Cavalcare un drago

KINOWA, la leggenda del diavolo bambino

La cosa più straordinaria di quando si è bambini consiste nel fatto che non si sa niente, ma proprio niente di niente! Soprattutto non si sa di non saper niente ed è proprio questo che ti procura sia l’eccitazione della meraviglia che l’illusione della famosa onnipotenza infantile. Non ho mai capito perché questo accade ai bambini e non ai cosiddetti selvaggi che invece hanno un forte senso della loro limitazione culturale; forse perché i bambini hanno elaborato solo il mito di se stessi, mentre i primitivi hanno già prodotto o sono inseriti, in miti a carattere cosmogonico. Inoltre i bambini sono coccolati in famiglia, mentre la natura con i propri figli non lo fa quasi mai. In effetti, di fronte alla evocazione mitica dell’infinito o dell’assoluto, qualunque forma essi assumano, ci si sente piccini e limitati. Il bambino invece, che non conosce l’assoluto, o meglio l’unico assoluto è se stesso (e indirettamente i suoi genitori) è totalmente autoreferenziale, nonostante appunto la sua grande dipendenza dalla famiglia o dal contesto. Quando non si conosce nemmeno la propria ignoranza proprio per questo la meraviglia è infinita. Dal punto di vista del conoscere è come se non ci fosse la forza di gravità: invece col passar del tempo, come si sa, il paradosso ( un doppio paradosso), consiste nel fatto che uno più conosce e più si accorge di essere ignorante. In questo modo sprofonda sotto il peso di ciò che non sa e che quindi in fondo, nemmeno esiste (paradosso dentro al paradosso). A quel punto però la meraviglia è già sparita quasi del tutto. Così essa non riguarda più tutto ciò che esiste semplicemente per il fatto di esistere (cosa che invece dovrebbe sempre essere tenuta in gran considerazione), ma scatta solo per un qualche evento particolare, ritenuto straordinario o semplicemente inaspettato. Prima di accumulare il sapere (scoprendo la propria tragica ignoranza) tutto era eccezionale e straordinario e questo è il principale motivo per cui l’infanzia risulta così favolosa e meravigliosa. Ecco perché la meraviglia è veramente l’inizio dell’inizio; anche se qualcuno potrebbe dire che il vero inizio, ancor più dello stupore, è il terrore misterioso di fronte all’enigma di un mondo da subito così feroce e incomprensibile. Questo potrebbe accadere soprattutto ai cuccioli degli animali che spesso rischiano di essere mangiati appena nati, non solo da feroci predatori, ma magari dai loro stessi genitori; ma per fortuna, almeno questo, i cuccioli sfortunati non hanno una gran coscienza di tutto ciò. Ai bambini questo non accade perché per lo più vivono in una dimensione ultra protetta; non tutti però. Il guaio è che col passar del tempo la noia, ancor più della ferocia, prende il sopravvento sulla meraviglia. Per questo motivo Adamo ed Eva precipitarono quando acquisirono la conoscenza perché, perdendo l’incanto di continuare a stupirsi, incominciarono ad annoiarsi mortalmente e pur di vincere l’uggia inventarono la malizia (che è la zia del male). Così si autoconvinsero, con una certa difficoltà, che essere nudi era vergognoso e peccaminoso ma che dopo, a spogliarsi, era ancora più divertente; ma per poterlo fare dovettero prima di tutto procurarsi le mutande. Così nello vestirsi e nello spogliarsi a intermittenza ora vergognandosi ora eccitandosi, riscoprirono e salvarono la meraviglia. Così quello che prima era del tutto banale e normale, l’esposizione di patatina e patatino al vento, adesso li trasformò addirittura negli idoli feticizzati del piacere. In questo modo dovettero prima vergognarsi di essere senza vestiti e poi nel provare un piacere innaturale a mostrarsi nudi. E’ probabilmente a questo punto che sorse il grande dilemma tra natura e cultura. Allo stesso modo quando non si conosce la differenza tra realtà e fantasia, non si distingue nemmeno la distanza che c’è tra la follia e la non follia. Ecco perché tutti i bambini, finché non si vergognano di essere nudi, sono dei piccoli simpatici folletti, e solo dopo in fondo, diventano anche dei diavoletti maliziosi. Ora come si sa il male incomincia con la malizia, prosegue con l’invidia, culmina nell’omicidio con la pretesa del potere assoluto di vita e di morte. Insomma si incomincia con poco ma dopo non si sa come va a finire. Siccome il diavolo è furbo spesso si intrufola in cose apparentemente banali e ciò accade senza neanche che uno se ne accorga. Ecco perché a volte ciò che è infinitamente innocente si imparenta, senza saperlo, col male assoluto. Del resto questo lo dicono perfino non pochi santi che sono diventati tali, proprio sconfiggendo la loro natura originariamente diabolica (ma qualcosa resta sempre). Ecco perché il Piccolo Diavolo non sapeva ancora quanto fosse folle e trasgressivo il suo bisogno di spogliare la verità in un mondo dove tutti (gli adulti) mentono sempre. Sapeva solo che sua madre lo aveva chiamato così fin dall’età di tre anni, semplicemente perché era troppo vivace. Lei però non sapeva a sua volta che numen nomen, anzi numen daimon, e cioè che chiamandolo così il destino del bambino, già predestinato, si sarebbe compiuto del tutto. Infatti il nome non è solo una designazione ma anche una evocazione, e si sa certe presenze sarebbe meglio trattarle solo col silenzio, evitare nel modo più assoluto di richiamarle improvvidamente.

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Una volta mentre stava facendo il bagno accadde al Piccolo Diavolo una cosa terribile. Stava giocando con le paperette a battaglia navale quando vide improvvisamente la sua pelle uscire dal corpo e penzolare dal bordo del bagno; per non perderla, perché ci teneva alla pelliccia, si sporse subito per afferrarla. Appena in tempo! Per fortuna la prese e tornò a indossarla come se fosse il golf di Pippo nei cartoni animati. Poi osservando la saponetta si chiese come mai non gli fosse capitato di nascere così profumato, anche perché in effetti la pulizia non gli piaceva tanto. A quel punto però gli venne il terrore di diventare una cosa proprio come una saponetta senza possibilità di parlare e di muoversi, per giunta a disposizione di chiunque avesse voluto pulirsi dappertutto. Pensò che alla fine sarebbe sprofondato nel fondo della vasca, che si sarebbe sciolto in un battibaleno, e che la mamma non l’avrebbe trovato mai più; a nulla sarebbe servito chiamare gli uomini della fognatura per tentare di recuperarlo. Infatti una volta sciolto sarebbe scomparso nella laguna, al massimo si sarebbero viste volare delle bolle di sapone con la sua immagine sulla superficie. Si sentiva terrorizzato da tutto ciò, ma il suo terrore aumentò quando si accorse che era subentrata in lui una rabbia improvvisa, una collera terribile e spaventosa, ( ecco perché forse lo chiamavano il Piccolo Diavolo) e che questa aveva provocato nella vasca una specie di tsunami, con delle alte onde che adesso bagnavano inopportunamente il pavimento del bagno. Allora perse conoscenza e cadde come in trance lasciandosi sprofondare nel fondo della vasca. Subito incredibilmente rivisse come in sogno le sequenze del suo parto, quando doveva morire col collo strozzato dal cordone ombelicale. Vide il ginecologo immergere la mano e il braccio nel ventre di sua madre, si sentì girare come un trottolino mentre la sventurata cacciava un urlo terribile, arrivando, accecata dal dolore, persino a maledirlo (diavolo di un bambino!). A volte le madri lo fanno, poverine, sopraffatte da quella terribile prova, ma subito dopo si ravvedono e scoppiano di felicità benedicendo il loro piccolo e il miracolo della nascita. Ma se persistono, magari a causa di una depressione post partum provocata da un trauma troppo grande e dalla perdita di sangue troppo forte, allora saranno guai molto grandi per entrambi. Infatti cosa ci può essere di più terribile che passare tutta la vita fingendo di amarsi e sopratutto credendoci per davvero? In effetti, almeno in apparenza una madre non può di certo non amare il proprio figlio e, viceversa, come potrebbe un figlio odiare la madre senza nemmeno rendersene conto? Tutti mentono sempre e a volte le madri per prime seguite subito dai figli. Del resto l’inconscio si sa opera di queste magie e sortilegi che per venirne fuori non basta una vita intera (per fortuna degli psicoanalisti e per disgrazia del genere umano). E’ in famiglia che per la prima volta le cose non si riconoscono per quello che sono. Ma é anche vero che, come diceva Hegel, la faccenda del riconoscimento è veramente una gran cosa, anzi è proprio, come la meraviglia, il secondo inizio di tutto; infatti tutto, ma proprio tutto, in seconda battuta, si riduce in definitiva solo a quello. Se non c’è il riconoscimento ci sei ma è come tu non fossi mai esistito; e questo vale per ogni cosa. Del resto anche l’universo funziona così visto che tutto, come nella camera oscura, non si vede, non si sente, non si parla: alla fin fine comunque esiste ma non si conosce e tanto meno riconosce. In definitiva non esiste di suo ma solo se qualcuno lo fa esistere, se appunto finalmente accende la luce e lo riconosce. In questo modo nominandolo e illuminandolo lo fa uscire dalla oscurità e dall’anonimato. Così se non c’è il riconoscimento subentra l’alterità assoluta non solo per noi, che non lo vediamo, ma per se stesso, innominato e inesistente. Così un bambino non riconosciuto si vive nel proprio nulla come se non esistesse. Se non c’è il riconoscimento del bene non c’è neanche il male, però all’atto pratico è come se ci fosse perché comunque esiste. Insomma il dolore assoluto c’è anche se il male è in vacanza o si dichiara innocente. E’ un vero piacere e una gran consolazione sbudellare o essere sbudellati sapendo che comunque siamo tutti innocenti. Se uno tsunami è innocente, se un dinosauro è innocente perché solo Hitler dovrebbe essere colpevole? Se suo padre alcolizzato non violentava la madre e ammazzava a bastonate il suo cagnetto preferito forse Hitler non sarebbe diventato Hitler e sarebbe rimasto un modesto pittoruncolo da quattro soldi invece che un terribile dittatore da decine di milioni di morti.

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Un’altra dote straordinaria che il Piccolo Diavolo aveva fin da bambino era quello di ricordarsi di eventi lontanissimi nel tempo, secondo Freud impossibili da recuperare. Ma lui invece ci riusciva.

