Dioniso in Africa
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Mi chiamo Dioniso Codro e questa è la mia storia.
Me ne stavo solo soletto, sprofondato nei pensieri più cupi delle mie ultime disavventure cosmiche universali. Mi sembrava proprio di essere come il vecchio Freud, in attesa di una terribile scampanellata nazista che, poco prima di un tentativo di fuga tardivo, improvvisato e avventuroso, rendesse vano l’ultimo viaggio verso una disperata salvezza. Fu esattamente quello che invece capitò alle sue disgraziatissime sorelle, cinque sorelle cinque, delle quali non si salvò neppure una.
Questo per spiegare come oggi alla gente sembra di vivere in paradiso nel confronto con quei tempi maledetti; ma non è affatto il paradiso, è soltanto un coperchio messo sopra la pentola dell’infamia che quando bolle troppo prima o poi straripa come sempre. Oppure mi sentivo in preda ad un’angoscia soverchiante e traballante come successe al povero Benjamin, sballottato di qua e di la sul margine di una vaga linea di confine, senza mai sapere da quale parte sarebbe arrivata la vita o la morte; così a un certo punto preferì la sicurezza di darsela da se. A me invece, ormai diventato anarchico anti anarchico ma sostanzialmente buddista, sarebbe potuto capitare per scappare, di camminare per ore e ore sopra la sabbia finissima di un deserto magrebino, surriscaldata da un implacabile sole africano, come era già accaduto ai soldati della Folgore e a quelli all’Africa korps. Ma loro erano armate formate da omaccioni fortissimi e resistenti; io un povero diavolo per giunta mingherlino. che cercava solo di sopravvivere a dei persecutori tanto implacabili quanto misteriosi. Alla fine di quel deserto mi avrebbe aspettato un curioso e fascinoso albergo marino di Casablanca “Le mani di DIO” (quelle di Allah naturalmente): qui avrei potuto trovare l’ultimo rifugio prima di spiccare il volo per sempre (ma dove?); oppure rassegnarmi al covo funereo prima della resa finale. Ma veniamo per ordine.
Già in Italia me ne erano successe di tutti i colori. Strani avvertimenti, per lo più messaggi subliminali, culminati però nella duplice distruzione della mia auto. prima presa a martellate e poi bruciata, se mai non avessi ancora capito la gravità dell’avvertimento. Avevo trovato dentro alla cassetta della posta topi e pipistrelli morti; ma quel che è peggio una volta persino un grosso scorpione vivo che non mi aveva punto per miracolo. Mi capitavano altre cose incredibili del tipo: la mia auto perennemente pedinata e inseguita persino da furgoni funebri; ma quando cercavo di intercettarli scappavano. Il punto massimo si ottenne quando una volta parcheggiata l’auto in un supermercato ho trovato, a destra e a sinistra, due simpatici veicoli della morte con tanto di bara apparecchiata. Ci mancava soltanto che il morto uscisse e mi salutasse con la manina santa, ciao ciao… Ho aspettato per ore i fantomatici autisti per intercettarli e capirci qualcosa; ma alla prima occasione che sono andato al bagno sono scappati a razzo per reclamare, chissà dove e chissà da chi, la paga dei sicari subliminali veri coreografi della morte. Ero vittima della mia paranoia oppure di una scenografia malvagia messa in piedi da chi certamente non lesinava mezzi pur di fiaccarmi. Mi capitava continuamente di trovare auto che prima mi sorpassavano e poi mi bloccavano andando pianissimo. Io già le superavo avventurosamente e a fatica, ed ecco che loro ci riprovavano maledettamente ancora parecchie altre volte nel corso di un tiramolla stressante e defatigante. Alla fine esasperato ho cercato addirittura di speronare l’ultimo mascalzone motorizzato, ma questi scappava a tutto gas non prima di aver estratto una pistola agitandola dal finestrino minacciosamente. Una volta mi avevano persino buttato un gatto morto nel terrazzo di casa… In altre occasioni mi lasciavano delle auto di fronte al garage ma quando uscivo per risolvere la situazione, con forte rischio di prenderle, scappavano a tutto gas. Una volta presa la targa risultavano tutte auto rubate. Naturalmente avevo già fatto pacchi di esposti ai carabinieri che mi guardavano sempre come un fossi un matto o un povero disgraziato perché avevano sicuramente cose più urgenti a cui badare; d’altronde si sa, finché non ci scappa il morto non si muovono. Peccato che il morto ero io. Al che ormai avevo capito che i miei persecutori chiunque fossero, erano ammanigliati nelle alte sfere. Tutto era incominciato per la prima volta quando mi avevano allentato i bulloni del porta bicicletta fissato sul tettuccio dell’auto, proprio mentre stavo per andare in Croazia: per fortuna, controllando tutto per abitudine, me ne ero accorto subito; ma se così non fosse stato, come sarebbe andata finire se avessi perso la presa della la bici, piombata sul più bello in piena autostrada? Una strage… Ecco pur di farmi del male erano pronti a provocare una strage. Anche in quella situazione, come nelle occasioni precedenti andai a sporgere regolare denuncia; ma il maresciallo dei carabinieri mi prese in giro e si rifiutò di accettarla, gettandomi nello sconforto più totale. Mi disse addirittura chiaro e tondo che la vite si era svitata da sola. Allora incominciai la girandola degli avvocati, ma mi dissero tutti, non prima di avermi spennato per ben benino,che era una vicenda troppo assurda per dare l’avvio a una vera inchiesta e che non avevo prove a sufficienza. Probabilmente in una storiaccia così non le avrei mai avute a sufficienza, a meno di non spendere un capitale presso un detective e ancora ancora, sperando che ne uscisse qualcosa. Comunque effettivamente andai da un investigatore privato che almeno mi disse chiaro e tondo una cosa sola, ma sicura: non è un uomo. Se fosse un uomo ti avrebbe già ammazzato. E’ una donna. Si sta divertendo a torturarti, come il gatto col topo, ma prima o poi si stuferà anche lei: solo allora cercherà una soluzione definitiva. Spera che questo accada il più tardi possibile; oppure cambia paese ma subito, al più presto. Cambia aria, torna dopo qualche anno, a volte funziona. Sicuramente si tratta di una persona molto ammanigliata con i carabinieri e con i poteri forti. Prova a pensare chi potrebbe essere. Di solito è l’ultima fiamma che adesso brucia solo per incenerirti…Le donne si sa, non accettano che l’amore finisca e quando finisce lo trasformano in odio; però non fanno come gli uomini che ammazzano subito. Loro si prendono del tempo. In effetti il fatto che non ti ammazzano subito è la loro ultima forma di amore tossico. In definitiva amano anche quando ti torturano; se non ti amassero non perderebbero un solo secondo con te. Ma l’ultima fiamma era stata una ragazza argentina che era tornata nel suo paese a migliaia di chilometri di distanza: quasi impossibile che fosse lei. Le altre erano in effetti una bella lista al punto che più volte ho pensato: si sono messe tutte assieme per vendicarsi e uccidere don Giovanni, oppure addirittura il buon vecchio Dioniso. Bella roba! Vogliono salvare la vita al lupo che fa strage sanguinaria delle sue vittime e far fuori un predatore che invece le sue le lascia in vita e per giunta le fa godere…Una volta una mia studentessa mi disse: un uomo che fa sesso senza amare le donne è come se le violentasse…Io invece penso che avviluppare una persona dentro alla rete di un amore assoluto è anche questa una bella forma di violenza che potrebbe predisporsi al plagio psichico totale e senza scampo. Questa è proprio la massima depravazione mentale sentimentale anti sessuale del cristianesimo che non riconosce e disprezza la immediatezza pulsionale del sesso; tutte le altre pulsioni invece è costretto a riconoscerle addirittura nella loro urgenza…
Se le sugose pastasciutte parlassero direbbero: se non mi ami allora non puoi mangiarmi; ma se mi ami, se mi ami veramente allora come prova suprema di amore puoi fare a meno di mangiarmi.
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Alla fine sia pure a malincuore, visto che tra investigatori e avvocati perdevo il mio tempo sperperando i pochi soldi che mi erano rimasti, mentre il cerchio si stringeva sempre più attorno a me, decisi finalmente di rifugiarmi all’estero almeno per un po. Dopo una lunga meditazione scelsi il Marocco. Prima di tutto perché c’ero già stato, secondariamente perché mi era piaciuto parecchio, per terzo mi sembrava un ottimo posto per nascondermi. Voglio dire un posto periferico dove niente è veramente efficiente ma sempre tutto particolarmente caotico: nella confusione si è meno visibili. Decisi di prendere la nave piuttosto che l’aereo, perché in nave era più facile nascondersi e soprattutto volevo portarmi appresso la macchina usata che mi ero comprato racimolando qualche soldo. Il trasbordo andò bene, ma durante il viaggio notturno accadde qualcosa di incredibile. C’era una ragazza marocchina delle pulizie che parlava italiano essendo stata nel nostro paese da bambina per parecchi anni. Io la salutavo, si chiacchierava un po e le davo una piccola mancia, così per simpatia. Questo fatto mi salvò. All’una di notte in punto bussò alla porta della mia cabina solitaria. Vidi subito che era molto preoccupata. Mi disse che i suoi colleghi le avevano detto che c’erano degli italiani che cercavano di scovare una certa macchina nella stiva, durante la notte, tramite una targa ben precisa: per fare questo pagavano parecchio. Avevano anche mostrato una mia foto fatta a tradimento, che anche lei aveva visto, anche se mai avrebbe partecipato a questa strana caccia misteriosa e illegale. Naturalmente nella foto aveva riconosciuto proprio il sottoscritto. Insomma mi avevano già scoperto e raggiunto ancora prima di arrivare. Io brevemente le esposi tutto quello che mi era già successo e la grande apprensione che avevo anche per la mia stessa vita. Allora lei disse:- Ci penso un po e vedrai che tra mezz’ora troverò la soluzione. Intanto io pensavo tra me e me:- E’ bello sapere che non tutte le donne vorrebbero ucciderti e che certe si preoccupano di te. Dopo un po bussò al mio camerino e incominciò a esporre il piano di salvezza che aveva predisposto per me. Vedi, mi disse, è evidente che tu devi assolutamente sganciarti da “loro” prima dello sbarco; altrimenti tutto è perduto o meglio tutto sarà possibile nel senso peggiore.
-Ma cosa dovrei fare? Siamo su una nave in mare aperto! Non vorrai mica che mi butto in mezzo al mare? -Si proprio così! non c’è soluzione…Ma stai attento adesso ti spiego tutto, è pericoloso ma non impossibile, soprattutto perché da come mi hai raccontato sei un provetto nuotatore. Giusto? – Si diciamo che me la cavo, comunque vai avanti che sono sulle spine.
– Devi sapere che la nostra nave prima di attraccare, lo so perché ormai ho una grande esperienza in proposito, ormeggia due ore poco distante dalla costa, ancora in piena notte. Diciamo verso le 5. Li attende di poter entrare in porto. Ora succedono tre fattori a te molto favorevoli. Uno: la costa dista solo due chilometri; due: ci sono ben tre isolette una dietro l’altra dove potresti a turno riposarti un po. Soprattutto, questo è il fattore più importante, c’è una corrente fortissima che punta sempre verso la costa. A queste condizioni con un po di fortuna ce la puoi fare. Inoltre io ti darò un materassino, sapessi quante cose abbandonano i turisti nelle cabine e poi non le riprendono più: potrei anche regalarti una dentiera se ti servisse… te ti adagi sopra il natante improvvisato e ti fai trascinare dalla corrente. Insomma è meno difficile e pericoloso di quanto potrebbe sembrare. Oppure vuoi aspettare il verdetto del tuo destino all’alba?
Arrivata l’ora fatale, le cinque del mattino, la magnifica ragazza, bussò alla mia porta. Mi affidò il materassino già bello gonfio, mi diede un bacio sulla guancia e soprattutto mi diede le ultime importantissime istruzioni. Vedi disse le nostre coste sono molto alte e tortuose, sembrano addirittura dei fiordi. Per fortuna a destra del porto in direzione Casablanca sono si rocciose ma piane, insomma assomigliano a delle spiagge ma di sassi. Dopo un po però proseguendo verso l’interno trovi finalmente la sabbia e alla fine arrivi alla periferia della città che si chiama quartiere Ain Diab. Sempre proseguendo sulla spiaggia troverai il primo albergo che si chiama “ Le mani di Dio” ma non è Gesù, bensì Allah ovviamente. Vai la non solo perché costa poco, ma è molto bello in quanto ha una vista prodigiosa sull’Atlantico: se sei fortunato vedrai le meravigliose onde gigantesche di Casablanca. Prenderai paura perché ti sembrerà addirittura che entrino nella tua camera d’albergo. Tuttavia la cosa di gran lunga la più importante è un’altra. Infatti neanche a farlo apposta, li lavora mia sorella e questo è un altro grande colpo di fortuna per te, segno che ormai la sta girando a tuo favore. Attenzione la riconoscerai perché in effetti mi assomiglia molto, però è un po più alta e ha si i capelli neri come me, ma ricci; per il resto è un tipo diciamo più sbrigativo. Tu però se la vedi devi far finta di niente; si manifesterà lei, ma solo se ce ne sarà bisogno. Tuttavia quel “se ce ne sarà bisogno” mi raggelò un pochino e sentii come un brivido sulla schiena. Ovviamente speravo che quella frasetta fosse pleonastica; ma ero purtroppo altrettanto sicuro che, nel giro di pochi giorni, mi avrebbero ritrovato. Il potere della sorella cuoca non era così forte da esimermi di esibire i documenti, fattore che in Marocco era molto severo. Me li sarei dovuti portare dentro a una busta sigillata attaccata al petto.
