa fino alla morte perché se la sentiva nelle viscere, nel sangue, nel respiro.

La seconda sequenza fumettara era se possibile, ancora più terribile. Anche in questo caso si trattava di una striscia dell’Intrepido.

C’era uno stadio con della gente sugli spalti e sotto nell’arena, si azzuffavano a unghiate e a morsi degli strani terribili gladiatori.

Combattevano a mani nude come nel corso di una terribile lotta greco-romana o di pugilato senza esclusione di colpi: in realtà si divoravano brano a brano, ancora vivi come le belve feroci. Pertanto combattevano tutti nudi senza nascondere, anzi esaltando la loro sfrenata animalità. L’esito era terribile, anzi spaventoso: il vincitore morsicava, azzannava il moribondo che ancora si divincolava nell’agonia, infine se lo sgranocchiava piano piano… una specie di scena cannibalesca e vampiresca però di massa. Il conte Ugolino in formato popolare condita in salsa orientale. Le olimpiadi del cannibalismo che poi è la natura e per traslato la società.

La cosa più incredibile consiste nel fatto che dopo un po sugli spalti anche gli spettatori si mettevano anche a fare la stessa identica cosa… Buon appetito e soprattutto buona digestione! Il giovane lettore fu veramente sconvolto da queste immagini di incubo, ma ne trasse la lezione di svegliarsi completamente dalle illusioni che la famiglia , la scuola e la società gli avevano impartito fino ad allora. Anche in questa occasione c’era un collegamento con la Grande Diserzione. Prima di tutto una riflessione alla Schopenhauer sulla ridicola bontà e razionalità della natura, ossia la razionalità del macellaio e del cannibale. Questi non solo si divorano tra di loro ma si mangiano anche la mamma vegetariana; insomma i commensali cannibali fanno sparire anche la tavola imbandita.

L’uomo è un animale molto più feroce degli altri; se come intelligenza strumentale sta al vertice della evoluzione come ferocia possiamo dire lo stesso, visto che le due cose collaborano e si corroborano a vicenda. Naturalmente questa doppia combinazione è micidiale ed espone continuamente non solo a una perniciosa confusione sulla reale missione dell’uomo sulla terra (utopia o distopia?), ma comporta sempre il rischio della sua definitiva scomparsa. Una missione che in realtà è dominata dal narcisismo diabolico dei potenti, dal servilismo impotente delle masse, dalle esortazioni inutili di preti e filosofi. Questa terribile confusione e miscela tra razionale e irrazionale, crea la grande illusione che l ‘uomo sia un animale logico ed etico. Così i filosofi si parlano inutilmente addosso dal pulpito di cattedre prezzolata, mentre le masse e i dirigenti camminano a braccetto come i gamberi danzando sui bordi sulfurei del famoso vulcano. Gli animali sono feroci cannibali per sopravvivere, per necessità alimentare, al contrario gli uomini lo fanno solo per inaudita ferocia e smisurata volontà di potenza, su tutto e su tutti. Inoltre questo cannibalismo non è detto che sia carnale, può essere metafisico quando le persone si divorano culturalmente, sentimentalmente, ideologicamente ecc ecc. Pertanto nell’uomo non è la intelligenza che ha domato e vinto sull’animale, ma al contrario è l’animale che domina e sregola la sua pseudo intelligenza verso gli esiti che tutti sappiamo. Da questo punto di vista la scienza è paragonabile alla magia in quanto ha dato poteri demoniaci in mano a degli (apprendisti) stregoni.