Infatti subito si ricordava che sua madre non gli dava quasi mai il seno per primo, ma lo teneva per secondo preferendo la sorella gemella. Alla vista della sorellina che rigurgitava il latte soddisfatta, a quel punto si sentiva prendere da una rabbia spaventosa e travolgente come se fosse scoppiata una terribile tempesta dentro e fuori di se. Era incredibile come da quel piccolo corpo potesse implodere ed esplodere una energia così forte e negativa. Sommerso da quella furia e da quel risentimento col tempo sarebbe diventato certamente come un Piccolo Diavolo. Un Piccolo Diavolo però innocente. Quando si risvegliò suo padre lo teneva e agitava per i piedi cercando di fargli uscire dalla bocca non solo l’acqua, ma un pezzo di saponetta che aveva incredibilmente trangugiato. A volte in mancanza di niente ci si affeziona e si addenta tutto quello che capita. Sua madre per fortuna non c’era perché era andata a messa. Per fortuna il bambino subacqueo si riprese in fretta e suo padre dopo il terribile spavento, gli disse di non dire nulla alla mamma per non scombussolarla. Si trattava gli disse, di un piccolo incidente domestico. Tuttavia in quell’occasione suo padre si allarmò molto. Pensava che potesse avere delle crisi epilettiche, ma per fortuna un episodio simile non si verificò mai più. Tuttavia a partire da quel momento incominciò a fare degli incubi ricorrenti, più o meno simili. Per esempio sognava di trovarsi in terrazza all’ultimo piano a casa sua in vacanza al mare. In un raro momento felice teneva sua madre per mano. Di fronte aveva il mare e dietro si vedeva, in modo ancor più spettacolare, tutta la laguna. Ma ecco che inaspettatamente dal mare si alzano delle onde enormi sempre più grandi e tambureggianti fino al punto di diventare altissime e terribili. Un vero tsunami si abbatte improvvisamente sull’isola spensierata e fiorita seminando morte e terrore. I due si tengono per mano e non fanno nemmeno in tempo ad abbracciarsi che un’onda enorme, la più alta di tutte, si abbatte rombando, orrendamente spumosa, travolgendoli sulla terrazza. Quando riprese conoscenza si ritrova con una mano attaccata a una ringhiera contorta, ma nell’altra incredibilmente, stringe soltanto la mano spezzata di un manichino di plastica. L’isola non esiste più, è rimasta solo casa sua come un faro diroccato circondato dall’acqua assassina che gorgoglia peggio delle fritture di pesce alle sagre. Voltandosi si accorge con terrore che anche la lontana e meravigliosa città marina, come sua madre, è sparita nel nulla. Adesso dovrà passare il resto della sua vita in quel caos e deserto di macerie semi sommerse essendo diventato non solo orfano, ma il bambino più solo del mondo. Così pensò subito di costruirsi una canoa e di giocare a fare Robinson Crusoe sperando che non arrivassero i cannibali ad iniziare la civiltà.

In un altro incubo si trova a dormire nel suo letto, quando si accorge che il tempo stava cambiando improvvisamente portando un terribile temporale con tuoni e fulmini pazzeschi. Allora apre la finestra ma subito scorge una gigantesca tromba d’aria che dalla laguna stava arrivando velocissima, travolgente e turbinante , nella sua stessa direzione. Senza nemmeno fare in tempo a chiudere la finestra si getta sotto il letto. Riesce così a vedere la scena apocalittica di tutte le suppellettili della stanza volare, ora disperse ora accatastate da quel terribile vortice. Questi ormai sta per risucchiare addirittura il suo stesso rifugio a cui sta disperatamente aggrappato come Ulisse al ventre della capra. Ma proprio quando lo ha alzato e sta per trascinarlo via con se chissà dove, ecco che tutto finisce improvvisamente, così com’era iniziato. Restano solo gelidi scrosci di pioggia, che impetuosi inondano la stanza, con violente secchiate d’acqua gettate da un gigante dispettoso quanto misterioso e invisibile. Allora si sente tutto bagnato fradicio e tale sensazione persiste anche quando si sveglia: al che pensa di essersela fatta addosso, ma in realtà si tratta solo di lacrimoni che rigano copiosi il suo volto e gli scendono a rivoli nel petto, freddi e grigi come le cascate del purgatorio.

Tutte queste sensazioni ed avvenimenti così strani gli davano il terribile sospetto di essere un poco matto; ma quanto non riusciva nemmeno lui a stabilirlo. Sentiva però che dal verdetto di questa misurazione sarebbe dipeso tutto il resto della sua vita e che però questo verdetto lo avrebbe stabilito della gente molto ma molto più matta di lui. Tuttavia una volta, a soli quattro anni, fece una cosa incredibile anche se in fondo la si poteva giustificare come il frutto di tante casualità imprevedibili; oppure come la pensava Freud in riferimento alle più profonde interpretazioni dell’inconscio. A farla breve stava salendo sul bus accompagnato dalla madre; ma poiché c’era molta gente accalcata la donna si era affrettata a salire perdendolo di vista. Anche lui cercava in qualche modo di seguirla velocemente maarrancando in modo scomposto e sconsiderato. E così accadde, ma guarda il caso !, che davanti a lui ci fosse una signora dalla ampia gonna di quelle vaporose che si usavano negli anni 50 e 60. Neanche a farlo apposta salendo si infilò sotto e dentro la gonna ritrovandosi tra le belle gambe della povera signora che subito si mise a urlare come una pazza. Lui riuscì a sgattaiolare immediatamente; evidentemente aveva cercato di entrare in un nuovo utero e in una nuova vagina che fosse possibilmente più ospitale di quella materna, dove si era sempre sentito un intruso per giunta in condominio angusto e ostile con la gemella preferita. Intanto la donna continuava a brontolare, per fortuna suo marito si mise a ridere, altrimenti poteva finire veramente male, magari a cazzotti col padre che comunque per fortuna non ‘era. La gente seccata, diceva rivolta alla madre esasperata:- Ma è suo ? Ma è suo? E lei diceva non , è in affido…mi è scappato di mano scusate. La donna molestata alla fine disse: Ma se è così adesso figuriamoci quando sarà grande? Il piccolo avventuriero sessuale mentre si vergognava tremendamente di quello che era successo domandandosi come mai capitavano tutte a lui, pensava:- Le donne sono profumate anche li!

Anche in quella occasione pensò di essere molto sfortunato oppure un poco matto.

Ma poi lentamente pensò che tutti fanno cose e sogni molto strani e addirittura degli incubi e che questo genere di cose non bastavano a decretare e certificare la follia di una persona. Ma soprattutto arrivò a una importantissima conclusione dopo aver visto il film “Questo pazzo pazzo mondo”.

Nel film comico si suggeriva che il mondo in fondo non fosse altro che una divertente gabbia di matti; ma lui ben presto osservando attentamente e acutamente la follia delle persone che gli giravano attorno, scoprì che non solo era vero, ma che non c’era proprio nulla da ridere. Inoltre la considerazione che tagliava la testa al toro era questa: per essere veramente matti bisogna che le proprie stramberie procurassero del danno effettivo agli altri o che comunque fossero collettive. Infatti secondo lui una follia innocua e solitaria, o che al massimo procurava danno solo a chi la subiva, non poteva essere comparata a qualcosa di maligno o di feroce come una violenta sceneggiata condivisa come, tanto per dire, i famigerati progrom. Quando si trattava di follia collettiva non è vero che mal comune è mezzo gaudio; anzi è proprio li che si perde ogni freno e che si vede lo sfasamento totale dalla realtà. Inoltre la follia di gruppo, o peggio di massa, pur essendo comunque ipnotica si fa a occhi aperti e non in un mondo del tutto privatistico e fantastico. Osservando alla televisione ora la gente ondeggiare delirando invasata per Hitler, ora esplodere impazzita di entusiasmo per le fanfaronate di Mussolini, oppure , Stalin baciare appassionatamente in bocca gli uomini che avrebbe mandato a morte il giorno dopo, si rendeva conto che se era un matto di un bambino si trovava in buona compagnia, anzi in pessima compagnia, con la pseudo sanità mentale del mondo degli adulti. Certo in quei casi poteva trattarsi di eventi per così dire straordinari, suscitati anche da un clima particolarmente funesto e negativo. Decise allora di osservare la gente più vicino e in tempo di pace, scrivendo le sue osservazioni in una specie di lista nera , un diario speciale che aveva pomposamente intitolato:

IL DIARIO QUOTIDIANO DELLA FOLLIA UMANA

VISTO CON GLI OCCHI DI UN BAMBINO

Tuttavia non aveva ancora preso in considerazione l’aspetto più inquietante e pazzesco di tutta la faccenda: e cioè di come fosse possibile che a soli 10 anni potesse ideare e realizzare una cosa del genere. Forse invece di piccolo diavolo avrebbero dovuto chiamarlo piccolo genio. Ma come vedremo di li a poco tanta precoce capacità letteraria non gli avrebbe portato bene per nulla. In effetti tutti i più grandi scrittori vengono considerati dei piccoli diavoli se levano la cippa agli uomini insieme alle loro illusioni e speranze più assurde. In questo sono come gli scultori che levano dal bozzetto la creta inutile, quel sovrappiù che deturpa la nuda e cruda essenza della bellezza della vita. Questo però non significa che il risultato finale sia omogeneo e univoco; anzi come diceva Hegel il risultato finale è proprio l’ambiguità della contraddizione. Certo nessuno, assaggiando la vita, vorrebbe sentire in bocca simultaneamente il gusto del dolce e dell’amaro. Tuttavia la forza e l’assurdità positiva nell’accettare la vita così com’è, consiste proprio nel sopportare il peso di questa imperfezione subendo la mescolanza degli opposti. E infatti proprio per questo, per evitare fastidiose cacofonie e idiosincrasie, Aristotele per soddisfare i palati più schizzignosi inventò il principio di non contraddizione. Peccato che sifatta cucina, come del resto la musica, non centra nulla con i sapori e i rumori reali che provengono dal mondo.

Ad ogni modo queste furono delle osservazioni episodiche, gettate così come capita, volta per volta. Naturalmente avrebbe dovuto iniziare da quelle che aveva visto e interpretato da più vicino, cioè dai rappresentanti della sua famiglia, ma non lo fece perché incredibilmente li vedeva come dei modelli positivi, anche se inconsciamente era il contrario esatto. Così giocoforza iniziò direttamente dagli inquilini del suo palazzo. Poi si occupò di quelli del palazzo di fronte e infine ovviamente della chiesa. Dulcis in fundo.

