Recensioni

Jorge Luis Borges

Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente,

misterioso,visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo ;

ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi

di assurdità, per sapere che è finto.

Così finalmente è venuto anche per me il tempo di affrontare la lettura del grande scrittore argentino.

Incominciando a leggere la critica ho avuto la sensazione stucchevole della solita manovra intellettualistica, enciclopedica e erudita, alla fine noiosissima e di tipo nominalistico: serve soprattutto ai professori come pretesto per mettere i voti ai poveri studenti pigri e smemorati. Un qualche cosa di estremamente monotono e pedante che gira attorno, ma non coglie l’essenza di un uomo che come Leopardi, riuscì a trasformare in altissima letteratura, una situazione fisica ed esistenziale potenzialmente fragile e precaria. Qualcuno dice che il dato biografico non centra nulla, ma non è vero: vale persino per Nietzsche che derivò il suo super uomo almeno in parte, dal tentativo di nascondere e rovesciare un palese complesso di inferiorità ( per esempio nei suoi approcci con le donne).

In realtà lo stesso Borges lo ha detto più volte citando se stesso: il mio è un esercizio (letterario) per ciechi. Potremmo dire, banalizzando al massimo, che per il cieco esiste unicamente la sua realtà mentale mentre quella esterna è solo supposta: entrambi hanno un carattere illusorio di finzione in quanto la prima è del tutto soggettiva e la seconda solo vagheggiata, ha bisogno di un’altra soggettività esterna e così all’infinito. In questo senso non si esce dal circuito dell’idealismo più effimero alla Berkeley.E’ comunque una dimensione sognante in quanto il tempo e la memoria non hanno più limiti o confini; e così pure il richiamo dei simboli in essa contenuti. Siccome stiamo parlando appunto della sua ben nota cecità, bisogna dire che il primo che mescolò cecità e letteratura fu anche il più grande in assoluto: naturalmente stiamo parlando di Omero. Sicuramente qualcuno di quei antichi poeti greci sarà stato, come voleva la tradizione, del tutto cieco. In quella dimensione mitologica il poeta cieco ( per un certo periodo lo fu persino D’Annunzio) era tale appunto perché vedeva oltre la normale visione oculare percettiva degli uomini. Come più tardi i filosofi vedevano con l’occhio della mente ancora simbolico e non concettuale. Così Borges non aveva bisogno di vedere la superficie e l’apparenza percettiva visiva dell’essere in quanto ne sviscerava mentalmente quella che considerava la sua profondità più essenziale: la produttività simbolica, universalmente antropologica sotto tutte le latitudini e tutte le epoche, del pensiero magico in chiave fantastica. Ecco l’unico vero linguaggio universale traversale della umanità in cui forma e contenuto si unificano perfettamente. Ha prodotto così un incredibile esercizio di metafisica onirica e di enciclopedia mitologica. Parliamo di metafisica per il suo aspetto esclusivamente cerebrale idealistico, parliamo di mitologia per il suo esito contenutistico a natura fantastica fantasmatica riguardante il confronto e mescolamento sincretistico di quasi tutte le tradizioni mitiche storicamente documentate (comprese quelle inventate…). Per fare questo si sporgeva oltre l’essere empirico e ne penetrava la dimensione simbolica abissale. Diciamo subito che questa profondità mentale tratta paradossalmente di quel tipo di concetto che è essenzialmente anti filosofico e antirazionale (non a caso i suoi riferimenti sono Hume e Berkeley).