Se pensiamo ai campi di concentramento nazisti, ai Giapponesi che entrano a Nanchino e ammazzano trecentomila persone torturandole e violentando tutte le donne, alla marmellata umana bruciacchiata dalle bombe atomiche, tutto questo era ancora peggio anche molto più realistico, del ragù e del grand Guignol simbolizzato nell’immaginifico e terribile fumetto. Evidentemente nessuno può essere spettatore neutrale del male assoluto senza rischiare di essere coinvolto nella stessa terribile epidemia: il male ha in se una terribile forza di imitazione che il bene purtroppo non ha. Infine questo fumetto è la simbolizzazione artistica anche se estremamente cruda, della forza in Schopenhauer. Vederla, comprenderla, prenderne atto, non ti trasforma in pietra come la medusa, ma sconvolge per sempre la tua visione del mondo. Dato che in questo contesto cercare di migliorare il mondo significa non solo correre inutilmente rischi immensi, ma stressare il mondo, addirittura peggiorarlo, nella migliore delle ipotesi trasformarlo, allora Schopenauheie era rimasto un conservatore spietato. Ma il nostro ragazzino era diventato senza saperlo un anarchico totale anti anarchico; tuttavia questo non significava smettere di cercare quello che si definisce platonicamente il vero e il bene: ossia rompere le scatole a tutto spiano, mentre tutti gli altri navigano e galleggiano nel male e nella falsità in nome del conformismo e della carriera.

Da ultimo noi oggi pensiamo di farci dominare dalle macchine come da un qualche cosa che sarà anche terribile, ma non c’entra più nulla con la nostra originaria intrinseca bestialità. Non è vero. Dentro a quel robot ci sta nascosto un animale feroce che, come una specie di Gerione moderno, ha la sintesi di tutti i musi della ancestrale ferocia animalesca, però privata del tutto del senso del limite. Questa è la vera mostruosità moderna. Una volpe, un lupo nel corso di una giocosa orgia di sangue si fermano a qualche decina di vittima; l’uomo e la macchina non si fermano di fronte a nessuna cifra. Cara umanità auguri. Goditi i tuoi ultimi giocattoli, i robot artificiali, e spera in Dio perché giustamente solo un Dio ci potrà salvare.

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Spesso suo padre con la scusa di andare a pescare lo portava in un certo posto dell’isola, diciamo a circa a metà, non molto distante da un importante insediamento storico. Li ci stava un ospedale per anziani. Per tornare a casa dovevano oltrepassare a mo di scorciatoia, una specie di giardinetto che in realtà pur facendo parte dell’ospedale, era interdetto e ostacolato da una rete piuttosto alta. Ma niente paura, loro ci passavano lo stesso come clandestini, approfittando di certi buchi sulle reti.

Quando passavano, suo padre che non era per niente religioso, si faceva il segno della croce, ma si vedeva più per scaramanzia che per fede.

A un certo punto il ragazzo che non coglieva mai l’occasione di stare zitto, chiese: Ma papa perché ti fai il segno della croce se non vai mai a messa? L’uomo non rispose taciturno. Poiché la situazione si ripeté più volte, si capiva che c’era qualcosa di strano, qualcosa di cui non aveva voglia di parlare evidentemente. Alla fine, stanco di questo stillicidio di domande senza risposta finalmente aprì bocca: Vedi qua ci sta un cimitero, solo che è un cimitero molto particolare: il morto non ce lo mettono tutto intero, bensì un pezzo alla volta…anzi no, resta vivo ma seppelliscono solo la parte morta…

Sembrava una specie di rebus raccapricciante o l’evocazione di una famosa favola dove dall’alto piovevano pezzi di cadavere. Mentre cresceva l’atmosfera macabra al loro passaggio, il ragazzo chiese al padre di sciogliere finalmente l’enigma dei morti, anzi dei vivi fatti a pezzi. Questa fu la risposta : Non hai capito scioccone che si tratta di parti malate amputate, che so, un braccio, una gamba ecc. Dove vanno a finire secondo te? O le bruciano, ma costa pure quello, oppure le seppelliscono e le sotterrano in questa specie di strano cimitero partime… Pensa che a volte fanno dei funerali veri e propri e dopo tu vedi sti poveri vecchietti con le stampelle, portare i fiori piangendo alla gamba defunta. Non sapeva mai se suo padre raccontava baggianate o verità visto che a volte alzava pure il gomito, poco magari, ma quanto bastava a ingigantire e stravolgere i fatti. Questa volta rincarò la dose. Pensa che a volte gli infermieri preparano delle mini bare di legno o di cartone, altre volte questi poveri arti li seppelliscono nudi e crudi come se fossero pezzi di salame. Tuttavia col tempo a causa delle piogge riaffiorano, potresti vedere addirittura le mani scheletriche che spuntano da sottoterra. Inutile dire che si riaffacciavano di colpo tutti i ricordi raccapriccianti dei film dell’orrore. Gli zombi a spasso per il cimitero alla ricerca delle parti perdute.