Aveva in mente la triste storia delle sorelle Pravisdomini del piano di sopra. Una era nata handicappata mentale ed era bruttissima: molto alta e magra, allampanata e con gli occhi che guardavano uno tutto a destra e l’altro tutto a sinistra, all’incirca come gli squali. Non è che l’altra fosse molto più bella, fatto sta che rimase anch’essa zitella. Sopraffatta dalla compassione per la più disgraziata, le fece da badante per tutta la vita invecchiando senza il conforto di figli suoi e senza farsi una famiglia. Così a questo punto le matte erano due. Tuttavia nella disgrazia, proprio quella che aveva conservato un po di ragione, lei era la vera sofferente perdente. Infatti mentre la follia dei pazzi consiste nel non avere nessun dubbio, la follia dei cosiddetti sani consiste nell’essere sopraffatti da mille dubbi. I folli avanzano imperturbabili forti della loro sicumera; gli altri a loro volta si dividono in due schiere. Quelli che fanno come gli struzzi (la maggioranza) e quelli che si torcono le mani tra mille indecisioni e sensi di colpa (alla fine fanno come Ponzio Pilato). Da questo si capisce perché la vita essendo una follia richieda, per sopravviversi, una follia ancora più grande, di cui il culmine consiste proprio nel rifugiarsi in dimensioni superiori come l’Iperuranio di Platone per quanto riguarda il caos conoscitivo e il paradiso delle religioni per il caos morale e sentimentale.

Insomma ci vuole una favola talmente favola da risolvere qualsiasi situazione, saltando il presente a piè pari e delegando tutto ad un immaginifico futuro dopo la morte. E’ chiaro che in questa gara o riffa a chi è più credulone l’autonomia della ragione umana e soprattutto lo spirito critico spariscono del tutto. E’ questo il grande inganno e la grande fregatura, da cui trae beneficio soprattutto la super coscienza malefica del potere. Solo questa (pur completamente subdola e falsa) sa benissimo quello che fa, a differenza di tute le altre che nel frattempo ha fuorviato e ingannato. In questo modo, attraverso ogni sorta di falsità superstiziosa e pseudo-consolotaria, continua a perseguire direttamente o indirettamente tutte le ingiustizie e falsità del mondo. Forse per questo gli ortodossi, in un raro momento di lucidità, chiamando i santi i “pazzi” di Dio.

Ma quella poveretta, la Pravisdomini caritatevole, completamente plagiata dalla madre e da una pietà cristiana eccessiva per non dire fuorviante, si era messa, o meglio era stata sospinta, su un binario morto; alla fine del quale sarebbe uscita completamente pazza anche lei. Infatti dopo anni e anni di questo triste compito di infermiera e di sostegno così gravoso, alla fine scoppiò del tutto e impazzì anche lei per conto suo. La si sentiva piangere disperatamente tutto il giorno mentre l’altra, ingrata, per tutta consolazione, accendeva la radio a tutto volume oppure cantava a modo suo rischiando di far impazzire tutto il palazzo. La poveretta non mangiava, non beveva, piangeva soltanto. Alla fine venne l’ambulanza e la ricoverarono in manicomio, che allora esistevano ancora, dal quale pochi anni dopo uscì per i piedi in una bara così povera che sembrava la cassetta della frutta. Anche la vera pazza dopo un po, venne ricoverata nello stesso manicomio dove sopravvisse per molti anni ancora. Quando morì ricevette lo stesso trattamento ortofrutticolo e venne seppellita nel cimitero dell’isola accanto alla sorella. Non tutti hanno il privilegio, dopo aver penato tutta la vita a causa dei parenti, di essere seppelliti insieme ai medesimi, vicini vicini.

Fu una ben triste storia con un esito allucinante; ma agli occhi di quella intelligenza bambina così acuta e crudele si trattò non di una follia sola, ma di una doppia follia col rinforzo. La soluzione consisteva in una sana forma di egoismo che a un certo punto, di fronte alla propria sopravvivenza, manda a fare in culo il mondo intero.

La famiglia Catania che stava dirimpetto non era molto meglio : il marito siciliano era fascistissimo, teneva in camera la foto del duce e pensava di continuare a casa e nel condominio i vecchi metodi squadristi. La cosa più incredibile (ma questo era successo anche a Goebbels) consisteva nel fatto che nonostante la sicumera da super uomo, ci teneva un piccolo braccino anchilosato dalla poliomelite. Il contrasto tra questi due fattori, nell’epoca in cui i portatori di handicap erano ancora considerati infelici, ossia tra la sua sicumera sopra un piedistallo urlante e l’agitazione altrettanto sconsiderata di quel moncherino, risultava particolarmente stridente. Non era solo uno spettacolo a suo modo irrisorio, ma la prova sconvolgente in direzione della sua reale sanità mentale. Tuttavia il peggio era che ogni tanto strapazzava di botte la moglie, la bellissima e procace Nanda di origini dalmate, e la figlioletta Leonina. In particolare una volta prese a scudisciate il sederino, o meglio il sederone della povera Leonina, non si sa per quale terribile mancanza. In quell’occasione sentì sia il rumore dei colpi di cinghia che i lamenti disperati della povera ragazza. In un’altra occasione venne notato che anche Nanda non usciva più di casa: e per forza il marito squadrista gli aveva dato un pugno procurandole un vistoso occhio nero. Così la povera donna era rimasta al chiusa per giorni, nel tentativo di non farsi notare; ma una volta che venne il galoppino del droghiere a portare la roba su commissione, fece in tempo a vedere l’occhio nero, crudelmente stampato sul volto della bella signora. Poi naturalmente il solerte fattorino cantò e così lo seppe tutto il quartiere. Allora il piccolo diavolo chiese a suo padre se si poteva fare qualcosa per proteggere quella povera signora, ma lui rispose che ognuno a questo mondo se vuole campare, doveva pensare esclusivamente ai fatti suoi. Siamo cristiani è vero, ma soprattutto dobbiamo fare finta di esserlo. Solo allora avremo la massima convenienza. E poi tra moglie e marito non mettere il dito. Il vero motivo era che il galantuomo, di professione ragioniere che però ragionava poco, faceva anche l’amministratore interno del condominio. Pertanto vuoi per via del risparmio di soldi, vuoi per ricatti e segreti vari soprattutto di tipo fiscale, era intoccabile. Ma la cosa più pazza e commovente, che non si scorderà mai per tutta la vita, la fece la povera Leonina. Una cosa forse minima ma terribile e indimenticabile nello stesso tempo. In quella famiglia di pazzi pericolosi spesso la tenevano reclusa come la monaca di Monza, neanche avesse avuto la peste, oppure si fosse macchiata di chissà quale colpa. In questo modo le impedivano assai dolorosamente e assurdamente di andare a giocare con i gli altri ragazzini nel cortile sottostante. La povera ragazza li guardava saltare e schiamazzare dalla finestra, tristissima col volto pallido ed emaciato, sentendosi prigioniera come una principessa medievale, pur essendo del tutto innocente. Anche il nostro eroe guardandola sentiva un velo di tristezza, rendendosi perfettamente conto che era una cosa totalmente assurda e contro natura; ma gli altri facevano spallucce e continuavano a giocare come se nulla fudesse. Allora accadeva una cosa curiosa, perché i ragazzi del mondo libero dopo un po comunque le urlavamo di scendere, mentre lei a sua volta ci implorava di salire a casa sua. Tuttavia nessuno, ovviamente per la paura di affrontare il mostro di suo padre, ascoltava le sue suppliche. Infatti si era capito che in certi momenti il capomanipolo non ci stava con la testa. Così lei non aveva il coraggio di scendere, e i ragazzi non avevamo il coraggio di salire. Allora lei per la disperazione fece una cosa incredibile. Lanciava delle buste dove dentro ci stava un messaggio in cui prometteva mille lire (che allora erano veramente tanti soprattutto per dei bambini!). In realtà questo scherzetto lo fece, prima di smettere definitivamente, per ben tre volte. In questo modo si fissò per sempre nel ricordo dei presenti il volto bianchissimo e piangente della povera ragazza, mentre lanciava disperata e speranzosa la sua missiva dall’alto; ma soprattutto rimase indimenticabile lo svolazzamento tortuoso e imprevedibile della busta, che rischiava di planare sui rami del pino al centro del cortile, dove impigliandosi sarebbe rimasta irrecuperabile e perduta per sempre. Il lento volteggiare di qua e di la della busta sembrava al piccolo diavolo del tutto simile al vaneggiamento della mente umana inutilmente sbandato di qua e di la; ma ciò accadeva solo a lui. Per gli altri bambini era un ulteriore occasione di gioco ancora più fragoroso e scatenato, per cui urlando come pazzerelli, facevano a gara e quasi a botte, a chi prendeva al volo la preziosa missiva. In questa occasione sembravano dei giocatori di basket che sgomitando cercavano di salire più in alto dei loro concorrenti. Osservando il giocoso stupore degli altri bambini che aprivano la busta, nemmeno sfiorati dalla reale tragicità surrealista di quello che stava accadendo, sentiva un senso di smarrimento incredibile e si domandava sgomento se per caso non fosse stato un bambino marziano capitato lì chissà come. Nella impossibilità di scoprire veramente il proprio albero genealogico, si sentiva il bambino più solo del mondo in attesa di diventare un piccolo diavolo di fatto, visto che di soprannome lo era già.

Dall’altro lato del codominio ci stava una famiglia dove il padre, rimasto vedovo, si ammazzava di lavoro per mantenere il suo unico figlio e le sue due abominevoli zie rimaste attempate e zitelle. Questo per dire che in casa non c’era quasi mai e lasciava fare tutto alle sorelle, che però per somma disgrazia di quel povero ragazzo, erano due vere streghe. Insomma neanche a farlo apposta, erano anche loro molto ma molto manesche. Bisogna dire che la vittima designata non era certamente una cima, ma forse certi suoi comportamenti isterici e automatici, corrispondevano a un bisogno irrefrenabile e nevrotico di di una protesta ribellistica trascendentale, dovuta con ogni probabilità alla precoce perdita della madre. Ma oltre a questo c’era anche un spiccato istinto masochista e persino suicidario. Come sempre in questa occasione, i ragazzi della corte, mai sazi di giochi, cercavano di ritornare a casa il più tardi possibile, cosa che faceva sempre indiavolare quelle povere mamme. Solo lui però riceveva puntualmente, una ben terribile punizione. Era l’unico che subiva questa triste sorte mentre per tutti gli altri si trattava solo di strepiti e minacce feroci ma innocue, del resto quasi mai attuate; al massimo ci scappava un piccolo e tardivo scappellotto. Ma nel suo caso era diverso. Ormai si sapeva già come andava a finire ogni volta, come in una specie di rito della tortura e di sacrificio periodicamente sovrastante e indifferibile. Così nell’assistere alla incredibile mattanza, i ragazzi della via Pal avevamo sempre un senso di schifo compassionevole, a volte un senso violento di ribellione, subito repressa per non fare la stessa fine.

A farla breve alle sette in punto le megere, voglio dire le due streghe in tutto e per tutto, anche alla vista, lo chiamavano in modo mellifluo, ottenendo, come al solito un netto e stentoreo rifiuto. :- Loris vieni a casa! Loris vieni a casa!- No!No! Non vengo, non ci vengo.- Guarda che le prendi … A quel punto, come se non aspettassero altro, si precipitavano immediatamente e rumorosamente giù dalle scale urlando come delle erinni assatanate. Venivano i brividi soltanto a sentirle ciabattare con ritmica e isterica frenesia. Ed ecco che la tragedia si compiva. Una lo prendeva per le esili braccia, l’altra per i piedi, dopo di che lo portavano a casa a suon di terribili sganascioni e colpi bassi, equamente distribuiti per tutto il corpo. Le urla, i pianti, gli strepiti non si contavano.