E’ proprio il caso di dirlo: chi fa anti filosofia fa per forza filosofia, ma Borges facendo anche anti letteratura ha prodotto comunque una ottima letteratura.Dunque essendo essenzialmente una operazione emotiva e simbolica si sviluppa dentro a una sua particolare e personalissima mitologia. Per esempio in lui è più facile trovare le gesta dei guappi argentini (super uomini e infra uomini)che il protagonismo divino degli dei greci. Era psicologicamente completamente sprofondato in se stesso e questo gli dava già una dimensione esoterica al di sotto e al di sopra dell’umano: soprattutto al di sotto visto che in questa profondità coglieva fino in fondo anche tuta la violenza e la falsità insita nell’animo umano. Anzi alla fin fine siamo proprio in una dimensione demonica, nell‘inumano e disumano, ai confini di quello che i latini avrebbero definito monstrum a tutti gli effetti. Proprio perché il cieco guarda istintivamente in basso, si occupa soprattutto dell’idealismo negativo (sognante) e del sostrato tragico e irrazionale del mito, vincolando come una eterna coazione a ripetere la condizione umana nel suo eterno passaggio dal sogno all’incubo. Si occupa soprattutto del fondo dell’abisso piuttosto che dell’infinito sovrastante; ma anche quando lo fa, non è mai una dimensione eccelsa e purificante fine a se stessa. Pertanto vi è molto più paganesimo sincretistico che cristianesimo (citato raramente e quasi sempre in modo dispregiativo): il suo è quasi completamente un pensiero magico pagano e la stessa magia vi compare spesso. Tornando al paragone con Omero questi si rapportava almeno in parte, con la storia degli uomini in carne in ossa (sia pure eroi ispirati dagli dei), in parte comunicando con l’intervento e la manifestazione delle divinità sovra corporali. Al contrario Borges non ha nessun progetto storico realistico, ne dalla parte del soggetto ( che si inventa il mondo quasi del tutto; inconsapevolmente ma spudoratamente) ne dalla parte della realtà che , in base a questi presupposti, esiste soprattutto come proiezione ipnotica visionaria. Pertanto la realtà se esiste, se viene percepita in un qualche modo (ma quale?) sta dentro al sogno, è un accidente del sogno che è la vera sostanza. A questo punto ilsogno è persino duplicato e portato alle estreme conseguenze (come in Berkeley); non solo sogniamo ma sogniamo di sognare, dentro a una specie di trappola magica (labirinto o gioco degli specchi deformanti) che finisce, forse, solo con la morte. Per fare questo resuscita, insegue e reinventa (tanto è lo stesso) una sua strana e personalissima mitologia, comunque ricchissima ed esorbitante, tra l’antico e il moderno. Un aspetto che gli derivava soprattutto dalla sua cecità che, proprio perché completamente ripiegata in se stessa, produceva una fantasia estrema, mescolando e intrecciando tra loro a 360°, tutti riferimenti culturali e esistenziali accumulati nella vita. In questo è stato molto aiutato dal suo esser stato eminente studioso filologo di lingue (e culture) antiche e moderne. Del resto che cosa più dei linguaggi umani (6000 e passa) poteva riconfermarlo nella inventiva fantasmatica casuale e convenzionale della mente umana, nella produttività infinita della fantasia umana nel suo vano tentativo di imbrigliare la realtà magari in mille forme diverse. A questo punto la stessa razionalità è al servizio della irrazionalità relativistica di tutti i tipi di grammatica morfologia possibili immaginabili. ecc ecc. In questo modo ha sviluppato uno stile e un repertorio incredibili. Abbiamo così una strana commistione esistenziale di attualità visionaria e di sincretismo mitologico che comunque resta indefinito: spesso si interrompe bruscamente, come è tipico della parte più infantile e imprevedibile del mito. Stiamo parlando comunque di una eccentrica geografia e storia mitologica (multietnica e polisemica) dove si confondono: la sterminata pampa, le brume delle saghe del profondo nord, le sette islamiche, la gnosi cristiana e pagana, e i riferimenti ai classici greci e latini. A questo punto chi più ne ha più ne metta. Naturalmente questa sovrabbondanza erudita e barocca di citazioni, talvolta volutamente strampalate, questa commistione esagerata di specialismo e di voluta cialtroneria (non c’è dubbio che a volte prende un po in giro ironicamente se stesso e i suoi lettori), ti mette in crisi, anche esteticamente, ponendo sempre troppa carne sul fuoco. Anche perché nei momenti peggiori c’è più fumo che arrosto in quanto la trama, spesso inesistente e sfilacciata, si interrompe sul più bello.

Ma come mai, è proprio il caso di dirlo, tutta questa fantasmagoria così variegata ed enciclopedica dei più svariati riferimenti mitici?