-Senti Fatima, le dissi col cuore colmo di stupore e di riconoscenza; ma perché fai tutto questo per me’. Di solito una cosa simile la fanno solo le donne innamorate; ti dico questo perché siccome sei anche una bellissima donna io ti sposerei anche subito se non sei già occupata. -Ebbene si lo sono, ma non come pensi tu…Ero sposata a un italiano che è morto in un incidente di moto pochi anni fa. Io ho fatto voto di non risposarmi più per dieci anni, ne mancano sei… sei capace di aspettare sei anni? Il fatto è che tu assomigli incredibilmente a quel ragazzo e non sopporterei che in un certo senso morisse per la seconda volta…A quel punto dopo essermi toccato di nascosto, l’abbracciai commosso. Allora lei mi accompagnò giù giù in basso verso la stiva, dove arrivammo zitti zitti, quatti quatti, senza che nessuno se ne accorgesse. A un certo punto arrivammo a una specie di gigantesco oblò che dava direttamente sul mare a una distanza di 4 metri. Dopo qualche esitazione, preso tutto il coraggio che ancora mi restava, mi gettai abbracciato al materassino neanche fosse stato la mia compagna alla prima notte di nozze. Il tuffo andò bene anche se naturalmente finii tutto inzuppato: dopo di che mi accomodai sopra e aspettai che la corrente facesse il suo gioco, comunque terrorizzato dall’idea di fare brutti incontri tipo squali ecc. Invece anche stavolta tutto filò liscio come previsto. In pratica non facevo altro che farmi trascinare dalla corrente. Mi fermai per riposare solo all’ultima isoletta, in attesa delle prime luci dell’alba per non sbagliare approdo. In effetti proprio nell’ultimo tratto della traversata, poco prima dell’alba, feci un incontro marino inatteso e straordinario. Dunque era ancora buio quando vidi due strani occhietti che mi fissavano incuriositi dopo essere improvvisamente emersi da chissà dove….Non ci misi molto a capire che si trattava di una enorme tartaruga marina caretta-caretta che però non aveva cattive intenzioni. Anzi, dopo essersi girata, riuscii ad attaccarmi alla coda senza infastidirla, sicché praticamente per un lungo tratto mi trainò fin quasi sulla riva. Certo il pericolo consisteva nel fatto che se si fosse immersa improvvisamente rischiava di trascinarmi negli abissi, ma questo non avvenne; anzi con un leggero scarto si liberò della mia stretta impertinente, e sparì tra i flutti così come era emersa. Però a me proprio da ultimo accadde un piccolo inconveniente: ero quasi arrivato quando, sarà per la stanchezza e l’emozione, presi inaspettatamente sonno per una decina di minuti; ma questo non ebbe conseguenze negative fino a quando il materassino spinto da quella famosa corrente, non andò a sbattere sulla riva rocciosa. Così mi risvegliai improvvisamente come il naufrago Ulisse in una terra sconosciuta. Subito cercai di superare la zona rocciosa per raggiungere la sabbia. Dopo un po arrivò l’alba e vidi in lontananza la mia nave che faceva lentamente manovra per attraccare. Così raccolte le mie forze mi misi a camminare spedito sulla sabbia. Dopo qualche chilometro vidi una specie di simpatico piccolo bar marino, come ce ne sono tanti anche in Italia, e li trovai momentaneamente rifugio e ristoro con tanto di caffelatte e brioches. Il barista parlava un po francese e mi chiese se per caso non fossi un naufrago o un contrabbandiere… io glissai il discorso e mi feci spiegare bene dove si trova l’hotel “ Le mani di Dio “. L’hotel si trovava a circa un’ora di cammino. Ancora una volta raccolsi le mie forze e mi misi a camminare speditamente. Raggiunto il quartiere trovai una fontana e così mi ripulii dalla salsedine ottenendo un sembiante finalmente più umano e presentabile, soprattutto per entrare in un hotel senza rischiare di destare troppi interrogativi. Comunque quando finalmente lo raggiunsi spiegai che amavo fare il bagno all’alba e che di li a poco sarebbero arrivati i miei bagagli insieme ai miei amici (ma non era vero). Così passai solo per un turista un po eccentrico ed avventuroso come ce ne sono tanti, soprattutto tra gli anglosassoni.
Dunque me ne stavo nell’hotel magrebino della provvidenza, senza avere poi tantissimi soldi (quei pochi li avevo nascosti insieme ai documenti nella busta impermeabile) e ancor meno speranze di farla franca. Speravo che finalmente la fortuna, se proprio non voleva ficcarmi la lingua in bocca, almeno mi baciasse sulla guancia; ma in realtà non ci credevo più di tanto. Me ne stavo mezzo intabarrato e semi nascosto sulla mia sedia a sdraio, lasciando che il tempo mi sfiorasse con l’alito umido e frizzante del vento oceanico. Non mi rendevo conto che, sprofondato in quel ridicolo atteggiamento, forse davo ancora più nell’occhio. In compenso ero immerso, circonfuso e quasi paralizzato dall’abbraccio di quel pungente alito settembrino, così frizzante ma ancora così dolcemente tiepido. Non esiste niente di più eccitante che questa ibrida sensazione di dolce e salato, di caldo e di freddo, forse perché soddisfa entrambi i sensi e per giunta opposti, alla faccia del povero Aristotele che li vorrebbe godere separati e uno alla volta. Dunque ero frastornato e completamente ipnotizzato dallo spettacolo possente e incantevole del mare. Pensavo, come per un meccanismo di difesa inconscio, che sarebbe stato ben difficile uccidermi alla presenza di quei pochi preziosissimi testimoni intabarrati e fanatici come me, della sinuosa, frenetica e impetuosa cavalcata di quelle onde meravigliose. Eravamo sempre li a goderci lo spettacolo come al cinema; ma come fedeli spettatori non ci perdevamo la rappresentazione dalle prime luci dell’alba fino a sera; persino a pranzo mangiavamo sulla terrazza e solo a cena ci ritiravamo, ma sempre insaziabili, sperando che lo spettacolo riprendesse il giorno dopo. Che terribile delusione se fosse sopraggiunta una calma piatta. Così il sempre uguale, ripetendosi incessantemente in modo diverso, ti avvolgeva nel mistero infinito della sua preziosa e micidiale ambiguità. Queste forme identiche ma sempre diverse ci confermavano quella intuizione sentimentale e conservatrice che porta a credere nella incessante trasformazione e resurrezione del nuovo dal vecchio. Queste onde altissime e perpendicolari come cascate semoventi, scivolavano e precipitavano a gradoni su se stesse, ma nello stesso tempo, al momento della loro ultima rotta, subito riemergevano come enormi fantasmi sbuffanti, evocati dalla loro stessa recentissima scrosciante rovina. In questo modo l’inizio e la fine, la nascita e la morte, l’esplosione incontenibile della vitalità e il suo immediato fatale disfarsi, si fondevano incessantemente nella ridda repentina del nuovo e dell’identico, del simile e del diverso. L’enorme massa ricadendo su se stessa, sembrava far esplodere improvvisamente mille bottiglie di champagne con tantissime bollicine che scemavano in una schiuma argentata che si spandeva rotolando su una enorme tavolata, che poi era il bagnasciuga del nostro albergo. Volendo potevamo prendere l’aperitivo con i piedi a mollo nello champagne ribollente e freschissimo dell’oceano.
Quelle onde enormi avanzavano così grandiose e maestose, così schiumose e tumultuose, precipitando da innumerevoli cascate arrembanti, ora persino più alte e sovrastanti delle precedenti, da sembrare in frenetica competizione tra loro. Sembravano come i filosofi greci quando montavano sopra le spalle dei loro predecessori. Ma poi, come fatalmente accade nel corso del tempo a tutto ciò che esiste, alla fine scivolavano anche loro degradanti e decadenti, ma comunque sempre impressionanti, nel punto più alto come roccia pendente, in quello più basso per la loro impetuosa serpentina velocità. Eppure anche in questo caso la loro forza non pareva scemare mai, solo sembrava cambiare posizione, da quella verticale a quella orizzontale, nel corso della quale trascinavano a riva una enorme e lunghissima scia bianca e spumeggiante. Ognuna era l’allegoria dell’altra, del proprio inizio e della propria fine.
Le onde ora si incrociavano come nella superba galoppata, stupefacente e caotica, di una mandria selvaggia in preda a una frenesia inarrestabile , ora proseguivano in parallelo, con stupefacente regolarità, al punto da sembrare la carica regolare e fatale dei seicento a Balaklava. A volte si contraevano e dilatavano soffiando e sbuffando come una fisarmonica suonata da un gigantesco zingaro selvaggio . Questi inveendo e bestemmiando contro la civiltà intera, rivendicava , lui re dei nomadi, il senso del movimento incessante, ma totalmente gratuito e criminale nella sua bellezza inebriante e nella sua brutalità fine a se stessa. In questo modo dava l’illusione del moto perpetuo e insieme del libero arbitrio delle forme, o almeno di una incessante novità, perché queste infinite sorelle erano sempre una diversa dall’altra. Nemmeno si capiva se in realtà si facevano la guerra oppure si fondevano confondendosi una nell’altra come in una specie di enorme orgia saffica. Giacché niente è più conturbante e lascivo dello spettacolo del marre in tempesta.
Proprio per questo lo spettacolo sempre simile e sempre cangiante era così seduttivo e terrificante, ma anche pieno di misteriosa e struggente nostalgia. Era il rimpianto delle origini soprattutto quando si sa che che tutto è incominciato risalendo dal fondo degli abissi. Ma queste dilatazioni e contrazioni legate a quel liquido salato da cui è nato tutto, ricordavano anche il ritmo di un parto gigantesco e inarrestabile, svelando così uno degli infiniti misteri del mare: il suo essere maschio e femmina insieme, liquido seminale e liquido amniotico dentro a una gigantesca vagina sempre in travaglio. Questo era il movimento incessante della vita e della morte. Così mentre il mare sfama come una madre generosa milioni di persone, lascia alla risacca il compito ingrato di distribuire sul bagnasciuga doni ed orrori, se non a volte enormi e misteriosi mostri marini. Certo a pensarci bene il parto meglio riuscito o forse il più mostruoso, a seconda dei gusti, siamo stati proprio noi, cosiddetti esseri pensanti. A quel punto la natura ha deciso senza saperlo di suicidarsi destinata a essere massacrata dal suo figlio crudelissimo e insensato. E’ diventata così la vittima sacrificale di se stessa. Ma tutto così inconsciamente, semplicemente perché doveva accadere punto e basta.
Pensare che anche la nostra vita scorreva così, ma senza quella straordinaria maestosità, attutiva la paura e la pena angosciosa della morte, sia di quella più drammaticamente imminente e vicina, sia di quella metafisicamente più lontana ma inevitabile. Per questo motivo stavo sempre li a rimirarle, terrorizzato dall’idea di ritirarmi nella mia camera alla notte. Lì, opportunamente dotati di silenziatore, i miei nemici avrebbero potuto spararmi con relativa facilità, sia dalla porta ma soprattutto dalla terrazza, dato che le finestre restavano sempre aperte e disponibili all’invasione della frescura marina come alla volontà omicida dei miei ostinati inseguitori. Pertanto restava un gran dilemma se lasciarle aperte o chiuderle, in questo caso salvandomi dal piombo ma crepando di caldo. La famosa sorella di Fatima l’avevo incrociata una sola volta: subito mi aveva fatto segno col dito di far silenzio, di non palesare nulla; però in seguito mi aveva lasciato un messaggio sotto il cuscino, dicendomi che avremmo comunicato sempre così. Se ci fossero state delle novità quello era il modo più sicuro per farmelo sapere. Tuttavia quell’accenno alle novità mi fece venire un brivido sulla schiena. Nel frattempo non potevo certo rinunciare a dormire e anche se lo avessi fatto, prima o poi mi sarei addormentato lo stesso, passando probabilmente, in un ultimo sogno, dalle braccia di Morfeo a quelle di Caronte. Non c’erano alternative: se avessi passato tutta la notte bighellonando in una città enorme ed equivoca come Casablanca, li sarei stato il bersaglio più facile e invitante del mondo e nello stesso modo mi avrebbero fatto sparire nel nulla con irrisoria facilità. Probabilmente non avrebbero nemmeno più trovato il mio povero corpo, mentre in caso contrario sarebbe rimasto in albergo, suscitando almeno un tardivo e inutile scandalo internazionale. Per questo, anche per far passare il tempo senza pensare alla ossessione della morte e dell’agguato che consideravo ormai imminente, in base alla apparente onnipotenza dei miei fantomatici nemici, me ne stavo per ore e ore a osservare le onde oceaniche sgusciare incessanti dal mare infinito. Forse quella sarebbe stata l’ultima performance bella ed entusiasmane della mia vita.
.Questa possente risacca si mostrava in procinto di penetrare tambureggiante nelle stanze dell’albergo, come uno tsunami irriverente di riti vacanzieri, turistici e balneari. Ma era per fortuna solo un’illusione ottica provocata dalla paranoia del momento e soprattutto da uno scenario veramente straordinario.
C’era da chiedersi se tutto quello scenario non fosse in definitiva che il trionfo del caos inteso sia come movimento del tutto imprevedibile (un po come le nuvole) sia come repentina trasformazione e metamorfosi delle forme: un qualche cosa di bellissimo certamente, ma nello stesso tempo di assurdamente irrazionale. Sicuramente se c’era qualcosa di razionale questa era al servizio del movimento e mutamento del tutto sbilanciato nel suo contrario; ma almeno era dovuto a qualche cosa di evidente, per esempio la forza sovrastante del vento e di nascoste correnti sottomarine. Altre volte in quelle interminabili ore chiudeva gli occhi e si faceva sovrastare dalle onde del pensiero.
Il nostro movimento umano invece, voglio dire quello singolo della propria anima e ancor più quello collettivo è determinato da una doppia corrente del tutto sotterranea e anti razionale che si chiama inconscio singolo e poi sinteticamente collettivo. La vera razionalità non è affatto il semplice processo consequenziale e strutturale di un ordine e di coordinate di causa ed effetto (in questo senso anche la bomba atomica può essere un congegno, un ordigno razionalissimo…) ma si vede in ultima istanza in base ai progetti e traguardi etici effettivamente raggiunti. Da questo punto di vista il razionale apparentemente realizzato e coagulato nella bomba si rovescia nel massimo del caos distruttivo e satanico provocando le peggiori catastrofi.