Il poveretto cercando di divincolarsi e piangendo disperatamente, rendeva se possibile, la scena ancora più patetica e disgustosa. Ai maschi quel comportamento così immaturo e meccanico di sfida, ma ogni volta forzatamente perdente e masochista, presentava un che di femmineo che finiva sempre per disgustare. Quando arrivava l’ora fatidica sembrava che gli dicessero: Torna a casa Lassi prima che sia troppo tardi! In effetti in quella situazione estrema bisognava fare evidentemente di necessità virtù: tutti i sani di mente, dopo le prime battiture, sarebbero rincasati puntualmente e comunque, la soddisfazione di piangere in quel modo, a quei mostri, non gliela avrebbero data mai, nemmeno sotto le peggiori torture.

Fatto sta che un giorno a suon di busse gli fecero persino uscire del sangue dal naso. In quella occasione i ragazzetti più coraggiosi, il piccolo diavolo in testa, le accerchiarono minacciosi in quattro o cinque, pensando di fare chissà cosa… Ma subito un sonoro sganascione dato al più vicino, ristabilì la reale proporzione delle forze e così tutti se la batterono immediatamente in rapida ritirata. Purtroppo una brutta serata la situazione precipitò ancora di più. Il ragazzo con uno strattone riuscì a liberarsi dalla granaiola di colpi, ma venne subito ripreso e battuto come mai era successo prima. Continuando a divincolarsi venne afferrato come sempre per le braccia e per le gambe come un prigioniero; solo che quella più vicina alla testa gli dava a mitraglia una gran numero di sberle proprio li, e l’altra, con lo stesso ritmo e forza, sulle gambe usando però una ciabatta. Questo fatto della ciabatta, cioè di un oggetto di tortura vero e proprio, ci fece intravvedere la premeditazione della malvagità allo stato puro. Non solo ma le molte impronte rosse delle ciabatta rimaste impresse sulle gambe bianchissime che cercavano inutilmente di divincolarsi, rimasero per sempre impresse nella memoria di tutti i presenti. Questa specie di orribile pantomina sadica, imperniata sulla distruzione totale della dignità umana, per giunta fanciullesca e indifesa, lasciò annichiliti gli astanti che pure si erano già abituati a scene del genere. Ma stavolta avevano veramente superato ogni limite. Il piccolo diavolo pensò non visto, di prendere un sasso e cacciarlo sulla ciribicoccola dei due mostri, ma capì che, novello Ballila, sarebbe stato visto e la sua azione e vocazione rivoluzionaria sarebbe finita miseramente ancora prima di nascere. Infatti mentre i santi non perdono mai l’occasione per mettersi in mostra, i diavoli è meglio che restino clandestini e nascosti, soprattutto quando sono ancora troppo piccoli. Così per la prima volta decise di agire con la tattica della guerriglia: colpire non visto e subito fuggire. Aveva come tutti i bambini una fionda ed in effetti era un ottimo tiratore. Così una mattina non visto, quando la peggiore delle due, si chinava per prendere la spesa, le tirò una terribile fiondata sulle chiappe. La donna per il dolore, lo stupore e la rabbia inaspettata si mise a urlare e a inveire contro il misterioso colpevole. Fece però l’errore di mettersi a bestemmiare: così quando le pie donne della via accorsero alla finestra per vedere che cosa diavolo stesse accadendo , rimasero disgustate e non solo la rimproverarono, ( una donna che bestemmia non si era mai visto), ma neanche le credettero. Così anche lei fece in un certo senso la fine di Polifemo, il quale più urlava e meno lo badavano, mentre il novello Ulisse se la dava a gambe.

Purtroppo i suoi compagni di giochi non erano molto meglio degli adulti e per forza dato che buon sangue non mente.

Dall’altro lato della strada di fronte al condominio, ci stava un altro stabile. Questo aveva una specie di scantinato che era abitato da una famiglia di Chioggiotti. Si trattava evidentemente di persone molto modeste e già questo nel quartiere residenziale li metteva in cattiva luce: come se essere poveri, ignoranti e abitare negli scantinati fosse una colpa irreversibile e imperdonabile. Il piccolo diavolo affacciandosi alla finestra li vedevo mangiare tutti assieme, enormi piatti di pesce come se fossero in una specie di sottomarino al di sotto del livello della strada. Ma la colpa più grossa di tutte consisteva nel fatto che ci avevano una figliola molto cicciona poveretta che i ragazzi, se potevano essere definiti tali, chiamavamo Cicciolinda, unendo insieme il nome e il dispregiativo. In poche parole non facevano che prenderla in giro tutto il giorno, rendendole la vita, già difficile di suo, un vero inferno. Avevano addirittura inventato una filastrocca, e appena usciva la circondavano e facendo un malefico girotondo, la apostrofavano così:

Cicciolinda cicciolinda,

cicciabomba cannoniere,

fa la cacca nel bicchiere,

Cicciolinda la mangiò e siccome non cagava più

alla fine scoppiò.

Quel che è peggio quando cercava di punirli e di vendicarsi dirigendosi verso il primo che la canzonava, quello che le stava dietro le appioppava un bel pizzicotto nel sederone.

E alla fine in effetti scoppiava la poveretta, ma a piangere ed era costretta a rifugiarsi nel bunker sottoproletario sottostradale, dove trovava conforto nella madre che però, proprio come nei quadri di Botero, era incredibilmente ma coerentemente ancora più cicciona di lei. Ovviamente la faccenda durò per settimane. Il piccolo diavolo li osservava dalla finestra (mai e poi mai si sarebbe unito a quel coretto veramente disgustoso e malefico) provando un senso di vomito e di stupore nei confronti dei ragazzi che pure a volte gli erano pur stati amici e compagni di giochi. Cercava di farli ragionare e maturare rispetto a quella sconsiderata iniziativa. Non riusciva a capire come una cosa così ovvia non entrasse nella testa di quei ragazzi che pure facevano la comunione tutte le domeniche. Del resto la stessa cosa accadeva quando cercava di far capire loro che gli indiani avevano ragione e gli americani torto. Non c’era verso di ficcare una cosa così evidente nel loro cervello. Per loro il generale Custer non era un massacratore ma un “ripulitore” come mastro Lindo. Ad un certo punto come spesso accade la cosa passò il segno. Si era di carnevale e tutti i ragazzi uscirono per strada in costume. C’era chi si era travestito da Pinocchio, chi da Zorro, chi da Batman: alcune ragazzine si erano messe in tutu rendendo il confronto con Cicciolinda ancora più aspro ed evidente. Quest’ultima poi si era vestita da Bianca Neve, ed era ahimè in effetti una Bianca Neve un po troppo grossa per essere vera. Naturalmente dopo un po si ripeté la stessa sceneggiata. Ma questa volta la pantomina carnevalesca risultava veramente atroce con tutte quelle giovani maschere che le giravano attorno come i lupi sulla preda. Sembrava per davvero che la vita non fosse altro che una insulsa, assurda e feroce carnevalata. Tanto più che le lacrime avevano trasformato il volto rubicondo della poveretta, colandole impietosamente sul trucco esagerato, in una maschera tragica. A quel punto Cicciolinda si sedette sul marciapiede cadendo in un pianto dirotto e disperato. Sua madre lo vide e perse completamente le staffe, uscendo in strada urlando e agitando un mattarello che sicuramente avrebbe sbattuto su quelle zucche vuote. I ragazzi vista la mal parata fuggirono repentinamente nelle rispettive magioni dei benpensanti.

Fu a quel punto che quella povera rotonda famigliola, per evitare che la figlia troppo abbondante si prendesse un esaurimento, fece le valigie in fretta e furia, raccolse le sue povere cose che stavano tutte in un piccolo furgoncino e se ne tornò da dove era venuta, là in fondo in fondo alla laguna, sulla sinistra.

In quelle settimane quei ragazzacci continuarono a frequentare la messa e a comunicarsi regolarmente; ma proprio quando stavano per prendere l’ostia inginocchiati, con le manine congiunte e tutti compunti, il piccolo diavolo avrebbe voluto intervenire. Avrebbe voluto prenderli a sberloni di fronte a tutti a canticchiare non le litanie del signore ma bensì Cicciabomba cannoniera…fa la cacca nel bicchiere …E si… stava proprio diventando per davvero un piccolo diavolo ma non ne era ancora del tutto consapevole, era ancora nella fase di rodaggio. In effetti almeno un colpo lo aveva già fatto, ma adesso era arrivato il momento del gran salto: il passaggio alla consapevolezza rivoluzionaria e alla lotta continua. Da una parte era una questione simbolica, proprio i ragazzi mascherati gli avevano dato l’idea giusta e necessaria. Doveva assolutamente trovare un costume, anzi meglio una divisa che in parte lo travisasse e in parte evidenziasse il vero motivo della sua battaglia: la lotta per la giustizia e la verità contro le sopraffazioni degli adulti. In definitiva una lotta di vendetta esemplare fatta da un giustiziere encomiabile. L’idea perfetta gli era stata già data da uno dei ragazzi mascherato da Batman, il famoso giustiziere della notte. Il fatto è che gli sembrava ancora troppo giocosa, troppo carnevalesca per così dire, le mancava qualcosa per renderla, ai suoi occhi di ragazzino ormai esagerato ed esaltato, ancora più terribile e paurosa. Inoltre avrebbe dovuto imparare come Fregoli a cambiarsi in tutta fretta per non farsi scoprire e ritornare rapidamente in borghese senza che nessuno se ne accorgesse. In effetti sapeva già dove procurarsi il costume presso una certa edicola dove ci stava anche la sua prima fiamma: una ragazzina adorabile dai capelli biondi e di nome Jenni che stava in classe con sua sorella gemella. E’ questo un argomento importantissimo che svilupperemo tra poco. Per fortuna il costume c’era, la taglia giusta anche. Naturalmente non disse alla bimba il vero motivo del suo travestimento ma lei ne approfittò per dargli un piccolo bacio con la boccuccia per l’emozione di baciare Batman. Adesso non restava altro che prepararsi alla seconda vendetta non più singolare ma collettiva contro i bulli del quartiere. Studiò attentamente le loro abitudini finché non riuscì ad elaborare il piano giusto. Tutti i ragazzi, compreso il gruppo in questione, giocavano pericolosamente a nascondino o ad altri giochi similari , presso un grande edificio fatiscente di fronte alla laguna. In particolare i ragazzi suddetti si riunivano a mo di setta segreta presso una stanza polverosa e piena di ragnatele. A questo punto il gioco era fatto. Dopo essersi cambiato in una stanzetta vicina, attese che il gruppo si insediasse nel covo e in un men che non si dica sbarrò la porta con una piccola trave; non solo ma prese un tubo dell’acqua che si trovava provvidenzialmente li vicino, e incominciò ad innaffiarli per ben benino cantando a squarciagola Cicciabomba cannoniera. Dopo di che si cambiò velocemente e non visto scappò trionfalmente: fu una fortuna perché ovviamente ne sarebbe nato pericolosamente uno scandalo ancora troppo presto. I prigionieri all’inizio si misero ad urlare ma poi dopo la doccia inaspettata, si misero a piangere e a frignare, provando anche loro per la prima volta l’amarezza di subire una grande violenza. In tutti i casi dopo un po, essendo almeno in quattro maschi, riuscirono a sfondare la porta e a tornarsene a casa tutti bagnati dove le presero di rinforzo per averla combinata troppo grossa. Ovviamente raccontarono l’accaduto ma ancora una volta non vennero creduti: chissà cosa avevano combinato, magari coprendo lo scherzo esagerato di uno di loro…

Aveva conosciuto la Jenni in un modo veramente insolito. La sorella gemella nonostante la preferenza della tetta materna era cresciuta malaticcia e mingherlina, ragion per cui il medico le aveva prescritto delle porzioni quotidiane di olio di ricino.