Mamma mia! A questo dire come al solito, la fantasia del ragazzo invece di bloccarsi inorridita si mise a galoppare. Si immaginò di notte la danza macabra di gambe e di braccia che danzavano facendo il minuetto. Naturalmente decise che avrebbe fatto una capatina proprio di notte per non essere visto, ma sempre non troppo tardi, per non essere scoperto a casa, altrimenti sarebbero stati dolori. Stava pensando di organizzarsi per la spedizione quando si sparse la voce che nell’isola, nella parte più selvaggia a nord, era stato avvistato un branco di cani abbandonati e inselvatichiti che potevano costituire un pericolo per le persone, soprattutto di notte. Nel frattempo incominciò a piovere in modo forsennato per parecchi giorni, e si sa quando piove così forte le cose seppellite da anni a volte riaffiorano…Insomma si recò al solito posto verso le 7 di sera invernale, questo per dire che era già buio e non c’era anima viva. Attraversò il recinto e poi con una torcia incominciò a scrutare il terreno alla ricerca di chissà quale tesoro. Ma si sa la morte e la stessa putrefazione hanno una incredibile forza di seduzione per i ragazzi, rappresentando un tabù da sfidare e da sfatare.. Quello che trovò fu al momento solo delle pietre muschiose con sopra scritto la data e un nome. appena leggibili. Tuttavia a un certo punto sentì il rumore di un motoscafo che si avvicinava dalla parte della riva non molto distante. Allora abbandonò la postazione si recò in quel posto per vedere chi arrivava dal mare a quell’ora, ma sempre restando nascosto e guardingo, non si sa mai.

In effetti vide sbarcare 4 persone che non sembravano affatto per bene ma dei loschi figuri. Infatti lo stesso natante aveva fatto manovra a luci spente, segno che non voleva farsi vedere chissà per quale ragione. Dunque c’era qualcosa da nascondere, forse di molto prezioso e pericoloso nello stesso tempo. La ragione la si scoprì subito: dopo una rapida perlustrazione sulla riva tornarono sulla barca e trasbordarono due cassette abbastanza lunghe e molto pesanti visto che in due, molto forzuti, facevano fatica a portarle. Cosa c’era dentro? Subito istintivamente pensò a delle armi; a dei mitra, addirittura a dei bazooka. Portarono le due casse nel recinto e armati di badili le seppellirono con facilità visto che il terreno era tutto bagnato. Dopo di che fatto il solito giretto alla ricerca di curiosi, se ne andarono velocemente come erano venuti in gran segreto. Subito scese dall’albero dove si era rifugiato e andò sul punto esatto dove erano state seppellite le due casse. Istintivamente guardò per terra con la torcia accesa e dopo un po trovò due grossi bossoli di mitra. Visto che non erano arrugginiti, probabilmente erano collegati con quanto c’era nei misteriosi contenitori interrati. Questa poi! aveva appena scoperto in flagrante i famosi contrabbandieri che rifornivano di armi pesanti tutta la mala del nord. Faccenda seria e pericolosissima. Stava per tornare a casa più interessato alla propria pelle che a cercar pezzi di cadavere, quando sentì abbaiare furiosamente come fanno i cani quando sono in gruppo. Subito risalì sull’albero e fece appena in tempo perché irruppero nella scena 4 cagnacci rabbiosi che si misero subito a frugare un po di qua e un po di la. Alla fine si indirizzarono tutti e 4 su un certo posto e si misero a scavare con le zampe non trovando un vero ostacolo a causa del terreno fradicio. Cosicché dopo un po orribile a dirsi, ma non inaspettato dato il posto, tirarono fuori dal terreno un braccio mezzo putrefatto e cosa ancora più orribile, incominciarono a contenderselo anche correndo di qua di la giocando a rugby con quel povero pezzo di corpo. Era veramente una scena orribile e devastante che fu interrotta da dei colpi di pistola. Era arrivato il metronotte che teneva a guardia l’ospedale di sera, e che alla vista di quella scena e cena terribile non era andato per il sottile. Così incurante delle esortazioni compassionevoli degli animalisti si mise a fare tiro a segno sui cani indemoniati.