Pertanto noi di umano abbiamo solo una maschera e di razionale solo uno strumento per il resto non abbiamo proprio nulla di nulla, anche se ci è piaciuto tanto raccontarci sull’argomento miriadi di favolette, puntualmente ridicolizzate da terribili e tragici eventi: perché la storia non siamo noi, bensì il mostro che ci sta nascosto dentro. In realtà già i miti greci erano pieni di sanguinose tragedie e non sembra che la Bibbia fosse da meno; anche se nei primi non c’era nessuna falsa consolazione se non una disperata volontà di vita. Nei secondi la farsa di una aspettativa futura. Quella stessa atavica forza che lo stava sorreggendo senza bisogno ne del mito ne della bibbia, ma soltanto di un buon caffè alla mattina. Se avevamo un po di razionalità illuminista, la abbiamo persa tra le pieghe ipocrite e millenarie del finto cristianesimo, infine da ultimo del suo doppio, vale a dire il comunismo ossia il suo gemello diverso, così opposto e simile nello stesso tempo. In quanto alla destra non ha fatto altro che esaltare la finta razionalità di zio, peto e fanghiglia…
Persino il femminismo estremo che vorrebbe presentarsi come autentico trionfo liberatorio cova dentro di se la esaltazione totalitaria di un pensiero unico con l’unica vera giustificazione della grande vendetta femminina. Così si presenta come la gemella diversa del patriarcato che vuole annientare: vuole eliminare il suo opposto ma le assomiglia in modo simmetrico rovesciato: un corpo che si mette a testa in giu come anche una clessidra che si rovescia, è la stessa identica cosa vista da una prospettiva invertita.
Così il nuovo matriarcato cercando di distruggere ogni forma di maternage e di femminilità, ma anche di virilità (ma qui non tutto è da buttare) non farà altro che creare un nuovo pensiero unico una nuova dittatura dal punto di vista della donna-uomo. Anche il comunismo e il marxismo sono morti della stessa identica malattia, ossia della rincorsa suicida verso una identità rovesciata. Gli operai che volevano sostituire i padroni alla fine sono diventati i peggiori padroni di se stessi.
Nutrendosi subdolamente delle ceneri del loro avversario hanno finito per assomigliarli in modo camuffato e clandestino fino a una terribile resa dei conti che ha posto dine alla pagliacciata. Così la apparente e cervellotica fine della proprietà privata ha prodotto in realtà un mostruoso stato economico monopolistico. Così un movimento anti-religioso era in realtà segretamente super religioso, idolatrava un sedicente ateismo e ancor più un becero pseudo-materialismo. Non adoravano la mummia di Padre Pio ma quella di Lenin si. Così un materialismo da quattro soldi era in realtà una forma di platonismo rovesciato e di idealismo marcio. Cosa può esserci di più falso e diabolico della divinizzazione di una chiesa atea con un papa nero, anzi rosso, come Stalin. Se era rimasto qualcosa di razionale, se l’è mangiato la ultima “ rivoluzione involuzione industriale” col satanico trionfo della tecnologia assoluta. Questa “rivoluzione-involuzione”, questo “progresso-regresso” apparentemente inarrestabile e senza fine, sta trasformando e unificando il mondo verso il ribasso sempre più basso. Alla fine come succede negli opposti fanatismi, questa estrema intelligenza artificiale non ci farà diventare solo tanti robot malamente programmati, ma ci farà addirittura regredire ad essere animali nel senso peggiore, cioè senza nemmeno l’istinto ma solo con un automatismo programmato da altri. Sparirà così del tutto la meravigliosa e catastrofica, casualità creativa della natura ma anche quella poetica umana. Così in questo mondo assurdo, sempre più brutto e crudele, prima o poi non ci saranno più onde spumeggianti: il mare diventerà il male, deperirà a palude come un liquido totalmente liscio e piatto, una specie di fluido informe e stagnante. Così sarà magari tossico e dolciastro ma democraticamente a disposizione di tutti. Oppure diventerà semplicemente una immensa distesa di plastica. La vera tragedia è stata che non abbiamo mai avuto una vera evoluzione intellettuale ed etica insieme, ne per le masse ne per i dirigenti; questo è avvenuto forse solo per gli addetti ai lavori, per i grandi filosofi ed intellettuali. Agli altri sono rimaste solo le briciole con cui hanno continuato a giocare al mercante in fiera o ai soldatini. Veramente troppo poco. Questi intellettuali rappresentano uno specchietto per le allodole per coloro che debbono credere a tutti i costi in una civiltà positiva e sempre avanzante. Ma la civiltà è nata malissimo ed è sempre proseguita nello stesso modo di male in peggio: si, è vero ha tolto le catene agli schiavi, ma gli ha inchiodati alla catena di montaggio e ai canali mediatici realizzando il più grande plagio autoindotto ella storia. In questo modo lo sviluppo e la complessità della società, della tecnica e del potere sono sempre andate a gonfiare quest’ultimo negativamente in tutti i sensi possibili. Così è stato dall’epoca della schiavitù fino ai campi di concentramento, fino alle bombe atomiche. Al che oggi si teme persino per la tenuta di questa parvente pseudo democrazia occidentale che se crolla anche quella, allora è proprio finita. Del resto anche il povero Marx, ci aveva detto che eravamo ancora immersi nella preistoria, e Platone dentro alla caverna. Così in cambio degli apparenti benefici del consumismo, di cui nessuno oggi potrebbe fare a meno, ci hanno dato, ci siamo dati, una società gravemente malata, forse senza speranza. Non di solo pane vive l’uomo, ma senza anima e senza cervello forse si muore o comunque è come se tu fossi uno zombi ideologico.
Viene in mente il titolo di un famoso romanzo di Cechov “Le anime morte”. Quei grandi intellettuali che ogni tanto aprono gli occhi su qualcosa, servono principalmente per gli introiti e le tirature delle case editrici, per i testi scolastici super annacquati, per le carriere e le polemiche pseudo illuministe tra cattedre universitarie. Purtroppo per il resto la storia fondamentalmente se ne fa una gran baffo. Anche se questi intellettuali, raramente in buona fede, urlano come i muezzin dalla loro torre d’avorio, nessuno li ascolta veramente. Pertanto la vuota disperazione della gioventù ormai può soltanto prenderne atto. Sarebbe la tanto decantata fine della storia se questa fosse incominciata per davvero. Anche la storia come il mare si agita furiosamente (meglio ferocemente) sempre senza senso, ma purtroppo dalle sue vene aperte sgorga sangue e non acqua salata. Così mentre Codro si dilettava piacevolmente con queste elucubrazioni, le ore passavano e verso sera anche quella furia acquea lentamente calava e trovava la sua fine. Dopo aver attraversato tutto l’oceano si esauriva sulla fragile linea del bagnasciuga. Ancora si urtava e frangeva, ma questa volta, ormai arrivata al capolinea e quasi del tutto esausta, sbatteva dolcemente sulla banale ringhiera protettiva dell’albergo. Ringhiera alla quale anche il naufrago filosofo perseguitato era aggrappato sbattuto dai flutti del destino, come lei ogni giorno un po più arrugginito e meno saldo. Questo era il fragilissimo terminale dell’onda, già spezzata anche dal vento che poco prima l’aveva pur sostenuta nella sua folle rincorsa. Li finiva provvisoriamente l’avventura di quanto di più potente ed effimero potesse esistere nel mondo sublunare.
Così le onde schiumose e gigantesche, che sembravano inarrestabili e gonfiarsi sempre di più, a un certo punto persino loro, cedevano di colpo, e scivolando indolenti sulla spiaggia, calavano progressivamente la loro grinta ringhiosa e sbuffante, solo poco prima apparentemente, così spaventosa e spavalda. Adesso invece obbedendo a un ritmo eterno o semplicemente seguendo come capita a tutti, la loro ultima sorte, si sparpagliavano indolenti e sparpagliate con una lenta rincorsa. Per gli spettatori l’unica vitalità era quella di infervorarsi nuovamente alla vita solo di sera, dopo essere stati scaricati giorno dopo giorno, dal soffio caldo ed estenuante di una estate bollente come quella africana. Tutto questo dava l’impressione della enormità della forza della materia a fronte della grande precarietà liquida della sua forma mutante e apparente. Che grande contraddizione tra la forza immensa del suo contenuto ( il movimento irresistibile della sua massa acquea) e la fragilità effimera della sua superficie esteriore. Lo spettacolo era talmente affascinante e meraviglioso nella sua sublime dimensione kantiana, che il naufrago smetteva per una breve pausa rivitalizzante di pensare a se stesso e alla sue tristi e assurde vicende. Ma subito dopo ricominciava la sua masochista rincorsa filosofica della verità. Solo per quella pensava di essere vissuto degnamente e si apprestava a morire; ma quando pensava al corpo nudo della donna il suo volto si rigava di lacrime.
Allora smetteva addirittura di pensare completamente perso nel nulla, ma non come nel corso di una rinfrancante seduta di yoga, scoprendo magari proprio nel vuoto l’ultima risorsa e la soluzione stessa del mistero e dell’enigma della vita. Anche quella gli sembrava in realtà una scorciatoia, una fuga. Semplicemente smetteva ogni funzione mentale come un blackout , come un corto circuito. Questa volta si che le onde sembravano persino penetrare nel cervello e spazzare via tristi pensieri e tristi ricordi, lasciandoti nello stesso tempo rinfrancato e pronto a riemergere e galleggiare come dopo un tuffo benefico. Così cedeva di colpo la diga stessa della razionalità, ammesso che a questo pazzo pazzo mondo, ce ne possa essere anche uno solo di milligrammo o anche una piccola goccia, a fronte del suo sempre incombente caos malefico e irrazionale. La verità è che preferiva la soluzione stoica, sul trono in catene ma libero delle catene: consapevole del male ma libero dal male. In questo modo anche il dolore e la paura diventavano un piccolo fastidio e una piccola apprensione. Il prezzo della libertà è enorme ma rende tutto sopportabile: senza libertà tutto diventa eccessivo nel suo male. Tuttavia aveva un peso insopportabile di cui non riusciva a liberarsi. Non c’è niente di peggio che sentirsi nella aspettativa di un agguato qualunque sia questo tranello. Certo anche lui era in trappola materialmente, ma la gabbia non era chiusa del tutto e restava una via di fuga. Mentalmente si sentiva libero come le sue onde e come loro era incurante che tutto potesse finire in qualsiasi momento. Ormai semi purificato e solo indirettamente colpevole, godeva misticamente e narcisisticamente della sua effimera esistenza . Certo quel furibondo vortice della materia acquea contavano solamente bellezza e grandiosità, mentre essa si scatenava con tutta la sua energia. Al contrario nella faticosa e dolorosa autocoscienza dello stoico c’era solo sobrietà e la fine di ogni eccesso. Solo così era arrivata finalmente a privarsi e abbandonare il peso della gravità della esistenza individuale e della storia collettiva, ricolme di pena e di colpa, di lacrime e di sangue. In un solo secondo ad ogni momento, lo stesso impeto dei flutti tumultuosi accadeva in una dimensione altra ma molto simile: quella dinamica e magmatica del pensiero. Anche nella mente una infinità di simboli, di pensieri e di emozioni, nascevano e morivano in mille forme, questa volta per emergere e rifluire dentro allo spirito del mondo. Nello stesso tempo lo spirito, assai più del mare, covava ed esplodeva la contraddizione della sua intrinseca mutevolezza tumultuosa e contrastante. Dunque risulta in apparenza più disomogeneo, più simile a una gigantesca tenzone e selvaggia giostra medievale, piuttosto che a un enorme e fragoroso gioco d’acqua. Tuttavia anche i pensieri e le emozioni prima di scontrarsi e scaricarsi, si mescolano e accoppiano accavallandosi e contaminandosi in mille modi. Di fronte alla proliferazione mentale di tutti questi tentativi roboanti e fallimentari, (quando mai un pensiero arriva veramente a capo di se stesso?) di queste illusioni e rifrazioni, resta solo la consapevolezza e consolazione brutale che il mondo, nonostante tutto, esiste comunque, anche se con tutta la sua illusorietà e spietata durezza foriera di infinito dolore. C’è qualcuno che vorrebbe farci credere che il mondo non esiste, che sarebbe come la fantasia di un cartone animato; ma i cartoni animati sono quelli che noi disegnano arbitrariamente e idealisticamente sopra lo spartito del mondo, il quale da sempre, anche quando non c’eravamo, va ed esiste comunque per conto suo. Anche le illusioni e falsità esistono come i veleni e il concime fecondativo; basta non esagerare e assumono, persino loro, una facoltà terapeutica, se non per la verità, sicuramente per la vita. Alla fine sarebbero un piccolo addentellato rispetto alla negatività del mondo, se non avessero anche loro corresponsabilità nei vari massacri ricorrenti. Così Codro, come i toreri spagnoli che aspettano le sette della sera, per ingannare il tempo prima dello scontro fatale, passava da una elucubrazione a un’altra, da onda a onda, da pensiero a pensiero. Certo le forme dell’acqua confondendosi in quella nuvola vaporosa recitavano, svaporando in superficie, la memoria di profondissimi abissi marini. Portavano con se il ricordo di una madre ferocissima con la sua innocenza e verginità terribile, ma pur sempre originaria. Le forme del pensiero invece, assai più contaminate, nascondevano il segreto destabilizzante del loro spirito “antispirituale”, ossia l’inconscio protagonista anonimo infernale e clandestino. Tutto questo senza nemmeno che la nostra presa percettiva riuscisse a stargli dietro. Così ogni determinazione, non faceva in tempo a nascere, che subito spariva sul doppio palco dell’essere immortale e originario e della sua dissolvente apparenza nichilista. Cavalcando le onde Parmenide ed Eraclito in costume da bagno si rimproverano a vicenda per l’eternità l’esistenza stessa dell’eternità: il primo dice, Il mare è pur sempre il mare e tale resterà per sempre; e l’altro ma ogni onda è diversa e finisce inesorabilmente. La cosa più incredibile consiste nel fatto che hanno ragione tutte e due. Ma soprattutto in tutto questo rifulgeva ciò che Hegel aveva chiamato la celebrazione e la inquietudine della devastazione assoluta, cionondimeno completamente esaltante e pregna di vitalità pur nella sua aspra dissipazione. Naturalmente questo vale solo per chi riesce a vederlo e e soprattutto a sopportarlo: gli altri chinano la testa come gli struzzi o come gli schiavi compiacenti, oppure addirittura si ammazzano prima come fanno gli scorpioni. Non c’era dunque nessuna forma di esaltazione e grandiosità nell’autocoscienza dello stoico, quanto piuttosto da una parte, la consapevolezza di essere solo un frammento di atomi sia del tempo che della materia, tutto questo unito al senso terribile di solitaria indecifrabilità, di estraneità irrisolvibile e incomunicabile dell’inconscio dentro e fuori alla personalità di ciascuno di noi. E se la follia è peggio della morte, questa in realtà ci coinvolge tutti, anche da vivi. Questo avviene come nel campionato di calcio in base alla gerarchia di diversi gironi: quello che ci sembra il più saggio in realtà è solo il meno pazzo di tutti. Siamo tutti vittime della follia, quella grande e quella piccola, quella nostra e quella degli altri, certo con gradazioni diverse, ma alcuni sono ben più bersagli o carnefici di altri. Quando tutti se ne renderanno conto allora forse, saremmo finalmente guariti. Quando mai accadrà se non sarà troppo tardi e non arriverà prima la fine di tutto? Per nascondere il suo vero volto, il volto che non c’è col suo vuoto morale ed esistenziale, la distopia dello spirito, questo vortice maligno di menzogna e crudeltà, questo turbine eternamente mitologico, si è ricoperto misteriosamente di mille maschere ora ridenti, ora tragiche e grottesche come nei frontoni severi ed esoterici delle chiese medievali. Le persone che sono sempre nude, che sono sempre se stesse, in questo mondo di inganni fantasmagorico sono le più infelici, oppure le più felici se riescono, chissà come, a sopravvivere. Sono questi le nostre onde ideologiche, i marosi che ci sbattono di qua e di la ben diversamente dal meraviglioso spettacolo estetico ed estatico del mare. Questi travisamenti extra personam ci illudono sul protagonismo degli attori e sul realismo della trama. Senza questa illusione non potremmo vivere. Invece producono, trasformandosi incessantemente, come maschere nel tourbillon frenetico del carnevale di Venezia, mille rifrazioni fuorvianti di visi e di corpi che alla fine non si riconoscono mai per quello che sono veramente. Così tutti si accalcano, tutti si toccano, persino si accoppiano in realtà nell’anonimato più assoluto; ma questo non è solo il carnevale dove si è pazzi una volta l’anno, è il flusso della vita dove si è pazzi sempre sia pure con maggiore o minore intensità. Oggi ci si esalta nel trasformismo senza limiti, erotico, somatico e sentimentale di maschio e femmina, come se fosse un miracolo, l’ultima rivoluzione finalmente vincente e la salvezza ontologica definitivamente raggiunta.