Chissà perché le doveva ingerire a scuola e chissà perché le doveva prendere assieme a suo fratello gemello (che non ne aveva affatto bisogno). Fatto sta che per due settimane tutti i santi giorni, durante l’intervallo si recava in quella classe tutta femminile; ma siccome si vergognava di farlo di fronte a tutte le ragazze (lo sciroppo era proprio disgustoso e rappresentava una specie di vera tortura) aveva chiesto e ottenuto di farlo in modo semiclandestino dietro la lavagna. Questa però era una specie di doppia punizione in quanto dietro alla lavagna molto spesso ci stavano delle pozze di pipi gialla fatta dalle bambine terrorizzate da quelle terribili maestre. E poi si parla di follia e di diavoleria infantile piuttosto che frutto della cosiddetta maturità adulta…Il piccolo diavolo avrebbe voluto prendere la sua fidata fionda e partire subito all’attacco ma era troppo pericoloso: forse bisognava attendere la rivoluzione infantile globale per ottenere vendetta e giustizia. In una di queste occasioni, uscendo con la faccia disgustata da dietro la lavagna, non si sa se per l’olio di ricino o per la puzzetta del piscio, incontrò la Jenni che curiosa, si era fermata per chiedergli cosa stava accadendo. Lui glielo disse ma la ragazza che avrebbe potuto benissimo prenderlo in giro invece lo accarezzò (aveva tanto bisogno di carezze) e gli diede un cioccolatino per rifarsi la bocca. Fu l’inizio di un’amicizia particolare: lei bellissima e biondissima col faccino da Barbie, come se non bastasse, gentilissima e dolcissima creatura, aveva qualcosa di irresistibile, soprattutto per chi era in forte debito di dolcezza col mondo.

La mamma di Jenni gestiva una piccola edicola in fondo alla via vicino alla scuola. Il padre non c’era quasi mai in quanto faceva il marinaio in giro per il mondo. La ragazzina la aiutava facendo li anche i compiti; siccome il piccolo diavolo era anche un piccolo genio con ottimi voti a scuola, la loro amicizia all’inizio si basò soprattutto su una collaborazione scolastica. L’edicola non era molto vicina a casa sua e doveva raggiungerla in bicicletta: come vedremo questo sarà un fattore importante per la prossima avventura. Aiutando la bimba osservava la vita di un’edicola e nei pochi momenti in cui la mamma li lasciava liberi un attimo, combinavano qualche birichinata. Per esempio sfogliando i famosi fotoromanzi dove si vedevano gli attori che si baciavano in bocca. A furia di vederli decisero di farlo anche loro con gran soddisfazione. Era quello il massimo dell’erotismo che potevano permettersi due bambini di dieci anni. Però quelli erano gli anni che uscivano in commercio nelle edicole le prime riviste veramente porno dove si vedeva tutto, ma veramente tutto. Per allargare il magro stipendio mensile la mamma di Jenni le vendeva anche lei, ma le teneva nascoste in un cassettone chiuso a chiave. Fuori teneva solo i manifesti pubblicitari per giunta quelli meno espliciti. Questo nella illusione che la fantasia vergine della sua figlioletta vergine non ne venisse intaccata; ma questo era impossibile evidentemente, soprattutto trattandosi di una femmina, curiosa come tutte le femmine più della trasgressione di un segreto, che del fatto erotico in se. Quindi col tempo doveva assolutamente scoprire cosa conteneva il cassettone, anche se aveva già capito qualcosa da pochi fuggevoli indizi. Era ovviamente qualcosa di estremamente proibito se veniva nascosto in quel modo. Ma lo si capiva anche per l’atteggiamento quasi cospiratorio degli acquirenti, senza contare la loro faccia felice e giocosa, quando stringevano la preziosa rivista al petto neanche fosse stata un tesoro. Tutto questo per dire che aspettava il doppio momento buono: ossia che la mamma si dimenticasse la chiave nella toppa e che subito dopo andasse a fare delle spese li vicino, lasciandola sola appena per dieci minuti. Dieci muniti che come si sa valgono la innocenza di una bambina o più realisticamente il suo reale aprire gli occhi sulle cose del mondo. Naturalmente sfogliò le riviste in fretta e furia e ovviamente all’inizio ne fu sconvolta. Al momento il suo turbamento fu soprattutto di ordine morale, ma poi scoprì che incredibilmente, sotto sotto, le piaceva anche se naturalmente, non approvava. Man mano che lei e il ragazzetto entravano in confidenza finì per svelargli il suo segreto: gli raccontava nei minimi dettagli quello che si vedeva nelle riviste, fingendo di esserne orripilata, al punto che gli diceva con sospetto e paura: – Anche tu, se fossimo grandi, mi faresti tutte quelle brutte cose? Naturalmente lui rispondeva che no, che non gliele avrebbe fatte mai e poi mai. Subito dopo però, seguendo il suo istinto maschile, coglieva l’attimo al balzo e la baciava sulla boccuccia come fanno gli uccellini. Sorse però il problema di confessare tutto al prete in quanto frequentavano ancora la parrocchia. Su questo la loro fede incominciò a vacillare: e se il prete lo avesse detto ai genitori? Era già successo che certe marachelle particolarmente forti, soprattutto a sfondo sessuale (per esempio delle sue amiche che facevano finta di partorire dei bambolotti facendoli uscire da sotto la gonna…) erano rimbalzate dal confessionale alla famiglia.

Tornando alla chiesa anche li ce n’erano molte di cose che si sarebbero potute scrivere nel suo famoso diario clandestino della follia umana. Fino a quel momento era sempre rimasto fortemente ambivalente rispetto alla chiesa e alla religione: in realtà consapevolmente , in base al lavaggio del cervello e ai punturotti di acqua santa che aveva subito come tutti i bambini italiani, voleva fare il prete o addirittura il santo. Tuttavia inconsciamente ne era precocissimamente respinto in base a tante vicende, ininfluenti per gli altri, ma decisive per lui. Per esempio la maestra era solita al cambio dell’ora, inforcare un bel pianoforte con cui deliziava i ragazzi che dovevano anche accompagnarla cantando. Il fatto è che un’ora suonava gli inni religiosi o democristiani, tipo ave maria o biancofiore; ma l’ora dopo suonava gli inni repubblicani rivoluzionari garibaldini, come se gli uni fossero la continuazione degli altri. Provate a immaginarvi Garibaldi che improvvisamente si veste da chierichetto col turibolo, oppure Pio IX che si mette la camicia rossa inforcando la sciabola. Questo tutti i santi giorni per mesi e per anni. Quella classe era veramente un gran palcoscenico ideologico degno del trasformismo di Fregoli. Magari la povera maestra aveva fatto la resistenza rischiando la pelle al 50% per la monarchia vaticana e al 50% per la repubblica laica, senza sospettare minimamente che tra una teocrazia monarchica e una repubblica di origini giacobine non può esserci compresenza e compatibilità (ecco il grande inganno sul quale è nata, o meglio è abortita l’Italia del dopo guerra). Le cose a un certo punto precipitarono almeno per lui. Accadde, quando si dice la forza del destino, nel momento in cui lessero in classe alcuni argomenti in realtà scabrosi: prima la vicenda mitica del Minotauro e subito dopo le tragiche gesta della repubblica romana. Avevano appena finito di decantare la verginità della madonna, cosa di cui in realtà non avrebbero dovuto sapere niente, quando la maestra raccontò del terribile Minotauro mezzo uomo e mezzo toro (con tanto di esplicita immagine cornuta). A quel punto quello più scemo della classe, senza rendersi conto del vespaio che stava andando a suscitare, alzò la mano e chiese: Ma come è potuto accadere tutto ciò, voglio dire quella povera mamma…?…Al che tutti si misero a ridere volgarmente come a volte accade persino nelle classi migliori. Ma il peggio venne da quello più discolo che subito aggiunse esplicitamente:

– Si va be la mamma, e il papà? Subentrò un silenzio assoluto e inquietante. Cosa volasse nel conscio e nell’inconscio di quei poveri e confusi ragazzi non lo saprà mai nessuno. Del resto anche la madonna era rimasta incinta di un angelo che, comunque sia, è sempre una specie di grosso uccello. Fatto sta che la povera maestra rimase in silenzio e risolse il problema nel solito modo, ossia mettendosi a suonare improvvisamente le grazie della vergine Maria. Questa volta però con largo e imbarazzato anticipo. La situazione precipitò nell’ora dopo quando si lesse e quindi si dedusse in modo inequivocabile, che nel fatidico 1848 Garibaldi aveva preso a cannonate il papa e che l’inventore dell’inno nazionale, il povero Mameli era morto a soli 21 anni ucciso dalle pallottole delle truppe collaborazioniste francesi. A quel punto il nostro incominciò a guardarsi intorno pensando di vivere in un mondo circondato da gente completamente pazza o ipnotizzata, il che è lo stesso. Anche gli altri ragazzi avevano letto e sentito la storia di quella emblematica ed eroica vicenda, ma senza aver capito nulla o facendo finta, anche peggio, di non aver capito nulla. Un risultato, la cancellazione totale del significato del nostro risorgimento, che evidentemente accade ancora oggi con gli adulti e più che mai. Dunque per la prima volta si accorse di vivere come in un terribile incantesimo dove il bianco era nero e viceversa, dove si poteva dire tutto e il contrario di tutto, purché la chiesa avesse sempre ragione. In questo modo poteva sempre sopravvivere nei secoli dei secoli a tutte le sue bugie, a tutti i suoi scandali e ai suoi crimini . Poteva mantenere come se nulla fudesse, il suo potere ideologico e temporale per continuare a fare i famosi punturotti di acqua santa nel cervello dei poveri infanti, facendoli restare tali per tuta la vita. In questo modo poteva dalla culla alla bara, esercitare il suo potere di seduzione e plagio, secondo un ciclo ininterrotto che coinvolgeva tutto il popolo italiano nei secoli dei secoli e amen. Poteva insomma impedirci qualsiasi forma di educazione sessuale anche la più blanda e innocente, ma nello steso tempo presentarci improvvisamente forme di inquietante zoofilia bovina, sia pure mascherata e sublimata sotto le vesti di innocente favoletta mitica. Quel giorno tornò a casa terribilmente turbato, non mangiò e andò subito a letto. In realtà stava aspettando che poco dopo aprisse la biblioteca comunale, dove appena possibile si fiondò immediatamente. Per prima cosa approfondì la faccenda del Minotauro dove scoprì ovviamente che la madre poco virtuosa Pasifae, si era effettivamente impudicamente accoppiata con un toro… Non solo ma per poterlo fare si era fatta costruire per la bisogna, una vacca di legno dove potersi accomodare per ricevere più comodamente il bestione cornuto e cazzuto. Fino ad allora le sue nozioni di educazione sessuale erano molto superficiali e tutte desunte da soffiate dei compagni tra una musichetta liturgica e un ritornello pseudo-patriottico. Ma adesso gli si era spalancato un mondo completamente nuovo e decisamente sconcertante. Passando al povero Mameli e ricercando tutto quello che non c’era nel suo abbecedario censurato, venne sapere che Pio IX aveva fatto tagliare la testa a 200 persone. Quel giorno fu come se gli avessero tolto per sempre il paraocchi ; ma la cosa più sconcertante fu nel prendere atto che gli altri invece lo volevano mantenere a tutti i costi. Da un certo punto di vista non poteva dargli torto: quel terribile disincanto gli aveva provocato un dolore addirittura fisico, come se gli avessero estirpato e rifatto le cornee e le meningi fulmineamente. Ma adesso vedeva il mondo finalmente con i suoi occhi e com’era veramente e non come volevano farglielo vedere: il problema era che così com’era non gli piaceva affatto. Cercò inutilmente e pericolosamente di far ragionare i suoi compagni. Uno di essi a un certo punto controbatté:

-Si d’accordo, i genitori e i preti non ti raccontano nulla, ma se tu guardi per strada, basta vedere i cani che si accoppiano alla luce del sole, e capisci tutto di colpo. E lui:

-Si ma ti piacerebbe che tua madre si accoppiasse con un toro o con un cane? E un altro :

-Va be, l’Italia l’avranno anche fatta Mazzini e Garibaldi, il povero Mameli ci sarà anche morto, ma poi si è persa per strada, adesso ci stanno i preti e amen. Un altro ancora rincarò la dose:

– Si scopron le tombe, escon i morti risorti e i morti dei ta morti…

Alla fine anche la maestra venne a sapere di questi ragionamenti e così lo convocò di fronte alla lavagna come per interrogarlo. Stava per scoprire velocissimamente quanto pericoloso fosse, se uno insisteva troppo, perdere gli occhiali ideologici forniti dalla famiglia e dalla scuola,. Infatti la maestra repubblicana-vaticana per prima cosa gli mollò un sonoro ceffone dicendo così:

-Vergognati stupidotto , sei sempre il più bravo della classe ma a volte sembri il più … fesso di tutti! Ma da dove ti vengono certi idee, diavoletto…

Allora trattenendo le lacrime e la vergogna protese il collo in avanti con un atteggiamento provocatorio e retorico. Allora la maestra:

-E adesso che fai?

-Signora maestra porgo l’altra guancia come i veri cristiani.

-Ah si disse, e allora beccati anche questa… A quel punto gli rifilò un altra bordata, ma questa volta andò a vuoto, perché il ragazzo la scansò velocissimo. La sacerdotessa pseudo-laica della religione e dello stato (vaticano) invece colpì la lavagna, provocandosi un gonfiore alla mano, ma soprattutto fece cadere per terra il crocefisso che la bidella, per pulirlo, l’aveva dimenticato appoggiato al bordo superiore della cattedra.

Quando il crocefisso cadde per terra andando in mille pezzi e tutti i ragazzi fecero Oooh! Oooh! Poi per fortuna suonò la campanella dell’ultima ora e tutti si affrettarono a uscire rumorosamente per tornare al più presto alle famiglie dove naturalmente raccontarono tutto. La sua lo seppe dopo alcuni giorni ; suo padre che avrebbe potuto e dovuto suonargliele di brutto, si mise a ridere a crepapelle mentre la madre si arrabbiò moltissimo. Gli disse:

-Andrai all’inferno esattamente come tuo padre che bestemmia sempre.

Allora andò subito da papà per dirgli:

-Papà non devi bestemmiare ,come dice la mamma, se non vuoi andare all’inferno e poi dai un cattivo esempio anche a me…E lui di rimando:

-Ma io non bestemmio mai porco (Z)io! In effetti non capiva mai se gli adulti lo erano o ci marciavano come a scuola. Sua madre però non scherzava. Un brutto giorno appoggiando scioccamente la mano sopra la stufa, forse per autopunizione inconscia di quello che aveva fatto alla maestra, si procurò una brutta e dolorosissima ustione. Allora la madre misericordiosa gli disse:

-Ah ah caro mio, quello che provi adesso lo proverai per l’eternità se andrai all’inferno!(possibilmente insieme al tuo caro papa). Naturalmente rimase scioccato da questa affermazione così piena di realismo e amore materno rivisitato dalla parte di Dante Alighieri. Poi un po alla volta incominciò a capire che la poveretta da una parte delirava in senso cristiano, più o meno come tutti, ma dall’altra non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire fare la madre. Un po come la maestra anche se entrambi a livello istituzionale erano circonfuse di santità: guai a metterle in discussione come se fossero state allo stesso livello di infallibilità del papa.

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A parte questi trascorsi l’amicizia tra i due ragazzi andava a gonfie vele. Arrivarono a un punto tale di confidenza che tra di loro non c’erano più segreti. Ma la loro occupazione principale, a parte darsi innocenti bacini, consisteva nel leggere assieme i loro fumetti preferiti: Blek Macigno, Capitan Miki, Zagor, l’Uomo mascherato ecc ecc. Tuttavia nonostante che fossero tutti ambientati nel far-west e chiaramente filo americani, loro invece stavano dalla parte degli indiani: al che lui spesso le diceva tu sei la mia squaw. Nel frattempo chiaramente lui le aveva raccontato tutto sulla sua attività rivoluzionaria e soprattutto sulla sua ricerca di una divisa veramente adatta alla bisogna. Finché un giorno accadde un fatto particolare che risultò molto importante per il proseguo del racconto. Era arrivato in edicola un album di fumetti particolare dal titolo “La vendetta di Kinowa”. Si trattava di una storia molto avvincente che li tenne col fiato sospeso fino all’ultimo. Questo Kinowa non era altro che la divinità indiana di una certa tribù il quale era preposto al ristabilimento della giustizia e alla vendetta. Da quando c’erano gli americani non accadeva più tra indiani ma era sempre indirizzata in qualche modo a controbilanciare le loro ingiustizie e il loro strapotere militare. In pratica dopo ogni sanguinosa vittoria degli indiani, accadeva un evento per così dire esoterico e straordinario. In poche parole apparivano in cielo delle nuvole e queste un po alla volta assumevano l’aspetto del viso mostruoso di Kinowa: vale a dire una specie di demone con il volto terribile e dei piccoli corni in testa. Il fatto precipuo che nel cielo si potessero veramente formare i tratti di un volto diabolico era una cosa che li eccitava moltissimo, con tutto il suo mistero e col senso di onnipotenza di forze oscure e misteriose che possono guidare il nostro destino. A quel punto il piccolo diavolo della vendetta cosmica e infantile finalmente vi si autoriconobbe e disse alla Jenni:- Si è proprio lui o meglio è come vorrei essere io: è quella la maschera che mi manca, con quel ghigno e quei cornetti così paurosi e inquietanti. Allora la Jenni gli fece un gran sorriso e disse:- Ma guarda carino che io ce l’ho; o meglio ce l’ha mamma se non l’ha ancora restituita, visto che carnevale è già finito da un pezzo. Certo non è proprio così ma ci manca poco: secondo me ne sarai contento. In effetti la mamma in occasione del carnevale, teneva nel retrobottega una serie di maschere che erano rimaste invendute e che non aveva ancora restituito: tra queste c’era quella somigliante al demone indiano, forse perché appunto faceva troppo paura ai bambini e ai genitori; ma proprio per questo faceva al caso suo. Andarono subito a vederla: veramente assomigliava più di tutto un demone etrusco, nel senso che il suo ghigno poteva anche sembrare, più che altro, una sorta di sghignazzata. Tuttavia in base alla teoria degli opposti che si compenetrano e a volte, persino nell’apparenza, si assomigliano (quante volte è successo di scambiare l’acqua per del fumo o addirittura per un piccolo fuoco che sta avvampando…) quel ghigno ridanciano poteva benissimo essere scambiato per quello sadico e compiaciuto della vendetta. Detto fatto andarono nel ripostiglio, trovarono la maschera che venne subito indossata dal maschio e poi dalla femmina: alla fine come succede tra ragazzi tutto finì con delle gran risate. Però alla fine si arrabbiò perché disse che era una cosa “seria” da maschi. Allora lei per la prima volta prese paura e disse:- Ma non sarà troppo pericoloso? E lui: – Ma è proprio il pericolo che rende tutto questo così eccitante. I due in quel momento non avevano il più piccolo sentore del terribile destino che si stava addensando su di loro.