-prima di tutto, come già detto, a livello immediato ed empirico in virtù della sua straordinaria conoscenza in materia linguistica e antropologica

-secondariamente per la consapevolezza che la dimensione fantastica fantasmatica proprio per la sua creatività infinita allo stato puro, non ha e non può avere limiti formali. Esonda dai suoi confini persino mescolandosi impropriamente ma efficacemente. Pertanto è proprio il genio dei popoli che si sbizzarrisce nelle più incredibili produzioni (anche se ne derivano spesso archetipi simili ed uguali dando ragione a Jung ma anche a Freud). Sembra che parli di esempi diversissimi e incommensurabili, distanti tra di loro quanto sono grandi le lontananze geografiche, storiche, linguistiche di usi e costumi; ma in realtà sta dicendo, con linguaggi diversi, la stessa cosa: noisiamo gli eterni e predestinati produttori e i prigionieri del pensiero magico mitopoietico. Da questo punto di vista il mito non ha tempo, non ha geografia, non ha distinzioni: di qui la giustificazione di una unità assai eterogenea. Pertanto il pensiero cristiano non è affatto predominante rispetto a tutti questi riferimenti paganeggianti. In effetti il cristianesimo ha cercato di sconfiggere e sovrapporre la propria dimensione mitopoietica a quella precedente pagana, nel tentativo di sublimarla e redimere il mondo, ma non ci è riuscita. Questo proprio perché è rimasta dentro al pensiero magico dopo averne perso la profondità e spregiudicatezza senza riuscire a redimere eticamente il mondo. Un falso mito per una falsa etica. Per cui è inutile aspettarsi da Borges la esaltazione della bontà, la speranza di una redenzione del mondo verso la pacificazione finale: il minotauro ( il guappo del labirinto), il mostro che dorme dentro di noi nella parte più oscura e profonda del nostro inconscio, non morirà mai e resterà sempre in agguato. C’è in lui persino una certa esaltazione della violenza e della forza allo stato puro nella selvaggia figura del gauchos eterno eroe animalesco primordiale ( la forza allo stato puro?).Quasi una figura pre nazista in cui esiste solo la esaltazione volontaristica e violenta del proprio ego smisurato al di sopra di tutto; anche Mussolini era così e la sua adesione ideologica è stata soprattutto frutto di opportunismo machiavellico. Avrebbe aderito a qualsiasi ideologia gli avesse dato la opportunità del potere assoluto. Ecco un aspetto abbastanza incredibile che si può solo spiegare con l‘ammirazione inconscia che un cieco inetto, condannato alla non violenza, ha della onnipotenza fisica espressa nella forma di una violenta competizione e supremazia assoluta.

Addirittura si spiega così una sia pur minima simpatia, ma quanto mai inopportuna, ambigua e pericolosa, persino per Hitler. Riappare un altro mito eterno, quello della violenza e del sangue; in seguito mostrò simpatia per le dittature sudamericane, sia pure attraverso brevi e ambigui pronunciamenti, che però gli costarono il mancato premio nobel e un drammatico e serrato confronto con le madri dei desaparecidos. Sembra che alla fine abbia risolto queste sbandate chiedendo ammenda più o meno come fece Heidegger, anche se la sua colpa era comunque minore essendo sempre stato fondamentalmente un apolitico. Stiamo parlando comunque di episodi e non di anni di militanza politica con tanto di tessera finale.

E’ evidente che Borges, quasi riprendendo alcune tesi classiche del rinascimento, ritiene che la vera interpretazione del segreto della cultura e della condizione umana, sta proprio nella spiegazione genealogica della origine assoluta: cioè ancora una volta sviscerando il mito arcaico. Da qui tre delle sue più classiche parole d’ordine: tutto è già stato detto o fatto, niente di nuovo sotto il sole, in pratica l’eterno ritorno. Ancora una volta tutte quelle variabili non sono altro che il prodotto di una medesima mentalità in grado di esprimersi secondo le modalità più diverse del pensiero magico proveniente da tutte le tradizioni. Per quanto riguarda l’eterno ritorno occorre fare una doverosa precisazione. Borges ne parla spesso con diverse sfumature e quasi sempre in modo evocatorio e allusivo. Tuttavia nella “Storia della eternità” taglia la testa al toro.