Mentre è in superficie solo uno scambio di ruoli e di maschere, nella sua vera profondità è la condanna a morte ed esecuzione capitale di ogni evoluzione e di ogni speranza. E’ come stare al cinema, ma lo schermo col suo scherzo tragico funziona come negli specchi ambigui e deformanti nei luna park. Questi paesi dei balocchi che tanto piacevano a Lucignolo e a Pinocchio, prima o poi fanno diventare dei somari artificiali coloro che li frequentano troppo; come del resto sta accadendo alla nostra gioventù ipnotizzata da computer e cellulari. La vita non è altro che una parata ora giocosa ora infernale di matti e di cialtroni, alcuni dei quali spesso si sentono santi ed eroi, vestendo i panni eterni della religione, del mito o della commedia dell’arte. Giovanni Codro era arrivato a queste conclusioni nella sua solita elucubrazione serale prima di andare a dormire; ma lo spettacolo residuo che si parava di fronte ai suoi occhi non aveva ancora finito di stupire.
Ormai stava arrivando il buio quando sullo sfondo apparve un altro fenomeno stupefacente: consisteva nel vedere laggiù, .laggiù in fondo dove finiva l’orizzonte, delle figurine bianche come fantasmi, lottare tra i marosi apparentemente sospesi tra la vita e la morte. Lottavano lontano lontano, la dove il mare e il cielo si confondevano con la complicità della sera, sembravano nello stesso tempo naufraghi e gladiatori al circo delle acque ciclopiche. Inscenavano una strana pantomina affrontando incredibilmente solitari e spavaldi gli immensi marosi. A volte sembravano solo delle minime ombre grigie sempre più pallide e sempre più sfumate. Addirittura dei miseri puntini destinati a essere inghiottite dalla bianche e voraci chiome dei flutti, che ora, nel contrasto della sera, sembravano persino argentate e sbriluccicanti. Morire tra i flutti, ecco un gran bel modo di finire la giornata, una gran bella fine se si può dire che una fine possa essere bella. Era questo l’unico fenomeno che ancora si intravvedeva nitidamente nello spettacolo evanescente che diventava sempre più surreale e spettrale insieme. Il nostro eroe trepidava per quelle anonime ombre più della sua stessa vita già così in pericolo: travolte dalla schiuma sembravano scomparire per sempre nell’oscurità che tutto avvolgeva e che aveva già messo dentro in un sacco nero il sole, il mare , gli uomini e che tra poco, in quel fondo oscuro, ci avrebbe messo anche i loro stessi sogni. Ma chi erano quei temerari? Aspiranti suicidi forse, incoscienti totali per una sfida totale, oppure gente del popolo così forte e coraggiosa ma anche così solitaria e temeraria, da affrontare il mare e il buio insieme, sicuri di farla franca sempre e comunque: questa era sicuramente l’ipotesi più verosimile. Intanto lui non sapeva, pensando a se stesso, se ce l’avrebbe fatta anche questa volta, dovendo affrontare entro breve i suoi misteriosi sicari nel silenzio e nell’oscurità del grande albergo semi deserto, sul finire estenuante della stagione sciroccosa e turistica a Casablanca. Così andò a letto con questa ultima assurda considerazione : lui stava cercando di salvare la sua vita a tutti i costi, quando altri, magari gente che non ha nulla, di nulla, la stava rischiando in modo cosi incosciente e clamoroso.
Alla mattina presto venne risvegliato dalle urla degli inservienti dell’albergo impegnati in tutt’altra faccenda che preparare le colazioni. Sul bagnasciuga a poche decine di metri dall’albergo avevano ritrovato un poveraccio morto annegato. Era una vista orribile perché era stato anche attaccato dagli squali: si faceva prima a dire quello che gli era rimasto da quello che era stato staccato e divorato. Provò anche lui la sensazione orribile di essere stato attaccato e morsicato dappertutto; ma per fortuna era ancora vivo, anzi si sentiva così forte e pieno di rabbia che lo squalo se lo sarebbe mangiato.
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Tuttavia questa sensazione così dolorosa gli fece venire improvvisamente in mente un ricordo lontanissimo legato al mare e alla sua infanzia. Un bel giorno a tempesta finita, suo padre li aveva portati sulla spiaggia a S Niccolò. Era la parte estrema della loro isola così lunga e sottile, quella più vicina alla grande diga e al grande faro con cui il grande serpente grigio di cemento e di massi finiva in mezzo al mare: proprio la dove il suo fluido manto diventa più verde, più lontano e profondo. Lì dove enormi petroliere sfioravano come giganteschi squali il grande faro avvolto dalla nebbia. Altre volte, più raramente, era lui ad essere illuminato dalle abbaglianti luminarie di enormi e intriganti città galleggianti piene di pellegrini in crociera per il mondo.. Eccole stracolme di ricchi turisti, che attraversando il mare infido, cercano solo di dimenticare l’insensata competizione e la zuffa di una società pazza e crudele. Così il padre aveva portato lui e la sorellina a prendere le “cape onghe”, dopo una enorme mareggiata, lungo il litorale ancora sconvolto dalla precedente furia dei marosi. Li aspettava una luminosa passeggiata marina, bighellonando lungo il litorale per chilometri e chilometri di spiaggia ancora spazzata dal vento ma ormai liberata dalle onde. Il mare si era misteriosamente ritirato e la spiaggia adesso e per una giornata intera, si estendeva a perdita d’occhio. Li non li attendevano come a Casablanca onde altissime, ma larghi spiazzi inframezzati da grandi pozze poco profonde. Proprio per questo, era finalmente arrivato il momento, tanto atteso e sospirato, di dar la caccia alle cappe prelibate con un gioco di destrezza dell’occhio e della mano. All’inizio bisognava osservarne le fuggevoli tracce sulla sabbia, subito dopo bisognava infilare immediatamente il dito o un bastoncino per prenderle ed estrarle, prima che con un sesto senso misterioso e fulmineo, si mettessero rapidissime in salvo, sprofondando come per magia nel fondo dell’abisso sabbioso. Fin qui il gioco; ma c’erano altri piccoli particolari: era inverno e faceva un freddo terribile, acuito da un vento gelido che ancora ricordava la tempesta finita da poco.
Certo il paesaggio era meraviglioso e anche la possibilità, già così rara, di vedere il padre e di giocare insieme all’aria aperta, dava al tutto un senso molto festoso e sacrale insieme: perché per il padre prendere e mangiare il pesce era una specie di rito pagano e sacrale (l’unica cosa in cui credesse) da prendere molto molto seriamente. Purtroppo il freddo era acuito da altri particolari, come immergere le gambe nei tratti gelidi più profondi, anche se protette da grossi calzettoni e stivaletti, oppure infilare le manine nude dentro al liquido salmastro che sembrava più freddo del ghiaccio.
In più c’era il rischio, entrando in pozze troppo profonde, di far penetrare l’acqua negli stivali troppo piccoli e congelare definitivamente i piedini già tanto infreddoliti. Fu quello che accadde alla sorellina; a un certo punto divenne completamente pallida: ormai semi svenuta e sbiancata in volto, si accasciò lentamente al suolo come una diva degli anni venti con gli occhietti sbarrati e una smorfia che ricordava il sorriso della Gorgone in punto di morte. Subito le levammo gli stivaletti e notammo che i piedini erano diventati rossi e bluastri. Allora glieli massaggiammo vigorosamente mentre lei finalmente ripresasi diceva: Non muoio non muoio, non preoccupatevi…dov’è il cestino con le cappe frementi. Anche Giovanni Codro non voleva soccombere mentre il freddo e l’umidità della sera lo costringevano a rientrare nella camera del suo albergo con i piedi nudi ormai quasi congelati.
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Così era arrivata la sera e ormai, rotto ogni indugio, bisognava prepararsi alla battaglia fatale per affrontare il misterioso killer, che sicuramente sarebbe arrivato quanto prima per ucciderlo, per chiudere la partita una volta per sempre. Quello che era successo in nave sembrava andare sicuramente in questa direzione: ormai non poteva trattarsi di gente che si limitava solo a molestarlo, disposta a mollare la presa all’improvviso. Non era gente che lasciava incompiuto il proprio operato, come dicevano i latini, rimandando tutto sine die. Lo avevano colpito tantissime volte come si fa con le banderillas per sfibrare il povero toro ma adesso lo spietato torero alle sette della sera doveva per forza dare l’affondo finale. Anche perché per fare quello che avevano fatto, avevano già speso un sacco di soldi e smosso mari e monti. Occorreva dunque preparare un piano per lo scontro finale e alla svelta.
Forse lo avrebbero ucciso con un colpo di precisione direttamente dalla spiaggia o da una camera degli alberghi vicini ; per questo sistemò sulla poltrona, ben davanti alla finestra, una specie di fantoccio, un falso bersaglio che avrebbe potuto forse salvargli la vita. Ma quella non era un’ipotesi tanto probabile; pur avendo fucili di precisione con cannocchiali notturni, avrebbero dovuto aspettare per maggior certezza, che aprisse la luce magari per andare al bagno. E poi non avrebbero avuto la sicurezza del colpo fatale che avrebbe potuto andare a vuoto o ferire solamente; mentre loro ormai avevano bisogno di un colpo definitivo fatto a botta sicura. Pertanto era molto più probabile che le cose andassero così: qualcuno sarebbe entrato furtivamente in camera attraverso la terrazza concomitante per colpirlo una volta la prima e poi necessariamente, entrando nella stanza più in profondità, una seconda, per dargli il definitivo colpo di grazia. Dalla porta di ingresso era molto improbabile; c’era pur sempre il rischio, per quanto difficile, che qualcuno, scendendo le scale proprio in quel momento, vedesse l’assassino nell’attimo fatale. A quel punto bisognava ammazzarne due ammesso che tutto andasse in porto. Questo duplice ammazzamento avrebbe creato molti problemi anche per il dopo: un solo morto si può anche nascondere, ma due… In effetti anche loro avevano sicuramente calcolato e supposto di gettare il corpo di Codro in mare piuttosto che lasciarlo occultato nella stanza. Bisognava però aspettare che la mareggiata, ipotesi ormai alquanto probabile visto il peggioramento costante del tempo, fosse arrivata fino ai piedi dell’albergo. Dopo di che tutto era ipotizzabile una volta scomparso il corpo misteriosamente; suicidio, annegamento serale sopraffatto dalle onde gigantesche, semplice inspiegabile fuga e scomparsa via terra. Se n’era andato così come era venuto. E poi bisognava pur aprirla quella porta: e se il morituro ribelle avesse messo una poltrona davanti, magari per caso o a proposito, per bloccarla? Tutto era possibile. In realtà la crudele soluzione, la più sicura era a portata di mano, come già detto molto più facile di quello che potesse sembrare.
Neanche a farlo apposta il suo destino dipendeva proprio dalla visione umida e tambureggiante delle onde serali. Non era difficile accorgersi che tutte le sere stava incollato dentro la stanza a godersi lo spettacolo, ma con la finestra aperta finché la luce e l’umidità glielo permettevano. Da questo punto di vista, quello più probabile, il falso fantoccio sistemato al centro della stanza era la soluzione vincente per fare da finto bersaglio. A farla breve siccome le terrazze erano comunicanti, separate solo da una vetrata messa per sbiego, scavalcarla per un tipo agile e atletico, come di solito sono gli assassini, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Bastava sporgersi, superare la barriera e penetrare nell’altra terrazza, quella della vittima, affacciarsi alla porta della stanza, individuare la sagoma nella semioscurità, senza sapere che era un fantoccio messo lì apposta, sparare una prima volta; infine entrare decisamente nella camera per dargli il colpo di grazia sulla testa. Questo gli assassini professionisti lo fanno sempre, non poteva esserci ombra di dubbio. Sembrava facile, messa in questi termini, ma il killer non aveva fatto i conti con il contro piano di chi non voleva assolutamente lasciarci la pelle. Infatti bisognava aspettare che, dopo aver centrato inutilmente il fantoccio, entrasse nella stanza un istante prima del secondo colpo definitivo. A quel punto bastava che il killer facesse due passi, solo due, per dargli da dietro la porta, un gran colpo mortale sulla testa, magari evitando se possibile un eccessivo spargimento di sangue, sempre fastidioso da pulire. All’occasione Codro aveva già individuato una grossa bottiglia di spumante vuota abbandonata da qualche parte, apparentemente senza che il personale addetto alle pulizie se ne fosse accorto. Avvolta in un asciugamano opportuno sarebbe stata mortale senza essere troppo devastante per il cranio del del malcapitato. Dopo di che rubargli la pistola, dargli a lui un vero e definitivo colpo di grazia, scaraventarlo dalla terrazza giù giù dove batteva la risacca, sarebbe diventato un gioco da ragazzi. Naturalmente tutto questo sperando che nessuno vedesse e che il mare se lo portasse via al largo e alla svelta. Bisognava averci quel gran colpo di fortuna che quella sera ci fosse mare grosso. Messa in questi termini poteva essere una soluzione apparentemente perfetta. Il punto debole di questa mossa consisteva nel fatto che bisognava assolutamente sapere quando si sarebbe verificata temporalmente, quando il nemico avrebbe agito. Il nostro turista coatto non poteva certo stare serate intere ad aspettare con la terrazza aperta, senza chiudere occhio, magari col rischio di prendersi un potente raffreddore. Dunque la soluzione del problema consisteva nel sapere in anticipo il momento opportuno. Data la mossa ecco la contromossa; peccato che solo uno dei sarebbe andato al creatore: quale dei due? Bisognava quindi aspettare che accadesse qualcosa… che il nemico si manifestasse e si tradisse. E così fu. Non erano passati nemmeno tre giorni che la ragazza gli lasciò il secondo biglietto sotto il cuscino: come al solito era scritto mezzo in francese e mezzo in un italiano sgrammaticato, ma il messaggio, breve e molto inquietante, era inequivocabile. Una volta tradotto diceva così:- Ti hanno scoperto ancora una volta, sono già qua, hanno praticamente corrotto tutto l’albergo. Anch’io ho dovuto far finta di stare al gioco. Stanno cercando il modo di raggiungere la camera adiacente e presto ci arriveranno. Sta in guardia e in bocca al lupo. Potrei chiamare la polizia ma pare che hanno corrotto anche loro, qui non è tanto difficile! Ma se lo facessi forse ammazzano anche me… Che Allah ti aiuti e magari anche Gesù, chissà magari stavolta non si mettano d’accordo…hai proprio bisogno di una santa alleanza. Purtroppo il suo credito religioso era così scarso che non potevo contare su nessuno dei due.