Due li ammazzò subito, un terzo lo ferì ma scappò chissà dove; purtroppo il quarto gli saltò addosso azzannandolo alla gola senza lasciargli scampo. Così mori il povero e coraggioso metronotte non prima di portarsi all’inferno con un altro colpo, il cane che lo aveva assalito. Dopo un po sicuro che ormai i due non davano più segni di vita , scese dall’albero e si recò dove giacevano entrambi. Con una pedata spostò il cane ancora rantolante e vide che il metronotte teneva ancora in mano la pistola fumante; la teneva così stretta che non fu certo facile strappargliela di mano. Alla fine ci riusci, la ripulì dal sangue e se la mise in tasca; finalmente aveva una pistola e per giunta vera, non fatta per giocare ma per uccidere sul serio. Si ricordò che suo padre aveva tanto decantato la famosa Luger, la pistola dei nazisti. Non sapeva ancora che uso ne avrebbe fatto, certo non immaginava che l’avrebbe usata nel brevissimo periodo. Infatti non aveva ancora fatto in tempo a inforcare la bicicletta che sentì nuovamente il rumore di un motoscafo avvicinarsi. Guardò sulla riva e riconobbe, ancora distante, il famoso motoscafo dei contrabbandieri. Fece appena in tempo a schivare il fascio luminoso di un potente riflettore, altrimenti probabilmente lo avrebbero centrato sparando. Sentendo in lontananza gli spari, vedendo accendersi delle luci nella loro zona strategica , si erano messi in allerta e avevano deciso seduta stante, di andare a vedere che cosa succedeva. Dunque si stavano avvicinando velocemente e pericolosamente; anche il ragazzo però prese una decisione immediata. Impugnò la pistola ed aiutato dalle luci usate dai banditi, prese la mira e sparò dove vedeva emergere i baffi bianchi delle onde nella speranza di colpire il gommone.

Data la giovane età, la impreparazione e la emozione, fu doppiamente fortunato , prima di tutto perché forse i colpi ormai erano finiti e invece ne partirono due; secondariamente perché effettivamente colpì il gommone che a 50 metri dalla riva naufragò miseramente, costringendo gli occupanti a raggiungerla a nuoto, dopo aver abbandonato i mitra sul natante. Certo avevano ancora delle pistole in tasca, bagnate però e non più del tutto affidabili; comunque vennero subito a miti consigli, perché quasi subito si sentirono le sirene della polizia che, finalmente allertata dai vicini per tutti quelli spari, era arrivata a sirene spiegate. Il nostro ragazzo intanto se la filava non dalla parte della laguna, dove stava arrivando la polizia, ma dalla parte del mare sperando di non fare più per quella sera strani incontri. In tutti i casi avrebbe potuto sparare oppure buttare la pistola a mare, nel caso fosse diventata troppo compromettente. Mica male per avere solo una decina di anni. Dopo aver letto l’Isola del tesoro e i libri di Salgari infinite volte, era come se avesse fatto il servizio miliare tutto su una volta….