Più avanti Jenni gli confessò per così dire un altro piccolo segreto. Il cliente preferito del reparto porno dell’edicola era proprio il papà di un loro compagno di scuola. Naturalmente si trattava di un distinto signore che nessuno , almeno a quel tempo eroico del primo porno, sospettava di un simile diletto. Faceva sempre una pantomina ben precisa e ripetitiva. Prima di tutto telefonava in anticipo per andare sul sicuro e per evitare pericolose perdite di tempo. Arrivava parcheggiando la macchina un po lontano, si avvicinava all’edicola per giri concentrici, cercando di non essere visto da nessuno; infine quando usciva col malloppo lo inseriva subito in un giornale quotidiano sempre per fare in modo che nessuno se ne accorgesse. La cosa incredibile consisteva nel fatto che quando entrava in edicola era già tutto sudato e rosso in visivo, evidentemente pregustando il piacere proibito. Ma non finiva qui: dietro all’edicola vi era un piccolo giardinetto semi abbandonato, vi si accedeva scavalcando in modo accessibile una recinzione di rete mezza arrotolata. Nel bel mezzo ci stava una piccola panchina mezza rovinata ma sempre predisposta all’uso. Di sera ci andavano dei ragazzacci a fumare e questo lo si capiva dal gran numero di cicche abbandonate; per fortuna non era ancora il tempo, che sarebbe arrivato molto presto, dei ragazzi drogati. Tornando al nostro porno eroe Jenni lo scoprì che a volte, soprattuto quando c’erano i numeri più intriganti con bellissime attrici ben in vista, non riuscendo a resistere per l’eccitazione, se ne scappava furtivo nel giardinetto. Qui provava evidentemente lo stesso piacere primigenio che aveva provato Adamo a vedere Eva finalmente completamente tutta nuda senza foglie rami o quant’altro. La faccenda però non finiva lì: era successo che il compagno di scuola, il figliolo del pornografo incallito, gli aveva raccontato questo incidente increscioso. Una volta aveva trovato per strada uno di suddetti giornaletti e non resistendo alla voglia, buon sangue non mente, se lo era portato a casa. Lo aveva nascosto ma la madre lo aveva scoperto lo stesso, e portato l’oggetto del delitto di fronte al marito aveva preteso e ottenuto una sonora punizione. In questo modo l’ipocrita difensore della morale non solo gliele aveva suonate, ma per giunta gli aveva proibito di vedere quella sera stessa una importante partita di calcio. Ancora una volta era troppo, e poi l’occasione faceva l’uomo ladro e la relativa vendetta ancora più fetente. Vi erano troppe circostanze favorevoli, la vicinanza strategica dell’edicola e del giardinetto; infine il movente era perfetto. Non si trattava certo di punirlo per via del porno, scherziamo; il vero motivo era quello della sua viscida ipocrisia e soprattutto della sua crudele viltà, nel punire in quel modo il povero ragazzo praticamente innocente, il quale per giunta non faceva che seguire le orme del padre. Visto che i grandi non facevano educazione sessuale, i piccoli dovevano pur arrangiarsi in qualche modo.

Ancora una volta il piccolo diavolo elaborò un piano perfetto, ma soprattutto questa volta lo avrebbe eseguito ben in vista mostrando la sua nuova divisa completa.

Prima di tutto preparò una doppia trappola: mise vicino alla panchina del filo trasparente resistente e ben teso tra due pezzi di ferro infossati e nascosti con dell’erba. Poi come se non bastasse fece li vicino un buca (sempre ricoperta e nascosta in qualche modo) fatta più o meno all’altezza della faccia del poveraccio che doveva cascarsi sopra. Infine per completare l’opera la riempì di merda di cavallo, materiale che abbondava per strada essendoci li vicino un famoso galoppatoio. Non solo ma mise poco prima del suo arrivo un potentissimo collante sulla panchina.

Aspettarono l’occasione per l’uscita di un famoso numero con in mostra le nudità di Brigitte Bardot ed effettivamente ebbero la intuizione giusta. L’uomo si presentò dopo aver prenotato la rivista e quindi tutto fu pronto per l’agguato. Naturalmente mancava solo che si recasse furtivo e arrapato nel giardinetto retrostante. In tutti i casi il piccolo diavolo aveva la via di fuga garantita da una porticina aperta da Jenni (sempre sperando però che la mamma più avanti sul bancone non si accorgesse di nulla)

In ogni caso tutto filò liscio come l’olio (o quasi). L’uomo dunque alla fine si sedette sulla panchina e proprio in quel momento gli apparve improvvisamente Kinowa urlando: Brutto sporcaccione vergognati di aver vigliaccamente picchiato tuo figlio! Il tipo vedendo quello stranissimo personaggio ovviamente prima si stupì, ma subito lo stupore si tramutò in una fortissima irritazione. Quindi si alzò di scatto per corrergli addosso e magari afferrarlo e dargli una lezione. Invece accadde il contrario e fu proprio lui a subire una doppia meritata punizione. Prima di tutto gli si strapparono i pantaloni incollati sulla panchina, per cui rimase in mutande; dopo di che pazzo d’ira, si precipitò contro il misterioso diavoletto, ma inevitabilmente incappò e inciampò nella trappola, cadendo col muso proprio nella pozza piena di merda fresca fresca di cavallo. A questo punto Kinowa si era già dileguato nel portoncino insieme alla sua bella complice. Il tipo ormai disperato e non sapendo più che pesci pigliare, con una mano cercava di pulirsi il viso con un fazzoletto, e con l’altra utilizzava la rivista, questa volta per coprire le sue medesime nudità. Avrebbe voluto rientrare nell’edicola per cercare di scoprire qualcosa, ma ormai doveva solo cercare di non peggiorare lo scandalo. Quindi si diresse a stento verso la macchina, non prima di aver suscitato la ilarità generale dei pochi passanti. In quanto alla moglie , ritornato a casa , non si sa che cosa le abbia raccontato; tuttavia questa volta fu suo figlio a chiedere alla donna di punire il padre snaturato che tornava a casa in quelle condizioni così ridicole e vergognose; ma la cosa finì subito essendo troppo pericolosa. Tuttavia per la prima volta incominciò a far circolare la voce che nel quartiere c’era un bambino (o un nano?) pazzo e diabolico, che vestito da diavoletto, ma era un diavoletto, faceva degli scherzi atroci. Così la voce un po alla volta si diffuse e la gente incominciò a fare uno più uno ecc ecc., insomma sommando tutti gli episodi sospetti. Si incominciò a fare una specie di lista di proscrizione sui ragazzi più scapestrati e pazzi del quartiere: e naturalmente c’era anche lui, ma siccome non c’era uno straccio di una prova, al momento tutto finì lì. Anche perché nessuno ancora una volta fece un esposto ai carabinieri. A questo punto della situazione Jenni e il piccolo diavolo decisero di prendersi una pausa di riflessione godendosi la gioia delle vittorie e delle vendette fin qui accumulate. Così passarono mesi e mesi di relativa quiete nel quartiere e le voci si affievolirono fino a quasi scomparire del tutto. Dopo un po divenne evidente che era arrivato il momento di passare all’azione per una seconda campagna vendicativa.

Veramente l’occasione gli arrivò ben presto quando il padre di Leonina la prese a scudisciate con la cintura. Le stanze dei due ragazzi erano limitrofe per cui si sentiva tutto: il rumore delle scudisciate sul sedere paffuto, le urla e le lacrime della povera ragazza, ma soprattutto le invocazioni di smettere rivolte al carnefice o le richieste di aiuto rivolte non si sa a chi. Naturalmente avrebbe voluto vendicarsi nella solita maniera ma capì subito, per fortuna, che non poteva farlo perché era troppo rischioso.

Decise allora di cambiare genere e obiettivo: di dedicarsi questa volta alle cavolate fatte in ambito ecclesiastico. La prima occasione gli venne data da una strana amicizia che era nata tra suo padre e fratello Cirillo. Strana proprio perché al papà della religione non gliene fregava proprio niente, a parte i vantaggi convenzionali nel far finta di essere cristiani, come una volta nel passato regime si faceva finta di essere fascisti. Dunque doveva esserci qualche altro motivo, questa volta evidentemente di ordine materialista ed edonista, che doveva spingere i due incredibili personaggi a una assidua frequentazione. Cirillo era un ometto più largo che lungo con una pancia rotonda che ricordava quella di S.Tommaso. Portava sempre lo zucchetto da francescano in testa, ma aveva un particolare abbastanza sconcertante che avrebbe dovuto aprire gli occhi sulla sua reale identità. Infatti frate Cirillo portava sempre i sandali ovviamente, ma d’inverno inforcava anche dei robusti calzettoni di lana. Il piccolo diavolo aveva già visto parecchi francescani ma tutti, anche d’inverno,

andavano in giro rigorosamente a piedi nudi; a volte vistosamente rossi e gonfi per il freddo. Al che si domandava come facevano a sopportarlo nella congrega. Ma quando chiese al padre come mai il santo uomo portasse i calzettoni di lana questi gli diede subito una risposta valida: soffriva di artrosi ai piedi e il suo superiore gli aveva dato una speciale esenzione dalla regola. A parte questo piccolo particolare Cirillo era dotato di un piccolo motocarro a tre ruote con il quale scorrazzava per l’isola tutto il santo giorno. Era una scena un po ridicola perché siccome era molto grosso e pesava un casino, riempiva tutto l’abitacolo, quasi lo sfondava, senza contare la fatica che faceva il piccolo mezzo a scarettarlo così rumoroso e puzzolente tutto il santo giorno. Sembrava sempre sul punto di scoppiare ma evidentemente la santa provvidenza lo sosteneva al di la dei suoi stessi mezzi meccanici. Che ci faceva il buon frate con il suo carrettino semovente? In realtà il frate nel suo convento era predisposto a due mansioni: tenere le galline e badare alle vigne. Conseguentemente passava tutto il giorno a procurarsi del pane vecchio per i pennuti (dando in cambio delle uova o addirittura qualche pollo) nonché a trasportare damigiane di vino che ovviamente rivendeva.

Anche su questo ultimo particolare di un frate che vende vino forse si poteva pignolare un po con eccessiva malizia. Probabilmente era una cattiveria fatta a vanvera, tanto più che il buon Noè era considerato nella bibbia tra i primi santi uomini abitatori della terra. Tutto questo al piccolo diavolo suscitava al momento solo affetto e simpatia. Si trattava di sentimenti ed emozioni che non diminuirono, anzi aumentarono quando si accorse di una piccola scenetta incorsa tra il frate e il genitore. Un giorno Cirillo fece montare il padre sul motocarro, non certo insieme a lui davanti, non c’era posto, ma dietro dove caricava le damigiane. Anche così il motocarro partì a gran fatica, dato il peso e la stazza dell’uomo completamente sdraiato sul pavimento e con gambe penzolanti…

Il piccolo diavolo decise subito per gioco e per curiosità di seguirli inforcando immediatamente la biciclettina; non era difficile in quanto in quelle condizioni andavano veramente pianino. Non arrivarono fino al convento, che in realtà era molto distante: si fermarono in una specie di stazione di servizio, in un posto abbastanza desueto e diroccato, una specie di garage con un piccolo giardino. Li nascosto come al solito dietro a un cespulgio il nostro piccolo pestifero eroe poté osservare una scena abbastanza incredibile. I due uomini tirarono fuori dal garage una serie di bottiglie: ad alcune di queste aggiunsero un po di acqua. Disse ridendo frate Cirillo:- Queste sono per le signore, tanto non se ne accorgono e poi è sempre una buona azione che così non gli fa male.