Quella notte fece un sogno incredibile. Si trovava in un tribunale con l’accusa terribile di aver sedotto e circuito un gran numero di donne comunque inizialmente consenzienti. Questo perché se copuli con una donna senza amarla si ritiene che sia sempre una forma di subdola violenza e manipolazione. E infatti quello era un tribunale molto speciale. L’imputato era vestito come Dionisio, il Dionisio sofferente di Caravaggio, mezzo nudo con i famosi pampini che circondavano la testa come la corona di spine di Gesù. La corte giudicante era tutta fatto da Baccanti, cioè dalle prime feroci femministe della storia. Al che si capisce che il verdetto era già stato emesso in partenza e il colpevole rischiava di li a poco di essere smembrato e divorato ancora vivo da quelle tenere boccucce di tigri e di leonesse affamate. Tuttavia il dio bambino, che si faceva anche da avvocato difensore, auspicava una pena attutita, sperava almeno una morte più dolce confidando in un singulto di maternage e femminilità compassionevole, da parte di quelle implacabili accusatrici cannibalesche. Per prima cosa lessero l’accusa:
Si ritiene che l’imputato abbia vergognosamente strumentalizzato sessualmente, per il suo unico piacere maschile, un numero imprecisato e considerevole di donne: che possedendole senza amore le abbai per cosi dire violentate e manipolate, sia pure consenzienti, facendo credere chissà quale amore e fedeltà sempre rinnegate e tradite. Si ritiene che possieda ed eserciti dei subdoli poteri esoterici di ipnosi voluttuosa sulle stesse, impalmandole con la sua arte seduttiva e indubbia intelligenza nonché parlantina sofistica erotica. Si ritiene che abbia sempre visto nella donna solo l’aspetto carnale di puro desiderio sessuale, magari focalizzato solo su alcune parti precise del loro corpo benedetto, incapace di vedere la totalità della persona umana. In questo senso non solo le ha violentate ma mutilate sia pure in modo ideologico e metafisico: rischia però allo stato crudo una mutilazione e castrazione di ben altro genere. Si ritiene pertanto che l’imputato, qualunque sia la sua difesa, risulti comunque colpevole e che possa sperare solo in una morte meno terribile come per esempio sparato in testa mentre dorme in una camera d’albergo in quel di Casablanca. Questo sempre nel tentativo inutile e disperato di sfuggire alla giusta pena di tutte le donne del mondo, così esemplarmente rappresentate come esempio di giustizia perfetta e vendicativa da parte di noi medesime.
A questo punto dissero all’imputato di alzarsi e di proferire la sua prima e ultima arringa difensiva. Si aspettava di fare una lunga prolusione ma venne spesso interrotto a mo di battibecco. A questo punto si alzò, ma siccome era completamente nudo, gli era caduto lo straccio che copriva le vergogne, adornato solo con dei pampini, siccome le Baccanti medesime erano discinte, anche il suo pene si alzò a dismisura. Con la coda dell’occhio vide che la maggior parte si era incazzata ancora di più, non tutte però… Così fu costretto a parlare tenendosi e coprendosi con le mani l’arma virile, il membro patriarcale, se vogliamo chiamarlo così.
Per prima cosa, disse, voglio precisare questo : in realtà non ho mai violentato ne ucciso , quindi non merito la pena di morte sotto nessuna forma…Seguì un tumulto.
Qualcuna dal gruppo esagitato rispose così:
Allora non hai capito. La morte e la tortura spirituale è peggio di quella fisica, soprattutto se premeditata, organizzata, reiterata. Insomma risulta un crimine gravissimo. Te lo ripeto. Tu hai fatto a queste donne una tortura sessuale e spirituale con gravissimi effetti sulle loro psiche e grande consumo di ghiandole oculari. Tutto questo dolore non deve restare impunito.
Vostro onore non credo affatto che si tratti di tortura sessuale; ho sempre fatto raggiungere a tutte un orgasmo garantito e prolungato con grande soddisfazione di entrambi. In quanto al dolore spirituale posso dire che :
– in realtà anch’io l’ho provato anche se meno intenso
– ho sempre cercato di far capire alle donne le mie reali intenzioni, dividendo il mio approccio in tre modi: amore e fedeltà assoluta, tromba amico serio, trombamico per un gioco solo sessuale. Il guaio è che dopo si innamoravano sempre e comunque, tale per cui dopo soffrivano tantissimo e magari volevano crudelmente vendicarsi su di me, come vorreste fare voi ora. Anzi mi domando se voi siete le mie ex travestite da baccanti… Per la donna italiana la penetrazione è quasi sempre (ma forse sempre) sinonimo di grande passione , fedeltà garantita e amore indissolubile. Insomma vale la regola uno per sempre. Ma questo si capisce è la fine preventivata del libero amore. Io invece penso che quando un rapporto finisce non può essere sempre colpa di uno solo a prescindere…
Comunque cari giudici femmine ci sono molte cose che non mi tornano. Voi come Baccanti dovreste stare dalla parte della pulsione sessuale allo stato puro, allo stato primitivo, addirittura quello delle orge cannibalesche e adesso invece mi fate il processo; è solo una scusa per mangiarmi…povero me.
E poi scusate guardate che già in una delle mie infinite vite precedenti quando mi chiamavo Codro vi siete già vendicate e me ne avete fate passare di tutti i colori:
-mi avete distrutto la mia barca veneziana ben sapendo che era la cosa più preziosa per me
– avete cercato di circuirmi mandandomi avanti bellissime ragazze procaci, le quali facevano finta di adescarmi e poi quando mi davano un appuntamento all’ultimo momento non venivano mai. All’inizio non capivo ma poi quando la faccenda si è ripetuta quattro o cinque volte ho capito che c’era di mezzo il vostro zampino…
– mi avete messo contro gli ambienti di lavoro facendomi passare per indemoniato, e in effetti se ci pensi Dionisio, satiro con le corna, era l’antesignano del demonio votato a piaceri addirittura bestiali…Ma io al massimo ero un diavoletto uscito dalle pagine del Boccaccio e di Casanova. Mi avete distruggere due volte il lunotto della macchina e poi l’avete fatta bruciare, insomma avete cercato in tutti i modi di farmi suicidare ma non ci siete riuscite…Perciò vi dico se proprio devo morire almeno scegliete un metodo più dolce come la cicuta di Socrate visto che anche lui era un po satiro…
E infatti è così, morirai proprio così, ma prima dovrai diventare omosessuale come lui mio caro. Prima infatti ti facciamo tornare nel mondo normale, ma li tutte le donne ti vedranno come un depravato patriarcale, non avrai più nessuna donna, tutti ti eviteranno e ti guarderanno storto, resterai solo e alla fine come Dionisio diventerai un transgender travestito o chissà che altro. Questa per te sarà già la massima punizione, essere penetrato e tradito ogni volta come una donna, vedrai alla fine la morte col veleno ti sarà più dolce. A quel punto però Dionisio alias Codro sbuffò:
Ma voi non siete affatto delle vere baccanti, voi in realtà siete delle suore cristianeggianti e super platoniche del sentimentalismo assoluto anti pulsionale, questo è il vero motivo perché mi odiate così tanto, voi siete le eroine della controrivoluzione sessuale….Per voi l’amore non è soprattutto l’incontro tra due corpi desideranti ma la sublimazione del sentimento assoluto nella res cogitans ; come Cartesio il corpo ve lo siete dimenticato a meno che non sia di una altra femmina.
A quel punto incredibile a dirsi si levarono effettivamente le maschere e si mostrarono per quello che erano, nemiche del corpo maschile e amanti di quello femminile dato che le suore si sa, sono state storicamente il secondo gruppo lesbico della storia dopo quello di Saffo. Così finì il sogno, più che un tribunale la fine di un concilio infernale. Quando Codro si svegliò ne ebbe una impressione talmente forte che incominciò a scrivere una poesia dedicata proprio al dio della libertà e trasfigurazione sessuale, anche se a lui andava bene solo il desiderio al femminile. Diventare pederasta come Socrate non gli era affatto consono, anche se l’inventore della razionalità moralistica molto probabilmente con i ragazzini era solo attivo. In quanto alla cicuta, o meglio alla bile, gliela avevano già fatta bere a tonnellate ed era arrivato a questo punto della storia proprio perché era sopravvissuto.
Dunque bisognava scoprire quando i killer sarebbero arrivati alla camera 69, quella prima della sua. Si ricordò, avendo fatto nella sua breve vita anche il portiere d’albergo, che molte camere hanno delle porte comunicanti, coperte e nascoste da una semplice carta da parati . A prima vista non si vedono, ma una volta individuate è facile, tolta la carta, aprire anche la porta. Ma a lui bastava solo ascoltare e magari spiare dentro alla camera avversaria. Un’azione così riprovevole si poteva anche comprendere e perdonare quando di mezzo ne va della vita; anche se sappiamo che Diana con le sue infallibile frecce, per un cosa del genere non avrebbe risparmiato la vita a nessuno che avesse osato vederla nuda.
Incominciando l’ispezione della camera, fu un gioco da ragazzi trovare sul fondo del piccolo bagno, una porta nascosta, in prima battuta da un grande e vetusto specchio in parte rotto, e infine da una vecchia carta da parati. Per spostarlo bastava levare agevolmente alcune viti e il gioco era fatto: in effetti dietro la parete era ricoperta da una carta che però non nascondeva la inconfondibile silhouette di un’altra porta sottostante. In quanto alla carta bastava trovare il punto corrispondente alla toppa della chiave, farci un piccolo buco sperando che la stessa fosse disinserita, altrimenti non si sarebbe visto niente e tutto sarebbe stato inutile. Inoltre era evidente che la porta clandestina dava direttamente nel bagno dell’altra camera.