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Così finalmente arrivò a casa verso le nove. I suoi avevano già cenato, per fortuna suo padre non c’era e la madre gli fece la solita manfrina, ma senza grinta, senza mordente, tanto ormai aveva perso ogni speranza di recuperare suo figlio alla normalità: certo se avesse saputo quello che era veramente successo davvero quella sera, avrebbe capito che viviamo in un mondo completamente irrazionale e assurdo dove la normalità non esiste. Ne avrebbe avuto uno choc tale che si sarebbe fatta suora abbandonando la famiglia e trovando la sua normalità nel pregare tutto il giorno dalla mattina alla sera. Del resto meglio una suora assurda che una mamma assurda.

Così il ragazzo fuori dalla norma, andò a letto presto, ma, solo per il fatto di avere la pistola era così eccitato che non riuscì a chiudere occhio. L’avrebbe mostrata ai suoi amici o farlo sarebbe stato troppo pericoloso? L’avrebbe usata anche solo per mettere paura a qualcuno, ma se poi scappava ancora qualche colpo rimasto, gli avrebbero dato l’ergastolo in riformatorio. Alla fine si addormentò con un sonno agitato pieno di incubi: branchi di lupi che lo inseguivano ringhiando fin sotto casa, i pirati che sbarcavano per ucciderlo come nell’isola del tesoro, lui che andava a scuola e sparava improvvisamente di fronte a tutti, al direttore didattico e alla sua amante, famosa e terribile maestra. In questo modo vendicava quelle povere bambine che per la paura se la facevano sempre sotto, dietro la lavagna, trasformandola in una specie di vespasiano infantile con vistose e odorose pozze di pipì gialla.

Infine fece un sogno molto particolare, un sogno familista dei peggiori che lo perseguitavano in modo ricorrente.

Si stava masturbando di notte nel segreto della sua stanza, quando improvvisamente, proprio quando ce lo aveva duro duro, alto alto, entrò nella oscurità della stanza una terribile figura di monaca mascherata e vestita tutta di nero, ma soprattutto armata di un grosso coltello da cucina.

Cercò subito di ordinare al suo biriccio di mimetizzarsi e di calare vistosamente per non essere troppo esposto alle manovre del nemico, ma niente, questo incosciente, baldanzoso e disobbediente se ne stava li ritto ritto come la torre eiffel in miniatura.. Intanto il misterioso mostro femminile avanzava sinistro sempre più vicino. Ormai era a un passo e stava per vibrare il colpo fatale quando riuscì a scansarsi evitandolo e nello stesso tempo poté levargli la maschera.

Ti conosco mascherina… infatti era niente popo di meno che sua sorella più grande, in realtà sotto le spoglie di grande assassina castratrice. Il sognò fini lì, ma non aveva ancora chiuso i conti con la famiglia.

Infatti fece un altro incubo che però questa volta avrebbe potuto avere conseguenze fatali. Era già successo che sua sorella gemella si fosse trasformata in ladruncola trafugando le preziose monetine del suo, si fa per dire, salva-danaio che era diventato un ruba-danaio. Era stata proprio la scuola, che in sintonia con la cassa di risparmio, aveva dato a tutti i bambini, nel corso di una cerimonia in pompa magna, un libretto di risparmio e un relativo salvadanaio di ferro gratinato e pitturato di rosso. Avevano tanto insistito ammonendo i ragazzi a non prendere quella brutta strada che porta a rapinare prima le musine e poi le banche. Addirittura vi era stata la raccomandazione ai genitori di dare ai ragazzi una mini paghetta (figuriamoci a quei tempi) in modo di rimpinzare periodicamente il prezioso libretto che non doveva mai restare vuoto: in questo modo si favoriva il senso del risparmio, si apriva una precoce ritualità bancaria, si rinsaldavano la collaborazione e i vincoli famigliari. Purtroppo questo scatenò una competizione tra lui e la gemella a causa dei voti a scuola.