Attacca e rifiuta la versione classica di un ritorno tale e quale del medesimo e accetta solo il ritorno del simile: qualcosa che accade già nella natura e per lui anche nella storia. A volte appare con una forma superiore, a volte decadente perché la storia naturalmente non ha affatto una linearità evolutiva garantita; anzi prima o poi ritorna prigioniera del suo devastante passato arcaico. Ci troviamo anche la più classica tesi gnostica: in realtà tutte queste variabili mitiche sono riconducibili a un unicum anche se indefinibile. Questo comporta anche il concetto che nella parte più piccola sta nascosto il significato dell’universo ( e viceversa). Pertanto in lui troviamo sia il mito che Dio sia riconducibile ai suoi infiniti nomi sia che una sola misteriosissima parola, possa racchiudere e dischiudere il significato di un poema o addirittura dell’universo intero.

Tuttavia incredibilmente una vera adesione totale al mito non c’è, proprio perché non c’è l’assoluto, a meno che per assoluto non intendiamo il relativismo e la irrazionalità assoluta del mondo, in definitiva la sua assurdità più completa. Nel vero mito antico, accanto al suo paradigma vi è la fede e la auto celebrazione di una certezza assoluta; in Borges troviamo l’emergere e la decantazione di paradossi che lasciano smarriti sulla soglia del disincanto e della follia totale. Non c’è dunque ne la vera resurrezione del mito ne la sua accorata nostalgia; ma interpretato, nonostante tutto, in chiave moderna, domina il suo ironico disincanto e la resa nichilista (la resa della ragione) accompagnati da un fatalismo determinista circa la inesorabilità del suo destino visionario e primitivo. Questo fondamento ( o meglio non fondamento) lo troviamo sempre anche nelle più sofisticate evoluzioni del pensiero magico ( per esempio nella gnosi o nella religiosità iconoclasta dell’islamismo). Non c’è la temeraria esaltazione mitologica del minotauro, quanto piuttosto la tragica scoperta che non possiamo uscire dal quel labirinto fantasmatico in cui vagheremo per l’eternità. In questo senso è anche lo svelamento e la condanna della nostra permanente distopia. Pertanto il massimo dell’assurdo consiste nella consapevolezza di essere senza scampo prigionieri dell’assurdo. Ma perché allora ricomprendere miticamente anche l’Argentina e gli altri paesi sud americani? Non solo per la considerazione banalissima riguardante la sua nazionalità ( anche se in realtà si considerava un apolide) ma proprio perché quei paesi latini rappresentavano a modo loro un’alba, un’altra origine assoluta, un mondo primitivo che si apriva per la prima volta alla storia, quindi riconducendosi anche loro alla esperienza aurorale delle più antiche origini. E’ però un accostamento che non funziona perché Europa e Sud America non sono accostabili nemmeno nel mito: le brume del nord e la pampa presentanopaesaggi incommensurabili e mentalità troppo diverse.

Per tutti questi motivi mentre in Omero la nascita arcaica della storia e della geografia ha la pretesa e la illusione originaria di testimoniare la verità (il mito è la vera realtà), la storia e la geografia del nostro autore sono sempre un gioco del tutto fantastico. In effetti fantasia creatività e realtà si confondono continuamente e sono in definitiva la stessa cosa. Una realtà e una fantasia che coincidono nel sogno di un cieco, non come condizione vittimistica, minoritaria e soggettivistica, ma come il segno di uno straordinario privilegio, di una segreta autocoscienza che lo riscatta dalla sua apparente conclamata inferiorità. Infatti in tutti i casi si tratta della scoperta di una dimensione universalistica a carico di tutta la umanità, anche se non è stato certamente lui il primo a dire che tutto è sogno. In questo modo vive criticamente e paradossalmente il mito, consapevole che si tratta di una esperienza comunque fuorviante e illusoria; nello stesso tempo ben sapendo che non se ne potrà mai uscire. In fin dei conti lo stesso mito è ormai anche lui un assoluto secolarizzato, per cui in Borges troviamo non solo la sua apologia barocca e ridondante, ma ancheun segreto distacco, una sfuggente e sottile ironia.In ogni caso resta il segno indelebile e strutturale della condizione umana. Di qui uno degli aspetti più straordinari, più inquietanti ed enigmatici delle sua cifra interpretativa più intima: la sua visione torva e disincantata sul mondo come vienevissuto, sembra il non sguardo di un cieco, mentre in realtà esonda di immagini creative sempre eccessive e a volte persino deliranti. Nello stesso tempo resta enigmaticamente vuoto e cinico mentre proietta la essenza del proprio nulla interiore a fondamento della realtà; ma non è un vero fondamento se è fatto della stessa materia del sogno, se si affida al caso e alla forza immaginaria del suo automatismo simbolico. Nello stesso tempo coincide con la accettazione suprema della imprescindibilità del mito presso gli esseri umani destinati a restare per sempre in questa incredibile complessità (già individuata da Dostoevskij): la dimensione demonica, proteiforme e multipla di animale, demone ed angelo insieme. Ecco perché gli dei sono evocati ma non ci sono direttamente; coincidono con la stessa capacità letteraria di creare miti. Pertanto la vera divinità sovra personale è la stessa invenzione del mito: che come tutti i miti ha comunque una dimensione tragica, assurda e inesorabile nello stesso tempo.