Alla fine arrivò puntuale un ultimo preziosissimo messaggio lasciato sotto il cuscino da parte della sua confidente segreta:- Arrivano stasera o al massimo domani. Preparati, non so come, ma preparati. Fammi sapere se vuoi fuggire ancora una volta, ti aiuterò per quello che potrò. Tuttavia Codro rifiutò subito questa soluzione con tutte le sue forze e senza pensarci due volte. Se lo avesse fatto sarebbe veramente diventato per sempre come l’ebreo errante, come il capro espiatorio dinamico universale di qualcuno che lo rincorreva sempre come se questo fosse l’unico vero scopo della vita. Sarebbe diventato come Dionisio redivivo nel mondo moderno inseguito, ormai ne era sicuro, da una cospirazione di donne assatanate con la bava alla bocca. In pratica ovunque andasse doveva fuggire nella speranza di non essere sbranato sia per quello che aveva fatto sessualmente, che per quello che non aveva fatto sessualmente: sia per quelle donne che aveva prese che per quelle che aveva rifiutato. Perché quelle che sono state rifiutate in partenza diventano a volte più feroci di quelle che almeno hanno goduto. Ripensava alla famosa frase: Se prendi una donna senza amarla è come se tu l’avessi violentata. Adesso rabbrividiva riflettendo su questo pensiero così assurdo e soprattutto così anti pulsionale come uno dei probabili motivi della sua persecuzione e della sua condanna a morte; ma era una follia tipica del peggior sentimentalismo femminile, soprattutto cristiano, magari con l’aggravante del rinforzo skinneriano catto-comunista. Vale a dire quella cosa che, dopo Freud, aborriva di più di tutto nella vita, cioè pensare al sesso in quanto sesso come a una attività svilente e degradante, mentre è proprio la fine dell’amore inteso come assoluto che porta a un infinito dolore. Con un piccolo fuoco ti puoi scaldare e se va male scottare, al massimo ti metti la crema e un cerotto; ma con un grande fuoco finisci al rogo e poi raccogli la cenere. Mentre semmai quello che è veramente avvilente e mortificante, era ricoprire e soffocare l’amore con tutte le contorsioni e perversioni sentimentali possibili, cosa di cui le donne hanno una propensione geniale. Ecco un cattivo affare dove sembra che le donne, come al solito più intelligenti, sono più brave e convincenti degli uomini. In effetti all’inizio della sua carriera amorosa non si era affatto comportato come il dio avventuriero ma come un bravo ragazzo: aveva pure avuto tre grandi amori totali con fedeltà assoluta giurata e mantenuta per anni e anni. Purtroppo erano finiti malissimo tutti e tre al punto che adesso col senno di poi si domandava come avesse potuto salvare la ragione e addirittura la pelle da tanto dolore sfibrante ne aveva ricavato. Che senso avrebbe avuto addossare ancora una volta tutta la colpa a lui? La colpa era di tutte e due al 50% punto e basta. Ma perché le donne, ancora oggi, sentono così poco la pulsione o addirittura non la sentono affatto alla faccia della passata rivoluzione sessuale? Meglio ancora, la sentivano in illo tempore; infatti è assodato che le donne primitive la sentivano eccome: basti pensare alle baccanti che addirittura Dionisio se lo mangiavano proprio perché era il dio della pulsione, in quanto tale così forte da essere esplosiva e incontrollabile, dove divorarsi sessualmente o divorarsi tuot court diventava la stessa cosa. A quel tempo non lo mangiavano per distruggerlo e ridicolizzarlo, bensì coerentemente con la mentalità super primitiva e mitica, per assumerlo e assimilarlo in quanto divinità. In un certo senso nel suo annientamento stava anche la sua valorizzazione suprema:lo sbranamento come indiamento. Fagocitare il Dio per diventare come lui. Tuttavia questo avveniva in modo così cruento e selvaggio da far pensare che fosse anche la prima terribile vendetta femminista della storia: non a caso le baccanti erano soprattutto schiave (come facessero a girare libere di fare le orgie sanguinarie non si è capito ancora…). Così mangiavano il povero Dionisio nel classico trionfo della ambivalenza, per troppo amore ma forse anche per troppo odio represso: per tutto quello che gli uomini le avevano già fatto schiavizzandole, massacrandole di lavoro, di parto, infine violentandole e prostituendole ecc. Ecco il primo celeberrimo esempio (ma non è l’unico) di comunione col dio tramite la fagocitazione del suo corpo e del suo sangue. Ci troviamo di fronte evidentemente alla prima base e modello per un’altra forma ben diversa di deificazione evidentemente cristiana, questa volta massimamente etica, che arriverà molto più tardi mantenendo però la stessa dimensione settaria e lo stesso paradigma per così dire alimentare della carne e del vino. Prima però avrà bisogno di un altro passaggio intermedio all’interno dello stesso paganesimo attraverso il trasformismo orfico. In esso la identificazione col dio non è più la comunione panica con tutte le tipologie di sessualità e con tutte le forme della natura, ma bensì attraverso la purificazione eroica in vita tramite il dolore e la castità verso un agognato premio finale di sofferta e meritata eternità. In questo senso Orfeo è veramente il gemello diverso di Dionisio e così infatti verranno vissuti e interpretati. Solo che il primo verrà perseguitato fino alla estinzione e il secondo sempre più diffuso fornirà il trampolino di lancio in preparazione alla mentalità e sensibilità cristiana. In tutti i casi la divinizzazione di Orfeo e di Gesù si realizza sopratutto tramite l’assunzione sublimata di simboli, quindi non più attraverso un rito esplicitamente sanguinario, così carnale e materiale come quella del suo archetipo primitivo. Tuttavia non fino al punto di sconfermare del tutto la scenografia simbolica e linguistica, mantenendola nonostante tutto nel suo senso primitivo e letterale. Infatti il sacerdote recita ancora e chissà perché, papale papale, la famosa frase rituale:- Questo è il vero corpo e il vero sangue di Cristo. Il vero sangue…il vero corpo che fu ancestralmente quello di Dionisio. In realtà Dionisio veniva divorato anche perché questo era un modo per tenerlo ancora in vita dentro di se, in attesa che risorgesse del tutto come rappresentante della primavera, cioè della continua resurrezione ed eternità della natura contro la morte rappresentata dall’inverno. Anche per Gesù, assumendolo sotto forma di ostia, si trattava non solo di una forma di indiamento ma di resurrezione dalla morte. Nel caso del cristianesimo si mantiene la fagocitazione come assunzione divina, cancellando tuttavia ogni riferimento sessuale e con esso rendendo tabù la forza pulsionale così ben rappresentata dalla rinascita primaverile. Tuttavia questa forza sia maschile e ancor più femminile, ancora adesso la si può riscontrare in molti popoli rimasti per così dire primitivi, prima che i missionari non li castrino definitivamente col plagio sacro del loro amoroso abbraccio spiritualista.
C’è chi la infibulazione la fa ancora con le forbici e chi l’ha fatta per duemila anni, fino all’altro ieri, con il trancetto non meno tagliente e devastante del super io sessualmente ultra repressivo.
Soprattutto l’ha fatta fino a pochi decenni fa; e se non la fa più è perché qualcuno gli ha strappato il trancetto di mano disinnescando la parte peggiore e più nociva di una famigerata repressione sessuale. Ecco la parte migliore del 68 che non centra niente col comunismo. Se tu vai a leggere il giornali femminili anni 50 e 60 e addirittura 70, le lettere delle donne parlano disperate per lo più del dramma della frigidità. Certo hanno la clitoride intatta ma è come se gliela avessero tagliata. Non è questo per fortuna il problema delle donne di Capo Verde che, per la disperazione dei missionari, hanno molti mariti e relativa prole senza tanti problemi di paternità. Così fare l’amore solo con donne verso cui senti un forte trasporto sentimentale, sarebbe stato come rinunciare a mangiare una pastasciutta, a meno che non le ami dal profondo del cuore quelle tagliatelle, pardon volevo dire dal profondo delle viscere e delle papille gustative. Sicché se non ami profondamente la pastasciutta non la potresti nemmeno mangiare. Sarebbe stata una scelta per morir di fame ovviamente, eroticamente parlando, oppure per fare una grande dieta repressiva coatta, rinunciando al sesso in attesa del vero grande amore. Sarebbe stato il trionfo anti pulsionale della pastasciutta amorosa e sentimentale. Ecco questo era la cosa più importante: ossia l’attesa di un grande amore a cui dedicarsi completamente magari per poi rinunciare pienamente a se stessi. In tutti i casi l’ultima riflessione di Codro su questo argomento tra se e se fu questa:- Se veramente sono vittima di una specie di complotto femminista non si tratta certo di Baccanti ma di suore assatanate che lo rimproveravano e condannavano proprio del peccato e della colpa più grande nell’ottica cristiana femminile: di aver cercato si soddisfare la pulsione per quanto possibile strumentalizzando la donna. In realtà la strumentalizzazione è reciproca e tutte e due sono oggetti sessuali. Se qualcuno non se ne era accorto non era tutta colpa sua. Tuttavia era anche consapevole di aver creato delle sofferenze ( a quel punto le sue altruisticamente non gli importavano) e questo incominciava a pesargli parecchio. Del resto è normale che di fronte al pericolo di morte imminente emergessero tutti i sensi di colpa sopiti e repressi.
Mentre Codro ripensava a tutte queste cose rivangando il mito di Dionisio nei suoi ricordi liceali, il suo inconscio gli fece ricordare improvvisamente un episodio della sua infanzia. La sua generazione era stata la prima a essere ipnotizzata dalla televisione; ma lui bambino così sensibile e suggestionabile, lo era stato in modo particolare: aveva la fissa che tutto quello che lo colpiva sullo schermo prima o poi si sarebbe ripetuto anche nella vita. A farla breve si ricordò di una scenetta di Ridolini, il quale inseguito da decine di donne infuriate, una volta raggiunto alla periferia di una città moderna, veniva letteralmente fatto a pezzettini come un pupazzo di stoffa. Rimase molto impressionato da questa scena soprattutto perché in realtà la riviveva nella sua stessa famiglia, dove non solo veniva metaforicamente fatto a pezzi lui medesimo che era piccolo, ma persino la stessa sorte toccava al padre che pure era un gigante. Un gigante tuttavia dai piedi di argilla di fronte allo strapotere del clan femminile familiare. Se veniva fatto a pezzi quello più grande figuriamoci quello più piccolo. Pensò così che questo sarebbe stato il suo destino come una specie di profezia che finalmente si auto avverava. E adesso veramente si stava verificando e il destino bussava per davvero alla sua porta. La donna che gli dava la caccia come un infaticabile segugio e che lo aveva scovato in albergo probabilmente non agiva solo per conto suo ma ideologicamente, ovvero nella sua ideologia, pazza e fascista come tutte le ideologie, a nome dell’intero genere femminile, neanche lui fosse stato il più grande mostro della terra. Si è vero, aveva avuto relazioni con molte donne ma si sentiva più don Giovanni che Dionisio, dato che non gli era mai piaciuto essere anche una preda o avere tutte le varie tendenze sessuali con tutte le sfumature erotiche dello scatenato e multiforme Dio greco. A Crodo piacevano solo le donne e per un motivo facile e ben preciso: la straordinaria bellezza a particolarità di quei corpi, che anche quando sono super erotici sembrano quelli di un angelo piuttosto che di un essere terrestre solo carnale e sensuale. Soltanto le prostitute o certe pornostar hanno una forma di erotismo esclusivamente carnale e materialistico fino al punto di esprimere una dimensione volgare non sempre piacevole. Ma le altre bellissime creature sembrano delle dee e fare l’amore con delle dee è un’esperienza trascendentale. Le sue prime ragazze adolescenti erano così belle con i visi ancora da bambine, i corpi da cerbiatta e con i seni appuntiti e meravigliosi della giovinezza che restava incantato a guardarle come ipnotizzato: quasi non volesse che si spogliassero, perché persino la biancheria intima splendeva attaccata a quei corpi quasi a proteggere religiosamente la preziosa intimità del loro magnifico mistero. Ma quando questo si rivelava in tutto il suo fulgore era un tripudio agostiniano per gli occhi e per il cuore ebbro di passione; quasi quasi aveva paura di sciupare quei fiori delicati nella imminente frenesia dell’amore. Anche Moana era stata così, un angelo nudo caduto sulla terra. Così qualsiasi gesto erotico facesse con gli uomini, restava come la madonna cristiana e la Venere pagana, ossia entrambi sempre vergini.
Non si vergognava per aver obbedito a un desiderio irrefrenabile, sempre eseguito coi giusti modi e con le giuste maniere, pur inizialmente mancante di tutto l’innamoramento necessario. Ecco di nuovo la grande colpa imperdonabile. Ma come si fa ad essere veramente innamorati se nemmeno ci si conosce se solamente ci si desidera perché la carne freme. Sarebbe stato come condannare un lupo che va a caccia, sempre che non si rientri in quella assurda ottica cristiana per cui il sesso è evitabile, anzi se lo eviti magari è anche meglio. Al massimo una bella sega e via, un piccolo peccatuccio veniale, piuttosto che una penetrazione eseguita più per conato naturale che per amore: che parola grossa mamma mia! Si sentiva in colpa per le lacrime fatte versare, quello si. Sentiva così che questo pensiero, come se non ne avesse altri a sufficienza, rischiava di diventare sempre più pressante, togliendoli la forza e la giusta lucidità e concentrazione per la guerra che si apprestava a fare. Così se ne andò a letto con la testa e il cuore pieno di fole e brutti presentimenti. Infatti si addormentò subito profondamente ma di un sonno cupo e penoso senza riposo. Si sognò che stava incredibilmente a letto con sua sorella gemella completamente nuda che gli cantava: Nun è peccato… sul serio credimi non è peccato…Tuttavia alla mattina si svegliò più caricato che mai.
Ormai non gli restava altro che mettere in opera il suo piano di resistere e contrattaccare a tutti i costi. Si sa che l’attacco è la miglior difesa. Non gli restava altro che tender l’occhio e l’orecchio appiccicato alla porta clandestina, sperando di carpire altre informazioni uditive e visive dei suoi aspiranti assassini. Del resto non poteva essere uno solo, glielo avevano già detto, era ovvio che erano almeno due, si trattava di un complotto.
In effetti verso le tre di notte percepì qualcosa e dal forellino uscì come un fioco raggio di luce: qualcuno era entrato effettivamente nella camera. Ma chi erano, e c’entravano poi nella sua storia per davvero? Con quale ruolo? Subito la grande circospezione e attenzione nel non fare rumore da parte dei sospettati gli confermò che forse aveva ragione: nessuno entra in una camera d’albergo a notte fonda, dopo una presunta notte di baldoria estiva, senza fare un minimo di rumore….a meno che non si trattasse di persone educatissime o piuttosto maleintezionate. Dopo qualche attimo entrarono nel suo raggio visivo e si accorse che effettivamente erano in due : un uomo e una donna. L’aveva capito osservando le tipiche scarpe a spillo con la gonna. Tutto questo perché non si riusciva a vedere più in su dell’ombelico.
Sbirciava con gran fatica come delle ombre che si muovevano furtivamente a gran velocità. La luce proveniva da una stanza sola e lontano dal corridoio di entrata, che poi era lo stesso che portava in bagno. Questa stanza era probabilmente la “loro” camera da letto. Invece dalla sua finestra ancora aperta, affacciandosi nella notte fuori del balcone, si intravedeva una variazione del solito spettacolo. Questa volta le onde sullo sfondo sembravano come degli enormi gessetti che graffiavano una lavagna sconfinata, mentre una enorme mano invisibile cancellava subito le loro tracce. Osservando la finestra dei nemici non si intravedeva quasi nulla, se non dei riflessi che uscivano dalle schegge della tapparella appena srotolata e alquanto bucherellata. A questo punto capì che la grande vicinanza delle due finestre limitrofe e la loro tapparella, quasi completamente chiusa, gli offriva una grande opportunità; passare sul davanzale della loro balconata senza essere visto dall’interno. Soprattutto quella tapparella lenta e rumorosa, essendo vecchia e a manovella, ci metteva parecchio a sollevarsi tutta, lasciandoli quindi eventualmente il tempo di scappare agevolmente. Tutto il pericolo consisteva nel non cader di sotto, anche se forse i tavolini avrebbero attutito il colpo. Non restava che abbandonare la prima postazione per dirigersi verso la terrazza all’aperto.