Giusto o sbagliato che sia, queste valutazioni venivano premiate in modo proporzionale al numero e al coefficiente del voto; e dato che lui a scuola andava molto meglio, il suo salvadanaio quando veniva scosso tintinnava dei suoni metallici delle monetine depositate a motivo delle sudate carte. Purtroppo un brutto giorno il rumore metallico e tamburellante della cassetta finì, o meglio si ridusse al minimo. Com’era possibile? Una volta svuotata effettivamente le monetine erano molte meno…Ma forse poteva essere uno sbaglio; ci si arrampica sugli specchi quando non si vuole ammettere qualcosa di insopportabile e troppo doloroso. Così incominciò a stilare periodicamente come un ragioniere i soldi effettivamente depositati, ma al momento della resa dei conti, ne mancavano sempre parecchi. Si venne così a creare un rebus: chi poteva essere il ladruncolo? Quando disse l’antefatto ai genitori, questi per tutta risposta gli diedero del matto come se si fosse inventato tutto, non solo, ma gli rifilarono due sberlotti per aver osato dubitare delle sorelle senza prove. In effetti si vergognò di aver sospettato delle sorelle: la più grande ci aveva già il moroso e non poteva certo perder tempo con la sua musina; alla gemella voleva ancora troppo bene e questo era già sufficiente per pensare che fosse davvero lei la colpevole, evidentemente invidiosa dei voti e dei soldi, e poi di che altro ancora? Niente, non c’era nulla da fare, bisognava escogitare una tattica per scoprire il dannato colpevole. Così alla notte, tutte le notti, rinunciando a dormire , si acquattava in un posto nascosto del salotto per scoprire chi mai poteva essere l’odiosissimo lestofante. Purtroppo a un certo punto nel corso di una notte fatale, vide arrivare dal corridoio zitta zitta, quatta quatta, la sorella gemella. Questa per maggior sicurezza andò a vedere nella camera del fratello per assicurarsi che dormisse, e infatti questi aveva furbescamente messo le coperte accavallate come come se sonnecchiasse beato e contento invece di far la infelicissima sentinella. La piccola strega aveva con se una incredibile pinzetta, lunga lunga, sottile sottile, che aveva adattato alla bisogna. Infatti non era per niente facile estrarre le monete dalla fessura, in quanto questa era dentata e per giunta molto stretta. Ma lei con questa pinzetta e con una gomma americana opportunamente appiccicata sulla punta, riusciva a intercettare le monete e farle uscire una alla volta. Naturalmente a un certo punto si fermava per non dare troppo nell’occhio. Una volta scoperta in flagrante le strappò di mano e sequestrò la pinzetta, svegliò il genitori piangendo dalla rabbia e dal disgusto; ma pianse molto di più quando si prese due scapaccioni per averli svegliati nel cuore della notte, mentre alla ladruncola non venne fatto nulla. Così andò a letto covando il doppio disastro morale sentimentale definitivo della sua famiglia, a partire dalla tragica fine della simbiosi con l’essere con cui aveva condiviso il ventre materno e da adesso non voleva più condividere un fico secco. Forse stava effettivamente esagerando ma si sa da quelle parti era sempre tutto molto esagerato. E poi anche nel suo sussidiario stava scritto: più è amata la mano che arreca l’offesa e più questa risulta dolorosa. Fate a meno di scriverle queste frasi perdinci!