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In ogni caso il nostro autore ha visto e testimoniato la cosa più profonda e incomprensibile della vita: citando Eraclito, che gli era molto caro anche se ne parla poco, la vita gioca misteriosamente e paradossalmente a dadi con se stessa, per produrre a caso tutte le combinazioni possibili che però si ripetono sempre come dentro a un film (oppure dentro a una letteratura) pazzo e straordinario. L’assurdità del caso e l’eterno ritorno (in chiave relativistica)sono due grandi protagonisti onnipresenti della sua poetica: tale per cui determinismo e indeterminismo paradossalmente si sovrappongono e scambiano i ruoli pur essendo indecifrabilmente (come tutto quello che non segueil PNC) due facce della stessa medaglia. Su questo dobbiamo tragicamente rassegnarci se tutto non fosse così banale e straordinario nello tesso tempo. Perché nella vita tutto è assurdo, grande e banale; perché giustamente la meraviglia non può durare sempre: anzi un miracolo che si ripete alla seconda volta da la stura alla presunta normalità. La vita stessa dunque (così anche la sua reduplicazione e evocazione letteraria) si comporta come un regista folle (ma Shakespeare aveva già detto che lastoria e la vita, sono il sogno di un pazzo) che assembla pezzi di vari film già accaduti, ma rifacendoli e presentandoli come se fossero nuovi. Ora li ricuce, ora li raddoppia, ora persino si perde la trama come un bambino sciocco e ingenuo che ha perso la lista della spesa, ora come un vecchio demente che ha perso di punto in bianco il filo del discorso. Poi magari li ritrova modificati come nel gioco degli specchi della fata morgana che è soprattutto una maga della meta temporalità che si rincorre nel labirinto della memoria. Prima abbiamo citato Jung per il suo riferimento al mito, ma la sua causalità simultanea (che agisce a distanza e senza apparente contatto al di la del tempo e dello spazio) è la causalità quasi del tutto prevalente in Borges. Senza di che non si capisce niente; ma infatti non c’è niente da capire perché tutto è immediato, intuitivo e fine a se stesso come la fantastica filastrocca di un bambino, di un primitivo, di un pazzo o…di un professore universitario che sta per perdere il lume della ragione in presenza del suo doppio, di stranissimi oggetti animati, di eventi ripetuti e già accaduti... Evidentemente non ci si può attendere da questo magico caleidoscopio qualcosa di veramente rigoroso. Non si può pretendere dalla vera fantasia creativa delle categorie nette e normative; semmai il genio le fa emergere e poi le smantella. La fatica puntigliosa di farle emergere ( e noi lo faremo) ha senso solo se poi quella prevalente resta il crogiolo (il pensiero magico) dove incessantemente si trasformano e contaminano senza un perché. In questo senso sono come anche le cause autonome che non rinviano altro che a se stesse. Questo è anche un modo di dire che non c’è una vera storia se non come una presa in giro, ogni epoca e ogni racconto ripetono la stessa cosa in modo diverso. Ecco perché in Borges la vera novità non c’è mai, e come potrebbe esserci per un cieco? Ecco perché è un grande conservatore rivolto come tutto il pensiero mitico, principalmente alla tradizione e al passato.

Se uno cercasse in Borges il filo logico a tutti i costi rischia di andare fuori di senno proprio come i suoi eroi quando constatano la eclissi della ragione. La trama non c’è, non solo perché quasi sempre non si deve sapere l’esito del giallo; ma perché non c’è struttura ma un processo dinamico che resta sempre aperto. Non si sa mai quello che potrebbe accadere alla pagina successiva. A questo punto si potrebbe pensare che il sogno sia l’unica realtà che essendo unidimensionale esclude il principio di verificazione ma, non essendo una metafisica logica, anche quello di non contraddizione. In realtà si sdoppia due volte: quando il protagonista incontra il suo doppio come alter ego di se stesso, infine quando il sogno diventa sogno di un sogno in una specie di rimpiattino onirico dove è impossibile distinguere chi sogna e chi è sognato.