Le cose per fortuna andarono per il meglio. Infatti si aggrappò con facilità alla parete che divideva le due finestre e con una mossa acrobatica riuscì a passare dall’altra parte senza che nessuno lo vedesse: in pratica fece lui quello che avrebbe dovuto fare l’assassino nell’atto finale della sceneggiata mortale. Del resto l’oscurità era tale e l’hotel ormai così deserto, che ben difficilmente qualcuno avrebbe notato quella manovra ardimentosa e quella posizione cosi scomoda e pericolante. Già perché quella fatidica sera la luna era molto oscurata. Dunque si trovò addossato alla tapparella enorme dalla parte esterna, ed essendo bucata proprio in un punto favorevole, poté vedere con facilità quello che accadeva dentro. Inizialmente vide solo un uomo uomo di colore gigantesco che portava una camicia a fiori e pantaloni blu elettrico. In testa portava un cappello giallo simile a una coppola, inforcava occhiali bianchi con stanghette rosse. Si diresse indietro verso la porta di ingresso dove evidentemente c’erano dei bagagli. Infatti tornò con una valigetta nera che posò sul divano. Subito dopo la aprì e neanche a farlo apposta estrasse una pistola affusolata dotata di un lungo silenziatore. Fece per finta il gesto di sparare un po di qua un po di la e persino in direzione della finestra, dove quell’altro disgraziato se ne stava acquattato col cuore in gola: in quel momento vistosi puntato il cannone a momenti se la fece addosso come nella migliore tradizione del Boccaccio, altro grande amico di Dionisio. Questo fatto fece sudare freddo e venire un brivido sulla schiena dell’equilibrista appollaiato. Subito dopo sentì parlare in inglese la donna che ancora stava nel bagno, nello stesso tempo un soffio di vento gli portò nelle narici il suo intensissimo profumo. A quel punto ebbe una reazione emotiva del tutto incontrollabile e completamente edipica, ossia una erezione gigantesca. Provò una invidia terribile per il negro colossale e per la sua bianca preda.
Era sicuramente la donna di cui innamorarsi subito e necessariamene: doveva essere bellissima, non poteva essere altrimenti, doveva solo desiderarla immediatamente anche se al momento l’aveva vista solo a metà. Incredibilmente ebbe la sensazione, stranissima e assurda basandosi solo su di una fantasia, all’inizio impalpabile e poi sempre più forte, di averla già conosciuta, di più, di averla già posseduta, insomma di essersene già innamorato e disamorato dolorosamente molto tempo prima. A volte le cause agiscono potentemente anche quando sembra che non ci siano. Tale per cui adesso il sentimento infuocato del desiderio gli risultava doloroso e ambiguo, anche perché ora era sporcato da un odio e da una paura lontana che tornavano misteriosamente a rinnovarsi chissà come e per quale motivo… Forse quella illustre sconosciuta era stata una donna del suo passato europeo? Possibile che tutto questo non fosse altro che frutto dell’evidente stato di estrema paranoia in cui si trovava? Insomma la vera identità della ragazza corrispondeva al vero scopo della loro presenza nell’albergo in quel dato giorno e in quella data ora della notte.
In effetti i due si muovevano con fare molto circospetto e silenzioso , apparentemente in perfetta armonia e sincronia di movimenti felpati; il fatto stesso che si intendessero più che altro a gesti, da parte di tipi che in altre occasioni non avrebbero certo usato simili esagerate precauzioni, lo convinse sempre di più che erano proprio loro. Lo scopo, dopo aver visto la pistola, sembrava inequivocabile: ucciderlo. Ma ecco che subito si inquietò pensando che, per difendersi e salvarsi, avrebbe dovuto uccidere non solo il negro, ma ovviamente anche lei: evitarlo sarebbe stato molto difficile se non impossibile. In realtà sentiva una stranissima e inquietante forma di ambiguità verso i suoi confronti: la sua ritrosia nell’uccidere una donna, si capovolgeva in un odio fastidiosissimo, nel ritrovarsela addirittura complice del suo nero carnefice. Tuttavia a causa della sua immaginata e immaginifica bellezza non gli riusciva di desiderare seriamente di finirla. Chi era veramente e che ruolo aveva nel complotto? Certo la desiderava ancora, tanto era il fascino che la bellezza femminile esercitava sui suoi sensi sempre esagitati e surriscaldati; ma c’era di mezzo anche il suo famoso sesto senso, che già tante altre volte lo aveva salvato e che ora aveva lanciato un doppio allarme rosso. Il senso del pericolo veniva dal presente ma anche si affacciava direttamente sulla finestra del passato. Il fatto è che lei, anche se l’aveva vista solo di spalle, evidenziava alcuni tratti che gli ricordavano una certa persona: l’altezza , le gambe affusolate, il colore dei capelli, il modo di muoversi, in definitiva l’aura che spandeva. Tutto questo puzzava di mito e di assoluto, dimenticando che l’assoluto è il mito e il mito è la morte. Probabilmente anche questa volta, come in tutti gli amori finiti tragicamente era accaduto qualcosa di simile, eros kai thanatos, ma come poteva bastare a motivare la partecipazione a un complotto omicida? Quale motivazione omicida sembrava adeguata anche per la donna la pazza? Quindi le sue non potevano essere in realtà che supposizioni, queste si di un uomo che stava perdendo un po la ragione a causa di uno stress troppo forte. Era forse anche il bisogno di trovare rifugio e conforto in un ricordo lontano. Se uno proprio deve morire almeno vorrebbe sapere perché. Mentre se ne stava attaccato alla tapparella, i due nel frattempo si erano spogliati completamente. Quel nero gigantesco e dalla faccia patibolare, tipo pappone, era tatuato dappertutto; non riusciva a vedere bene i disegni, ma erano tutti a inchiostro verde pisello e rosso pomodoro che si confondevano sulla pelle nera e sudata, producendo strani riflessi. La donna invece non riusciva ancora a vederla in viso e quindi a valutarne la bellezza, l’età: insomma a capire chi dannatamente fosse. Questo perché indossava solo dei vistosi occhiali da sole e un foulard alla islamica che le copriva non solo la testa ma parte del viso. Certo vederla tutta nuda con gli occhialoni e con quel gran foulard faceva ancora più effetto. Inoltre se ne stava un po lontana, in un posto dove non c’era molta luce come nel salottino vicino alla finestra, dove armeggiava il bellimbusto. Certo da quello che si vedeva era rossa di capelli, alta slanciata, dai grandi seni ondeggianti a pera; ma soprattutto era rossa anche li sotto. La cosa che pungeva Codro di più non era la l’imminenza del pericolo, ma ancora una volta un sentimento di invidia e gelosia per quello che il negro maledetto presumibilmente stava per fare , prima di tentare di ucciderlo, cioè possedere la donna in tutti i modi possibili e immaginabili con amore o senza amore. In quanto alla sua segreta identità, in base al suo teorema, cioè di una vendetta privata a sfondo sessuale che veniva da lontano, questo lo turbava molto; ma non restava che prestare attenzione alle altre parti del suo corpo , financo ai minimi particolari sempre nel tentativo di riconoscerla. Certo per fare questo doveva ricorrere a tutti gli archivi erotici della sua memoria, a tutte le immagini rivisitate delle sue amanti, e la cosa non era così semplice giacché tutte le care figure si accavallavano come una specie di tourbillon. I due incominciarono a scambiarsi le solite effusioni iniziali, ma a un certo punto invece di venire al sodo, incominciarono inaspettatamente a parlarsi a bassissima voce, quasi sussurrandosi nell’orecchio; e anche questo era stranissimo. C’era qualcosa di ancora più importante di sesso e amore e questo era naturalmente la morte, la sua morte. Qualcosa di così importante da soprassedere momentaneamente e improvvisamente alla forte vampata di calore che aveva coinvolto entrambi (anzi a dire il vero tutte e tre …)
La fortuna lo aiutò : per trovare le sigarette nella borsetta abbandonata sulla fiancata del divano, la donna accese anche la luce sul tavolino e fumando in piedi avvinandosi alla finestra (senti l’odore del suo respiro, del suo profumo, della sua nicotina, della sua patatina …) gli mostrò, voltandosi improvvisamente del tutto, il suo enigmatico e doppiamente artistico, fondo schiena. Artistico non solo perché era bellissimo, ma perché aveva dei tatuaggi a mo di geroglifici. Nel frattempo incominciò a sentire improvvisamente tuoni e lampi dal largo segno inequivocabile che stava arrivando una tempesta. Chissà se sarebbe arrivata fino a loro e quando. Avvertì la sensazione netta che ormai il destino incombeva su di loro.
Nella parte superiore dove incominciava la schiena presentava queste tre immagini:
una donna incinta stilizzata, un cuore trafitto da un pugnale sanguinante e per finire addirittura un teschio. Vai a capire cosa potesse significare tutto ciò, ma sicuramente li stava la chiave del mistero o meglio del suo programmato omicidio. In tutti i casi quell’enigma non prometteva nulla di buono.
Gli era venuto il mal di testa solo per lo sforzo di vedere figuriamoci per interpretarlo; eppure si rese conto che li dentro ci stava il segreto incombente non solo della vita di lei, ma anche della sua. Mistero al momento impenetrabile anche se gli sarebbe seccato da morire, morire appunto senza poterlo svelare.
Molto probabilmente solo lei avrebbe potuto rivelarlo. Nel frattempo lei si mostrò del tutto perché si era levata le mutandine per recarsi al bagno. Codro capì che doveva cambiare immediatamente postazione e precipitarsi anche lui davanti alla toppa della sua toilette. All’inizio sentì soltanto il rumore della doccia ma poi la dea uscì e per un attimo, che sembrò una eternità, le mostrò il suo sesso sgocciolante in piena vista; ma facendo questo gli palesò, per così dire la sua più segreta carta di identità, e finalmente scoprì chi era. La ragazza non aveva solo i capelli rossi ma era di pelo rosso li sotto, anche se in parte depilata.
Inoltre incredibile a dirsi, cosa comunque rara anche per quel tipo di ragazze, aveva le piccole labbra assai sporgenti e di colore azzurro. Infatti le sue erano molto prominenti rispetto alle sorelle più grandi, di nome ma non di fatto, e per forza altrimenti non le avrebbe nemmeno viste, se fossero rimaste rinchiuse così piccoline nello scrigno umido e fatato della vita e del piacere. Invece queste erano sporgenti e vibravano, si sbandieravano come bandierine celesti della nazionale di calcio. Dunque quella meravigliosa visione durò poco, ma quanto bastò per permettere tramite la identificazione del sesso anche quello della persona . Ovviamente in tutta la sua vita aveva avuto una sola ragazza con quelle caratteristiche.
Del resto una volta un suo amico gli disse che il sesso di una donna, quando è significativo, è come una persona da tanto è identificativo del suo carattere e della sua psicologia. Lei dunque era Mirella Sangaetano, vale a dire niente popo di meno che la sua prima morosa di ben 30 anni prima. La scoperta fu sconvolgente in quanto subito tutto gli parve alla memoria come la bobina di un film improvvisamente accesa e srotolata; ma per quanto quella lontana vicenda adolescenziale apparisse in effetti strana e convulsa, non appariva di una gravità tale da giustificare quello che stava per accadere, cioè la sua condanna a morte prossima ventura. In effetti quella lontana vicenda non trovava nulla che giustificasse una così grave colpa da comportare una lunga persecuzione culminata con una condanna estrema; anzi proprio lui appariva già nel passato la vittima principale. Ora incredibilmente il suo sacrificio si riproponeva di nuovo, ma questa volta estremo. Le cose erano andate così.
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Il giovane Codro aveva conosciuto la ragazza mentre promuoveva e dirigeva la occupazione del Liceo Artistico della città.
Lei dunque era una aspirante pittrice e in effetti nel suo campo era brava. Aveva però un difetto terribile, che poi è riscontrato anche in altri pittori, parlava cioè pochissimo, come se la produzione delle immagini potesse sostituire in tutto e per tutto il suono delle parole. Soffriva di afasia, in parole povere, anche se non era completamente muta, era come se lo fosse, perché non parlava quasi mai. Nelle rare occasioni si esprimeva in monosillabi, al massimo con telegrafiche frasette stringatissime.
Codro invece all’opposto era un giovane politicante logorroico utopistico di prima categoria e conseguentemente con lei incominciò a trovarsi sempre più in difficoltà da tutti i punti di vista. Così in quel menage c’era chi parlava troppo e chi troppo poco. Non sapeva mai come la pensasse veramente, la sua enigmatica sfinge. In compenso con quella boccuccia che teneva quasi sempre chiusa, quando la apriva, dava certi baci così appassionati da cavarti l’anima; e non solo…
Era titubante a fare il servizietto come tutte le ragazze, soprattutto per paura del sapore troppo forte e misterioso del liquido maschile. Da questo punto di vista Codro aveva un ricordo bellissimo.
I due giovani amanti eravano al mare, località murazzi. Dopo le solite effusioni e leccatine stavano per venire entrambi. Allora lei prese il mio pene come se fosse stato un alambicco e depositò gli spruzzi trasparenti e lattiginosi su una piccola buca del cemento della diga. In poco tempo data la mia esuberanza giovanile, si riempì del tutto. Io la guardavo un po allarmato perché non capivo, fino a quando lei non si chinò e incominciò a lapparlo pian pianino: prima timidamente con la punta della lingua e poi razzolandolo del tutto. Io aspettavo il responso con ansietà, le dissi anche, saprà di cemento. Ma lei disse no, sa di te, come sei tu dolce e forte nello stesso tempo. Poi mi disse se ne avevo ancora ed io inebriato, la lasciai fare inginocchiata su di me fino all’esaurirsi delle mie forze.
Lei era così, le pause del suo silenzio li riempiva di fatti. Ma a Codro non bastava e alla lunga la situazione precipitò. Allora ebbe una idea che sembrò geniale e che invece si rivelò balzana e catastrofica. Le disse: Allora se hai tanta difficoltà a parlare fai dei disegni. Sperava in questo modo di dare una possibilità di rappresentazione e comunicazione ai loro dialoghi mancati. Lei fu di parola ma in modo tragico e terribile. Fece un ritratto, ma era la raffigurazione di un mostro. Il ragazzo pensava, aveva sperato che ne uscisse una prova d’amore, ma dovette amaramente ricredersi: in pratica disegnò un terribile vampiro. Guardò il quadro smarrito e non sapeva che pesci pigliare, perché comunque era pur sempre molto innamorato, anche se in modo ormai decisamente problematico. Poi qualcosa in lui ruppe gli indugi: senti le disse balbettando, se tu pensi questo di me, se mi raffiguri in questo modo mi domando che senso abbia che noi due stiamo ancora insieme, non ti pare?
Che ne dici? Ancora una volta lei rimase per interminabili minuti nel suo ostinato silenzio; alla fine però fece però una lacrimuccia. Mi strappò violentemente il foglio di mano, girò i tacchi e sparì senza nemmeno salutare, senza nemmeno l’ultimo bacio. Codro rimase esterefatto. Mi domandai cosa avevo sbagliato; se lei avesse ragione, se ero veramente un mostro come mi aveva dipinto? Se ne tornò a casa con la coda tra le gambe molto triste e sconcertato. Pensò che non l’avrebbe rivista mai più. Invece il destino aveva in serbo ben altre prove, però più drammatiche, e da ultimo a quanto pare, persino il rischio della resa finale e mortale in riva all’Africa.