Quella notte fatale tornò a rivivere l’episodio in sogno, questa volta però aveva con se la pistola e quando la ragazza durante l’operazione onirica incominciò persino a prenderlo in giro, questa volta la misura fu colma: le sparò a bruciapelo. Allora si svegliò di colpo e guardando la sua stanza si accorse che la musina in effetti non c’era più e che la pistola era rimasta sotto al letto. Almeno per il momento non aveva sparato. Probabilmente sua madre facendo le pulizie, e soprattutto pensando che la famigerata faccenda ormai si fosse risolta una volta per tutte, l’aveva spostata di nuovo in salotto. Purtroppo anche sua sorella recidiva come una faina se n’era accorta. A questo punto si rese conto che il sogno forse era empatico e telepatico, insomma era una profezia che si stava avverando veramente. Allora si recò nel massimo silenzio (ma dentro era una tempesta) con la pistola in mano nel salotto, stando ben attento a non farsi vedere. Così la trovò per la terza volta ( una in sogno e due nella realtà) che rifaceva la solita operazione con la famigerata pinzetta. Ma la cosa che questa volta lo fece andare completamente fuori di senno (oltre a tutto quello che era già successo) fu che la ragazzina man mano che prendeva i soldini li depositava direttamente nel suo taccuino bello aperto e spaparanzato. Non ci vide più, e questa volta sparò sul serio e non nel corso di un sogno.

Bum!

Tuttavia seguì un silenzio assoluto come se non fosse accaduto nulla…

In effetti si sentì come un colpo, ma non veniva da lui, bensì dal fondo della via. Certo anche la ragazza trasalì, ma subito dopo continuò con grande perizia, la sua vergognosa manovra di estorsione fraudolenta.

Era di Carnevale e qualcuno in strada aveva fatto scoppiare un petardo. Allora il piccolo pistolero furioso premette con più forza il grilletto per la seconda volta, ma la pistola non solo non aveva per più colpi in canna, ma si era addirittura inceppata del tutto. Rimase del tutto silenziosa senza nemmeno fare il suono metallico dell’otturatore colpito. A quel punto si ritirò con gran cautela senza che la malandrina si fosse accorta di nulla. Forse lei si era accorta della presenza di qualcuno, come di un’ombra, ma pensava sempre alla ben verificata complicità dei familiari; se fosse stato lì il fratello stavolta l’avrebbe picchiata…forse addirittura ammazzata, si fa per dire. Il mancato assassino quando tornò a letto era affranto e distrutto più che mai; moralmente, metafisicamente parlando, era diventato un omicida a tutti gli effetti. Adesso in quella strana famiglia non c’era solo una ladruncola incallita, ma anche un feroce neo- gemellicida. Così come suprema auto punizione gli incubi continuarono tutta la notte. Si sognò addirittura dei diavoli che uscivano dal muro, dai cassetti, da sotto il letto e ridacchiando lo punzecchiavano dolorosamente con una strana pinzetta senza la gomma. Verso mattina finalmente fece un sogno incredibile e in parte liberatorio. Si era trasformato in una delle monetine rinchiusa nella notte buia della cassetta ferrata, ma non si sentiva al sicuro, anzi si sentiva oppresso, prigioniero. In parole povere non vedeva l’ora di uscire ma non sapeva come fare. A un certo punto vide attraverso il sottile fascio di luce che penetrava dalla fessura dentata, farsi largo una pinzetta che faticosamente, dopo averlo agguantato con non so quale materia umida e appiccicosa, cercava di farlo uscire da quello stretto e strano pertugio ; ma proprio quando stava finalmente per riuscirci, come al solito si svegliò sul più bello. Nel dormiveglia, quando il sogno continua se possibile, in modo ancora più allucinatorio, non vide la sua cara sorellina, ma incredibilmente quella di un medico in camice bianco macchiato di sangue con dei guanti che teneva in mano un neonato. Quel neonato era lui. Aveva rivissuto quando era nato per miracolo: aveva il cordone ombelicale stretto attorno al collo che lo avrebbe strozzato sicuramente, se l’ostetrico con una manovra spericolata e prodigiosa, non avesse infilato tutta la mano possente nella vagina della madre e lo avesse rovesciato, liberandolo dal cordone attorcigliato e permettendogli di uscire e di vivere. Alla mattina presto, non doveva andare a scuola per le vacanze di natale, si diresse in una parte della riva ultra nascosta. A un certo punto trovò per terra, finito la chissà come, la pagina di un giornale che era proprio di quella mattina. Diceva:

Dopo molte esitazioni della nostra redazione abbiamo deciso, per necessità di cronaca e virtù professionale, di dare le seguenti notizie, senza censurare e alterare nulla. Questo perché sembrano così assurde e incredibili che pensavamo pubblicandole, di coprirci di ridicolo e nello stesso tempo offendere i lettori. Alla fine per quanto assurdi siano gli eventi descritti, abbiamo semplicemente scelto di elencare i fatti come si sono svolti nudi e crudi. Così l’assurdità svelata almeno in parte, solo in parte, si depura della sua componente più angosciosa e misteriosa. Sapere che un vampiro esiste nella realtà sotto forma di un pazzo schizofrenico, è meno assurdo e angoscioso che vederlo volare come un uccello rapace nella fantasia. In una certa parte della nostra isola, a ridosso del famoso ospedale **** esiste una parte di terreno adibito a cimitero di parti umane amputate. Lì alle ore 20 di ieri sera è stato trovato morto sgozzato da un cane, il guardiano notturno dell’ospedale R.G di anni 55. L’uomo è stato azzannato alla gola da uno dei cani facente parte di un branco già più volte pericolosamente segnalato nei giorni precedenti. Il feroce animale lo ha azzannato alla gola uccidendolo ma rimanendo a sua volta stecchito da un ultimo colpo di pistola. L’uomo in precedenza aveva già ucciso due cani i cui corpi sono stati trovati poco distante. Incredibilmente non è stata trovata la sua pistola tale per cui adesso circola nell’isola un individuo armato potenzialmente pericoloso. Il branco si trovava la per diseppellire le membra umane presumibilmente per cibarsene. Infatti è stato trovato un braccio putrefatto sparso per il terreno. Come se non bastasse è stato reperito sulla riva semi sommerso, abbandonato e sgonfiato un gommone con dei mitra. Altro fatto incredibile il gommone è stato affondato da due colpi sparati dalla stessa pistola del guardano, ma incredibilmente dopo che questi era già morto. Infine analizzando il terreno con un metal detector la polizia ha scoperto interrate due casse piene di mitra. Evidentemente il cimitero era diventato anche un importante arsenale segreto della mala. Al momento non si riesce al ancora a trovare un collegamento logico tra tutti questi incredibili avvenimenti.

Una volta arrivato sulla riva della laguna, facendo attenzione di non essere visto da nessuno, gettò in acqua la musina e la pistola. Aveva perso tutto, l’amore famigliare, l’onore e il rispetto per se stesso. In quel disastro nichilista, anche se era la vera vittima innocente, nel tentativo di salvarsi dallo sconforto, non le restava che invocare le sue adorate sirene. Ancora una volta cercò conforto in quelli esseri strani e stupendi, dal sangue verde, persino le mestruazioni erano verdi (però risparmiavano sugli assorbenti usando delle alghe) infine, sgorgavano dai seni meravigliosi dolcissimi zampilli di latte e menta, naturalmente di colore verdolino.

Ma queste non apparvero, nonostante che il nostro mondo sia completamente pazzescamente assurdo, non sempre questo si realizza. Certo si realizza comunque nella realtà, ai confini della realtà, nel mondo fantastico e super fantastico; ma nessuno sa quale di questi mondi sia il più assurdo di tutti.

Del resto gli uomini sognano sempre e sognando di sognare, si rifugiano di sogno di sogno in un mondo pieno di miti e di favole che scambiano necessariamente per la realtà (una realtà deve pur esserci). E’ l’unico modo che hanno per sopravvivere al mondo e a se stessi. Non esiste una cosa più pericolosa che risvegliare i sonnambuli dal loro magico sonno ideologico e religioso. Solo certi filosofi e certi scrittori infanticidi lo fanno, crudelissime ed empie creature innamorati del disinganno.

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