Quindi non siamo subalterni nel nostro stesso sogno ma anche del sogno di altri.

Pirandello avrebbe alluso a un continuo gioco di maschere senza che dietro ci sia un vero attore o un vero regista. Borges tuttavia è più tragico e più ironico di Pirandello.

Più tragico perché qui il mostro non è piccolo borghese come in Kafka o appunto in Prandello, ma è un vero mostro mitico (come il minotauro ) oppure più concretamente come i terribili guappi sanguinari delle periferie; e più ironico perché il mito resta comunque un gioco fantastico che a volte prende in giro persino di se stesso.

Verrebbe da dire corsi e ricorsi della vita e della letteratura, ma chissà se conosceva anche Vico, un altro che comunque dava grande importanza alla mitologia dove risiedeva il mistero di tutto ( e più tardi Jung). Insomma l’uomo che non vedeva la realtà, la ricreava in un caleidoscopio di immagini che continuamente si sovrapponevano e anche si raddoppiavano, ma alla fin fine spesso senza ne capo ne coda. Di qui tanti dei suoi incredibili finali interrotti e insensati come nei film di Bunuel. Da questo punto di vista è incredibile constare che anche in Borges ci sono alcuni meccanismi narrativi tipici del cinema: le immagini interrotte, il feedbak, Ma in realtà non c’è da stupirsi se pensiamo ancora una volta che proprio il cinema ha fatto nascere più di tutti la versione del mito moderno. Certo un uomo così non poteva appartenere per davvero alla modernità che concepisce la vita solo in termini di velocità e di apparenza conformistica lui che ha sempre cercato eventi bizzarri e situazioni straordinarie ai confini della realtà.

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Ritornando al suo esercizio (letterario) per ciechi si capiscono e approfondiscono ulteriormente molte delle cose dette sopra.

Quest’uomo che era sempre sprofondato nel suo pensiero puramente mentale e virtuale non aveva una vera dimensione del tempo e dello spazio e conseguentemente nemmeno della casualità. Non essendo connesso con un vero principio di realtà, presenta a livello di cronaca quello che invece è pura invenzione; del resto non erano così, apparentemente ultra realistiche, ma in realtà inventate e artefatte, anche le cronache più antiche, col pretesto di raccontare una vera storia? Leggendo “La storia dell’infamia” chi non ha la tentazione di ricercare quello che potrebbe esserci di vero, in fonti antichissime, in parte reali, in parte mescolate e da ultimo inventate di sana pianta. Se il tempo e lo spazio diventavano virtualmente la stessa cosa la sua scenografia letteraria resta dominata quasi del tutto dai fantasmi e dai simboli del pensiero magico: strani oggetti animati dalle caratteristiche straordinarie, improvvisi visitatori sconosciuti, personaggi che si sdoppiano, deja vu, ecc ecc

In particolare questo cieco non vedendosi, non riuscendo ad oggettivarsi dall’esterno, si pensava sempre come il suo doppio, restando sempre dentro a una dimensione virtuale e sognante. Così nessuno dei due poli era la vera realtà e la vera identità, sempre sdoppiata e illusoria: entrambi si facevano inutilmente e provocatoriamente il verso, cercando di capire inutilmente chi fosse quello menzognero e chi quello autentico. Era propenso a risolvere la realtà come puro pensiero e lo stesso pensiero nel mondo immaginario del sogno che lui non faceva a occhi aperti, ma a occhi necessariamente chiusi pur restando sveglio. Quindi confondendo continuamente , pensiero fantasia e la sua propria realtà attuale, come se fossero stati la stessa cosa, ma in effetti erano la stessa cosa perché proprio quello era il suo vissuto…Dunque a un certo punto la realtà e la fantasia, la immaginazione e il sogno diventavano un unico mondo, ma non nel senso della vera realtà come nei primitivi, ma della cogenza della sua stessa illusorietà delirante e onirica.