Circa un anno dopo si trovava all’imbarcadero di fronte al ponte in legno più bello e più grande della città. Stava aspettando il vaporino, ma quando uscì la gente a frotte notò che tra la folla c’era proprio lei Mirella, più bella e vaporosa che mai. Impossibile non notarla. Indossava uno spolverino rosso ciliega che non stonava per niente coi i suoi bei capelli rossi, era ancora estate e mostrava anche un po della sua generosa scollatura. Rimase basito e stupefatto quando accadde un fatto che lo stupì ancora di più. Pensava infatti che la ragazza passasse oltre e nonlo degnasse nemmeno di uno sguardo. Invece allargò le braccia con un gran sorriso e gli venne incontro.
Sinceramente la passione che ancora covava sotto la cenere non aspettava altro. Fu un lungo e commosso abbraccio che culminò con un profondissimo bacio. Sembrava fatta, era tutto risolto come prima del fattaccio. Adesso però Codro era finalmente maturato e avrebbe sopportato il suo lungo e interminabile silenzio sullo sfondo di una caldissima intimità.
Però Mirella le disse subito che aveva un appuntamento improrogabile, ma aggiunse che si sarebbero rivisti comunque al più presto a casa mia. Mi avrebbe telefonato lei per metterci d’accordo. Io aspettai trepidante, ma quella telefonata non arrivò mai. Dopo qualche giorno telefonai più volte ma non rispondeva nessuno e questo era stranissimo e molto preoccupante.
Allora la cercai dai suoi amici, ma niente, non ne sapevano niente: la ragazza era come sparita nel nulla.
Incomincia a preoccuparmi non per me ma per lei, pensando che le fosse accaduto qualcosa di brutto, di molto brutto. Sapevo che non andava per niente d’accordo con la sua famiglia e forse questo era la causa del suo silenzio ancestrale e adesso della sua strana sparizione. Finalmente riuscii a rintracciare la sua amica più cara che faceva la modella a scuola di nudo. Mi confermò che erano tutti molto allarmati della sua improvvisa sparizione. Tuttavia aveva appena ricevuto una cartolina di saluti da Faenza. Forse il nostro allarmismo era esagerato e non giustificato. A Faenza ci stava sua nonna, una certa Tecla Pizzetti. Mi recai la, andai a dormire in albergo e subito chiesi della vecchia signora. Fui fortunato, in effetti la conoscevano tutti perché era stata ai suoi tempi una eroica partigiana. Allora preparai una lettera dove spiegavo l’accaduto e le chiedevo supplicandola un appuntamento. Per fortuna la risposta non si fece attendere e così mi recai alquanto trepidante a casa sua.
La vecchia signora invece di parlarmi subito del presente allarmante mi parlò del passato della nipote, molto più inquietante.
Mi disse: Ma lei caro signore si è mai chiesto veramente del motivo profondo del mutismo della povera Mirella? Risposi: penso per seri motivi familiari,
Sicuramente, ma c’è molto di peggio. E’ stata violentata quando aveva appena 7 anni.
L’hanno trovata tutta sporca di sangue che piangeva disperata in un angolo del quartiere mentre giocava nascondino; ma non si è mai riusciti a sapere le circostanze, ne lei ha voluto o ha saputo dire chi era stato. E’ per questo motivo che non parla; ma c’è di peggio, a causa del terribile trauma soffre di disturbi psichici. Odia tutti gli uomini ovviamente: con lei incredibilmente è riuscita a creare un forte legame addirittura sentimentale e sessuale. Ma una volta che lei le ha fatto troppa pressione ha rivissuto il trauma e ovviamente ha visto lei come un mostro, come il mostro di quella terribile volta. Ha capito adesso finalmente? Inoltre prende da sempre potenti psicofarmaci, non mi dica che non se ne era mai accorto? A quel punto stavo per mettermi a piangere per la seconda volta in vita mia (poi non lo avrei fatto mai più). Non ha capito dunque che è stata tutta una messa in scena, un agguato per vendicarsi di lei? Aspetto che è riuscito perfettamente perché la vedo basito e stracotto a puntino. Senta creda a me , lasci stare questa storia se oltre tutto non vuole imbarcarsi nei guai anche con la famiglia, guardi che suo padre è un uomo potentissimo capace di smuovere mari e monti. Codro rispose: Mi dia almeno un’altra possibilità.
E va bene, non posso dirle adesso dove si trova, ma le assicuro che le dirò tutto… in quanto all’esito non le posso assicurare niente. Se non le ritelefona al più presto mi creda, lasci perdere. E così fu. Ero così affranto a causa di Mirella che pensai per un attimo di togliermi la vita; ma non avrei mai pensato che adesso lo volesse fare lei e per giunta dopo 25 anni e passa. Chissà cosa era successo nel frattempo.
Pensai a quelli strani geroglifici sul suo fondo schiena. Una donna incinta, un cuore trafitto e il teschio finale. Forse qualcuno l’aveva costretta ad abortire peggiorando definitivamente la sua triste situazione. Dentro a questa follia ero diventato chissà come il suo primo e ultimo capro espiatorio. Eppure mancava qualche pezzo al puzzle. Sarei mai riuscito a completare tutto il quadro delle supposizioni?
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A un certo punto la ragazza si chinò anche lei sulla sua serratura forse sospettando chissà che cosa: feci appena in tempo a vedere il suo seno meraviglioso ondeggiare,
con quei grossi capezzoloni naturalmente color rosso, perché misi subito la mano sulla mia toppa per impedirle ogni visuale. Nello stesso istante sentii che qualcuno stava manovrando la famosa tapparella arrugginita: in quel mentre sentii terribili tuoni , segno evidente di una grande tempesta ormai vicina. Non solo, si sentiva chiaramente il rumoreggiare di una mareggiata abbattersi cadenzata sull’albergo: l’acqua era già arrivata fino a li. A quel punto tutto accadde nel giro di pochissimi minuti. Una volta aperta la tapparella il negro uscì con la pistola in pugno e incurante degli spruzzi che arrivavano fino a lui, mentre sotto c’era il desio dei marosi, con una mossa felina si avvicinò alla finestra della mia terrazza. Io ero dietro con la bottiglia in mano pronto a tutto. Si affacciò e subito sparò due colpi in rapida successione contro al povero manichino disposto sul letto: poi in men che non si dica entrò per dare il colpo di grazia. Il colpo invece lo prese lui , ossia una gran bottigliata sulla testa. Svenne subito e cadde per terra forse già morto, lasciando la presa della pistola che cadde per terra sul parché. La presi immediatamente e gli sparai in testa senza esitare, spinto anche dall’odio e dal disprezzo per quel maledetto sicario. Poi raccolsi tutte le mie forze e non so come, riuscii a buttarlo giù nel mare in tempesta. Questa vicenda meteorologica fu per me miracolosa, accaduta proprio a puntino. Se fosse precipitato di sotto normalmente sul pavimento, sarebbe rimasto disteso e facilmente visibile in un lago di sangue. Invece cadde proprio mentre si abbatteva sotto la finestra una onda altissima che rapidamente si portò il corpo al largo facendolo sparire nella oscurità.
E la ragazza? Non avevo certo voglia ne intenzione di uccidere anche lei, ammesso che fosse possibile. In ogni modo si era creata una situazione terribile. Mirella vedendo il suo uomo precipitare ebbe come un raptus e anche lei, nel tentativo disperato, generoso ma folle, di salvarlo, si buttò giù urlando a capofitto. Proprio in quel momento la risacca aveva molto diminuito la profondità dell’acqua, sicché la sciagurata sbatté violentemente la testa: svenne subito continuando a galleggiare e probabilmente annegando. A quel punto preso anch’io come da raptus mi tuffai nel disperato tentativo di salvarla; ma fu tutto inutile: non si vedeva niente e il suo corpo era già evidentemente al largo portato chissà dove. Inoltre la risacca molto forte e pericolosa mi spingeva violentemente contro i tavolini di vetro galleggianti e appuntiti. A quel punto decisi di risalire in camera tutto grondante e ci riuscì arrampicandomi chissà come. Nel frattempo tutto era accaduto nel giro di pochissimi minuti e nessuno aveva visto niente, nessuno si era accorto di nulla. Vide le prime luci accendersi curiose quando era già in camera. Così Codro rimase impotente e disperato di fronte alla forza del destino. Il personale dell’albergo venne allarmato, ma non avevano certo una barca per uscire in mare aperto, alla ricerca di eventuali dispersi. E poi come cercare di salvarli di notte col buio pesto al colmo di una tempesta? E poi per che cosa? Per dei turisti arroganti con la puzza sotto il naso che magari non lasciavano nemmeno le mance. Non ne valeva la pena: dopo un po sarebbe arrivata la polizia. Se avesse scoperto che effettivamente qualcuno mancava all’appello avrebbe fatto un ridicolo verbale e tutto sarebbe finito la. In tutti i casi bussarono alla mia porta per accertarsi che non ci fossi anch’io tra le persone mancanti all’elenco dell’albergo, come era successo ai miei vicini di camera. Tuttavia non furono gli unici che effettivamente non risposero all’appello. Altri tre sorpresi dalla tempesta avevano preferito restare a Casablanca. Anche questo ovviamente mi aiutò.
Io, che naturalmente avevo nascosto la pistola, dissi semplicemente che avevo sentito un urlo, un tonfo e poi basta. Dopo un po venne anche la mia salvatrice e questa volta le spiegai tutto quello che era successo. Lei mi mostrò dei vasetti che aveva preso nella camera dei due dispersi: erano pieni di cocaina e psicofarmaci italiani potentissimi. Aveva trovato anche molti soldi: un po li aveva lasciati dove li aveva trovati, e un po li divise tra me e lei. Non trovai la cosa particolarmente sconvolgente visto che eravamo in guerra. Ormai don Giovanni e assassino, da ultimo anche ladro la mia carriera criminale e dionisiaca era completata in bellezza. Poi soggiunse; Adesso comunque devi sparire al più presto perché tra poco tornerà nuovamente la polizia e se non ti trova sarà molto meglio. Diremo che hai preso un taxi perché fatalità avevi l’aereo che partiva all’alba, tanto scommetto che non controlleranno nemmeno. Inoltre vedrai che la loro stanza non la perquisiranno, ma io in tutti i casi ho fatto sparire anche la valigetta con le armi. Ormai stava sopraggiungendo l’alba mentre la tempesta rapidamente scemava la sua furia.
Ascolta mi disse: C’è un vecchietto amico mio che tutte le mattine viene a portarci le verdure fresche su un carretto con un cavallo: oggi è venuto prima per sfuggire al cattivo tempo. Tu monti e lui ti porterà alla periferia dove tiene l’orto. Tu scendi e aspetti la fermata del bus che ti porterà a Fin Ben Sala dove io ho dei parenti (mi diede in mano una cartina con l’indirizzo e tutto). Loro ti ospiteranno e nasconderanno fino a quando le acque non si saranno calmate definitivamente.
Allora io le dissi ancora una volta pieno di ingenuo stupore: Ma perché fai tutto questo per me? Ah disse non l’hai capito, ancora non l’hai capito? Quindi prese la mia mano e se la mise sul petto, anzi dentro al reggipetto la dove sentii il suo cuore battere e pulsare. Nel sentire quel meraviglioso gonfio budino di morbida pelle e quel capezzolone africano pungermi il palmo della mano, rimasi letteralmente a bocca aperta. Lei ne approfittò subito e mi mise la lingua dentro provocando una connessione morbosa che durò parecchi minuti.
Poi scesi e trovai subito il vecchietto col biroccio e il cavallino arabo tutto bianco che subito si mise galoppare verso la meta. Ovviamente non ci parlavamo, io non sapevo l’arabo e lui non sapeva l’italiano, però ogni tanto se la rideva di cuore. Il tragitto durò circa un’ora ed io mi ricordai che avevo scritto la poesia su Dionisio: mi sembrava si essere veramente il dio dell’amore, della morte e della trasfigurazione che ancora una volta se ne scappava dalla città prima che fosse troppo tardi….
Presi il foglio e lo lessi migliorandolo in parte tra un sobbalzo e l’altro del calesse.
La poesia faceva così:
DIONISO IN AFRICA
Io sono quello che sono perché sono tutto e niente
Io sono il mutare permanente
Io sono tutto quello che sconvolge la brava gente
Son io quello che vive il dramma della forma che esplode e precipita nel nulla
ma non ho paura se un serpente dormiva nella mia culla
Sorrido alla morte che suona scherza e balla
io sono il viscido verme che diventerà farfalla
Se vedi due aquile agganciate nel vortice supremo della loro sessualità
io sono la forza maschile e la essenza della femminilità
Io sono il bene e il male ma quel che vale per me a questo mondo non c’è.
Io sono la inquietudine assoluta del desiderio mai appagato
per questo risorgo sempre dopo che mi hanno ammazzato
per questo mi travesto in mille spoglie
per soddisfare tutte le mie voglie
Non hai ancora capito chi sono io?
Io sono DIONISO la vittima e il dio.
Rimasi un mese nella cittadina dell’interno: ogni tanto Fatima veniva a trovarmi
ricompensandomi a suon di baci di tutte le amarezze degli ultimi anni e la terribile conclusione della storia. Mi portò un giornale in francese dove si faceva riferimento ai due ospiti dell’albergo spariti durante la tempesta e ipotizzando, caso estremamente raro, un doppio tuffo con relativo suicidio super romantico nel mare in tempesta. Come ben sappiamo la verità era ben più assurda e feroce. Ma il meglio doveva ancora venire.
Ci eravamo rifugiati a Gibilterra per maggior sicurezza quasi per inaugurare un viaggio di nozze. Li trovammo degli italiani i quali ci comunicarono il caso di una ragazza italiana sparita misteriosamente a Casablanca insieme a un noto killer professionista. La ragazza aveva già ucciso un uomo che l’aveva costretta ad abortire e aveva scritto sul suo diario ritrovato dalla polizia, che voleva fare lo stesso con il suo primo amore rimasto ignoto e oramai in salvo . E tale rimase per sempre trovando rifugio definitivo in Spagna.
In quanto alle meravigliose onde di Casablanca, Dioniso ritenne con gran dolore di non vederle mai più; gli sarebbe sembrato che Mirella, come una sirena impazzita insieme alle altre terribili Bacanti, lo invocasse col suo canto disperato per farlo morire tra i gorghi come era successo a lei e al suo diabolico amico.