Prima di tutto il suo parlare è in realtà super esclusivista, cioè del tutto solitario e individualista come può essere appunto quello di un cieco: è una specie di monologo fantastico e infatti dialoghi e dibattiti sono quasi inesistenti. Anche quando si parlano in due non sono mai due libere soggettività, ma sono come le note di uno spartito e di un linguaggio superiore. Si entra nel suo mondo senza una vera socialità e collettività perché non è solo fantastico, ma è la fantasia di una monade come può essere appunto il mondo a una dimensione di un cieco. Borges non entra o penetra la alterità realistica del mondo, come fanno tutti gli altri scrittori, ma costruisce un mondo a sua misura e immagine. Cionondimeno questa è pur sempre la pseudo realtà comune e quindi universale a tutti gli uomini, i quali galleggiano e a volte annegano, all’interno della loro bolla ipnotica fantastica e visionaria.

Pensa ma pensa sempre un qualche cosa che non è mai la vera realtà a meno che un testimone esterno credibile (ma credibile fino a che punto?) non gliela descriva; ma questo non è possibile nel racconto. La realtà può solo rappresentarsela in modo visionario; alla fine così facendo capisce che la vera realtà è la costruzione dell’immaginario della realtà e questo vale per tutti vedenti e non vedenti: si passa da una illusione realistica al delirio più completo, ma la prima serve solo per fare da supporto alla seconda.

Borges non ci parla di complesse trame narrative, di descrizioni di psicologie complesse e nemmeno di sfondi socio epocali, ma di brevi novelle dove nel giro di poche battute, sorvolando il tempo, lo spazio e il principio di causalità, al di la della ragione, si compiono i destini assurdi, per questo mitici ed emblematici, dei suoi improbabili protagonisti. Questo incomparabile inventore di mondi potrebbe dunque essere un falsario, un maledetto eretico che commette verso la realtà la colpa peggiore e imperdonabile, cioè falsificandola; se non fosse che la stessa realtà falsifica se stessa offrendosi e mistificandosi continuamente in illusioni fuorvianti. Purtroppo questa dimensione già di per se tragica di illusorietà strutturale è anche una dimensione eraclitea di guerra e violenza permanente. Se ogni mito in quanto tale ha valore assoluto ed esclusivo, ecco perché la sua invenzione della realtà può dare adito a scontri terribili e sanguinari. Per sedersi al cinema fantastico del mito e godersi lo spettacolo, l’umanità ha spesso pagato il biglietto con fiumi di sangue. Per questo il mito ha il suo retaggio nascosto, ma neanche tanto, di infamia e di violenza; che diventa allo stato puro nel caso dei guappi sudamericani. Di qui la storia della infamia la quale nasce prima di tutto come forma di banditismo personale individuale ,ma poi se vince si fa addirittura stato. Ecco perché la dimensione arcaica originaria presenta necessariamente il culto della forza e della violenza totale, Non è vero però che storicamente questa è stata la prima forma di cultura: la prima forma è stata la dimensione solidale e comunitaria nella fase di caccia e raccolta. Subito dopo nella fase pastorale degli armenti nacque la violenza. Infatti che cosa sono questi gauchos se non dei feroci mandriani? Il nazismo non è altro alla sua base che una esaltazione di una violenza assoluta e primitiva, in seguito statalizzata e super organizzata in chiave razzista etnocentrica; ma il suo primissimo livello apolitico, il suo grado zero è stata pur sempre paragonabile alla guapperia di Borges. La quale è anarchica e super individualista esattamente come lui. Di qui il coraggio, la forza e il sangue come unica dimostrazione di virilità che è poi l’unico modo per rendersi visibili e protagonisti nel mondo primitivo della pura sopraffazione: ma qui il nostro autore cieco e quindi fondamentalmente inetto, dimostra di far valere in proiezione e a parole, quello che non potrà essere mai nei fatti.

Non c’è una vera trama evolutiva e una finalità come nella temporalità cristiana e nei romanzi dell’ottocento. Questo perché la vita è doppiamente contraddittoria: è sottoposta a un determinismo cieco e insensato che si ripete sempre; ma nello stesso tempo si rovescia e ritorce come un cerchio. E’ sempre lo stesso ma nei due versi contrari: proprio come il famoso serpente che si morde la coda. Ogni cosa accade in quel modo e in quel modo ritorna sempre, sia pure con qualche variazione; ma anche ritorna all’opposto nel suo contrario come una macchina che va vanti o fa retromarcia, ma tanto è sempre la stessa macchina, e comunque i tragitti di andata e ritorno si ripeteranno all’infinito.

A questo punto è difficile stabilire il rapporto tra caso e necessità dato che si rovesciano continuamente l’uno nell’altro: a volte prevale l’uno a volte l’altro.

Borges presenta continuamente lo spaesamento evanescente dell’io che si sdoppia nel suo assurdo gemello nel corso di un’assurda competizione mortificante e destabilizzante per stabilire la vera identità di entrambi. E’ chiaro che il vero riferimento è all’inconscio visto proprio come heautontimorumenos, il nemico e spregiatore di se stesso. E’ un atteggiamento in apparenza vittimista del cieco che però nasconde sempre il suo narcisismo primario.

Troviamo spesso riferimento a oggetti magici dalle incredibili proprietà come se avessero una forza propria e una dimensione totalmente altra rispetto agli oggetti normali (come se venissero da un altro pianeta misterioso e diabolico)

E’ ancora una vota il retaggio del pensiero magico in chiave animistica; ma la loro vera funzione non è solo quella del potere onnipotente della fantasia che da vita e pensiero persino agli oggetti, ma proprio quello di contestare ogni forma di razionalità cristallizzata e predefinita. Come ci possono essere infinite matematiche così ci potrebbero essere infiniti mondi ciascuno con leggi diverse dagli altri. Che senso avrebbe parlare di razionalità e di scientificità?

Un altro dei suoi topoi consiste nell’intervento improvviso dello straniero, del viaggiatore sconosciuto.

Di solito nella tradizione mitica di tutti i popoli (soprattutto di quella Greca) rappresenta l’entrata in scena di un dio camuffato. In Borges è soprattutto l’irrompere del caso che scombussola le carte o comunque di un personaggio che resta misterioso fino alla fine.

Borges ha cercato di presentare nel modo più realistico la inverosimile assurdità della vita e della storia: in lui di sicuro non c’è la esaltazione della scienza e della matematica, a meno che non si trovi una matematica così straordinaria e speciale da razionalizzare la totale irrazionalità e assurdità del mondo. Se fosse veramente così le pretese strutturaliste di matematizzare il mito sembrerebbero alquanto ridicole.

Anzi è la stessa matematica che ormai è diventata un mito feticistico con tutti i suoi corollari di illusorietà e tragicità.

CITAZIONI TRATTE DA “FINZIONI” ED. ADELPHI

…gli specchi e la copula sono abominevoli perché moltiplicano il numero degli uomini (…e delle illusioni, e con essi violenza e falsità) pag 15

Ci sono poesie famose composte da una sola enorme parola. Pag 22

Ogni stato mentale è irriducibile: il fatto stesso di nominarlo è una falsificazione.

I metafisici non cercano la verità e nemmeno la verosimiglianza: cercano la meraviglia. Pag 23

Nel sogno dell’uomo che sognava, colui che era sognato si svegliò Pag 50

Non essere un uomo, essere la proiezione del sogno di un altro uomo. Pag 51

con terrore comprese di essere un’apparenza, che un altro lo stava sognando. Pag 52

erano sottoposti alla rotazione inversa del cosmo, passarono dalla vecchiaia alla maturità, dalla maturità all’infanzia, dall’infanzia alla sparizione nel nulla. Pag 63

TRATTO DA “L’ALEPH”

UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI

Accettiamo facilmente la realtà forse perché intuiamo che nulla è reale. Pag 17

in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose…Pag 19

Tutto tra i mortali ha il valore dell’irrecuperabile e del casuale Pag 21

la storia è un circolo e nulla esiste che non sia già stato e che non sarà nuovamente Pag 34

non esiste un fatto per umile che sia che non racchiude la storia universale e la sua infinita concatenazione di cause e di effetti. Pag 112

per perdersi in Dio i sufisti ripetono il loro nome e i 99 nomi divini finché questi non vogliono più dire nulla

secondo la dottrina idealista vivere e sognare sono rigorosamente sinonimi Pag 113

anche nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero Pag 117

il dio deve dire una sola parola ma in quella parola sta la pienezza (l’universo intero) Pag 118

Spiegò che l’Aleph è uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti: il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. Pag 161

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