Al che suo padre:- Certo, l’uomo di chiesa sei tu e la differenza tre il bene e il male è affar tuo, e così anche la differenza tra l’acqua e il vino. Le altre bottiglie, quelle piene, invece incominciarono a scolarsele a velocità impressionante. In poco tempo si ubriacarono del tutto e perso ogni ritegno presero a cantare a squarcia gola, tanto difficilmente qualcuno avrebbe sentito e soprattutto visto. Tutti forse, tranne il dectetive della rivoluzione infantile, come al solito appostato dietro a un cespuglio.

Lui però continuava a ridersela, e così fu anche quando i due mattacchioni incominciarono a intonare delle vere e proprie canzonacce volgari, tipo osteria numero mille il mio cazzo fa scintille ecc ecc. Però anche in questo caso Cirillo poteva essere perdonato. A causa del vino si era abbandonato ai ricordi della sua gioventù, evidentemente prima di scegliere con alterna fortuna, la via della santità. Però alla fine che strano frate! Era veramente l’unico frate con cui suo padre avrebbe potuto stringere una solida, anzi liquida amicizia. In seguito la situazione precipitò, in quanto è proprio il caso di dirlo, il diavolo ci mise la coda.

Era arrivato il giorno dei morti e come sempre aveva accompagnato tutta la famiglia in cimitero a visitare la tomba del nonno morto da poco. Uscendo si erano messi a parlare con altre persone: sapendo che avrebbero parlato di defunti per almeno venti minuti, non sopportando questa incombenza, era sgattaiolato via. Poco distante era stato incuriosito da una lunga fila di persone. Poiché stavano una dietro l’altra non si capiva cosa stessero combinando, ma avanzando dopo un po’ vide che facevano a capo di un tavolino dove stava seduto, ma guarda un po, proprio frate Cirillo. Ognuna di queste persone una volta arrivata al tavolino si chinava, firmava un foglio e poi sborsava una certa cifra che l’imperterrito frate univa a un fascio di banconote sempre più consistente. Siccome il mistero perdurava, il ragazzo chiese alla persona più vicina che cosa caspita stesse accadendo. Trovò la persona giusta, anche troppo giusta. Infatti come vedremo alla fine gli fornì, con una certa faccia tosta, delle informazioni riservate; talmente riservate che forse altri o non sapevano o non avrebbero avuto il coraggio di spiattellare. :- Guarda, disse il signore interpellato dal ragazzo, quell’uomo (disse uomo e non frate…) sta raccogliendo a pagamento le prenotazioni per le messe dei poveri defunti. A quel punto il ragazzo emozionato sbottò: E’ veramente un sant’uomo, a parte la faccenda delle calze…Ma l’altro bruscamente contro rispose:- Ma che santo d’Egitto, bambino mio hai ancora tanto da imparare sulla vita…Prima di tutto non è un frate, è un finto frate; secondariamente qui le messe costano più care che nelle altre parrocchie (il furbo pesudo frate se ne approfittava per la fama del convento) e la differenza, diciamo la tangente, la intasca proprio lui. Te capì?! Però il ragazzo a quel punto volle approfondire, doveva assolutamente venire a capo di questa strana ed equivoca faccenda.- Ma com’è possibile tutto ciò, sembra incredibile! :- Ovviamente il convento lo sa, ma lascia fare perché Cirillo gli porta parecchi soldi con il commercio del vino, e adesso lasciami in pace curiosone.

In effetti la faccenda era andata così. Cirillo parecchi anni fa era un semplice manovale lavorante del convento. Siccome anche i veri frati che ci lavoravano stavano in borghese o in divisa da lavoro, forse anche perché ci aveva veramente la faccia da frate (solo quella) col passar del tempo la gente incominciò a pensare che anche lui fosse un vero frate e incominciò a chiamarlo e considerarlo come tale. A quel punto Cirillo fece di necessità virtù, vestì il saio e nessuno nel convento obbiettò, tanto più che probabilmente non era l’unico caso di doppia personalità…In seguito le cose migliorarono e si stabilizzarono in senso monetario per via del pollaio e della vigna. Peggiorarono e di molto invece per il piccolo diavolo. Intanto ecco il vero fondamento ontologico e teoretico dell’amicizia tra i due furbacchioni: la famosa e famigerata convenienza a far finta si essere cristiani. Alla fine il finto religioso oltre che ubriacone, speculava persino sui defunti. Era troppo. Decise di affrontarlo nel solito posto per essere sicuro che si fosse ancora sbronzato con l’altro falso cristiano e per le facilitazioni logistiche (il posto appartato, la facilità delle vie di fuga ecc) Tuttavia non lo voleva punire colpendolo, ma solo sbeffeggiarlo e fargli prendere se possibile, un po di paura. Le cose però andarono diversamente. Aspettò che i due si fossero separati . Suo padre sarebbe andato in altre osterie con certi amici a smaltire la sbronza, a casa non si poteva certo presentare in quelle condizioni. Il frate invece rimase lì come accoccolato e appisolato, su una specie di sacco, mezzo ubriaco e mezzo addormentato, con ancora il fiasco mezzo pieno in mano. Aspettò che lo tracannasse un altro po e poi come al solito gli zompò davanti saltellando all’improvviso. Il frate nell’immediato non credeva ai suoi occhi, pensava che fosse a causa dei fumi del vino se vedeva fuori dal carnevale, uno strano diavoletto, che saltellando di qua e di la gli urlava a squarciagola:- Pazienza finto frate, pazienza ubriacone, ma anche speculare sui poveri morti! Vergogna! A quel punto però Cirillo, smentendo di colpo quella apparente bonomia che sembrava trasudare dalla sua figura corpulenta, ebbe la pessima idea di lanciargli addosso uno dei suoi pesanti zoccoli di legno. Per fortuna a causa della sbronza e della agilità del bersaglio, il colpo andò a vuoto, ma avrebbe potuto avere ben altre conseguenze. Subito il piccolo diavolo si ricordò di un altro episodio, dove in una situazione simile, un altro frate (vero, falso?) aveva tirato, per giunta bestemmiando, uno zoccolo in testa a un ragazzo che per fortuna anche lui l’aveva scansato. A quel punto Kinowa veramente incazzato prese la fionda e in un men che non si dica incominciò a bersagliare le numerose damigiane che si trovavano nel cortile. Cirillo colpito a morte si alzò di scatto per rincorrerlo, ma scivolò proprio sul vino, inzaccherandosi tutto. Nel frattempo come al solito, il vendicatore si era già cambiato e scappato velocissimo. I superiori del convento vedendo Cirillo come se avesse fatto il bagno nel vino lo punirono con diversi giorni di digiuno (che per lui era la cosa peggiore del mondo) ma fecero purtroppo, soprattutto a causa dell’ingente danno economico, un esposto ai carabinieri. Questi naturalmente avevano già da parecchi mesi avuto sentore della strana faccenda , ma adesso per la prima volta avevano un precedente di tipo legale.

Per il momento si limitarono di telefonare ai genitori dei vari sospettati raccomandando loro di frugare nelle camere alla ricerca del famoso costume del piccolo bandito; al che avevano la scelta della punizione e soprattutto l’obbligo di impedire ogni recidiva. Anche sua madre, furente per essere stata chiamata in causa, cercò a lungo nella cameretta, ma per fortuna non trovò nulla per il semplice fatto che suo figlio la divisa da criminale, la teneva nascosta in un sacco dentro un albero cavo.

Il ragazzo però non seppe nulla di tutto questo e quindi decide di continuare per un altro po. Siccome ci aveva preso gusto con gli ecclesiastici, neanche a farlo apposta il destino volle che la sua prossima vittima fosse Don Silvio il prete principale della sua parrocchia. In realtà Kinowa non aveva ancora detto nulla al prete in confessione; anzi era molto tentato di riavvicinarsi alla chiesa; ma a una condizione. Avrebbe buttato alle ortiche la divisa del piccolo demone se avesse indossato quella di chierichetto. Se fosse riuscito nel suo intento sarebbe tornato a confessarsi e a comunicarsi dopo aver sciolto ogni dubbio sulla religione. Chi ha detto che anche i piccoli non possono avere delle crisi religiose. Così andò dal prete che gli chiese come mai era così discolo e come mai proprio lui volesse fare il chierichetto. Il ragazzo rispose che era si pentito, ma che si sarebbe finalmente confessato e comunicato solo se gli avesse realizzato il suo desiderio. La faccenda non era molto ortodossa, ma trattandosi in fondo di un bambino, si poteva chiudere un occhio. Tuttavia il bambino si fece giurare dal prete che avrebbe mantenuto il segreto confessionale. Il prete sentendo tutte quelle malefatte scoppiò a ridere e osservò che non era tutto male quello che era successo, causato dalla malvagità degli adulti e da un forte senso di giustizia del bambino. Naturalmente si fece giurare che avrebbe smesso per sempre quelle assurde e pericolose malefatte. Per finire gli impartì due obbligazioni: per prima cosa ovviamente gli diede una serie infinita e variegata di preghiere come penitenza. Infine disse:- Se vuoi fare veramente il chierichetto devi imparare a memoria questo libricino pieno di domande e risposte, una specie di catechismo per la bisogna. Alla fine ti interrogherò ma sappi che devi imparare tutto a memoria per filo e per segno. Intanto frequenta pure gli altri chierichetti per entrare in sintonia col gruppo. Ci sentiamo tra un mesetto. Il ragazzo era pazzo di gioia, si pentì e pianse amaramente per averne combinate di tutti i colori. Così, dopo aver preso alla lettera tutto quello che gli era stato detto, da una parte incominciò a studiare tutto il giorno il libricino di ben trenta pagine, e dall’altra incominciò a frequentare il gruppo di ragazzi che in parte già conosceva. Qui ebbe subito una delusione terribile: non erano affatto dei bravi bambini, ma dei veri e propri ragazzacci figli del popolo se a questa espressione diamo il senso più basso e volgare. In parole povere non gliene fregava niente della religione, lo facevano solo in parte per il prestigio, ma soprattuto perché ci avevano gratis l’abbonamento ai film della sala parrocchiale. Per il resto quando don Silvio non li sentiva bestemmiavano, a volte facevano a botte tra di loro, e cosa incredibile, nascondevano in parrocchia i soliti giornaletti osceni per farsi le seghe sacramentate di gruppo. Infine ovviamente del famoso manuale delle giovani marmotte non sapevano un fico secco. Com’era possibile che don Silvio non si fosse accorto di nulla? Com’era possibile che nel caso se ne fosse accorto tollerasse tutto questo? Sempre più disgustato ma deciso a portare a termine l’operazione il giorno pattuito si presentò da Don Silvio per sottoporsi al famoso esame. Bisogna dire che alla messa della mattina c’era stato un piccolo ma increscioso incidente: uno dei chierichetti aveva perso di mano la boccetta del vin santo che si era rotta e sparpagliata per terra. Presentatosi di fronte al parrocco (che in realtà sperava segretamente in cuor suo, che il ragazzo, a motivo delle clausole vessatorie mnemoniche, avesse rinunciato) subito ci fu un colpo di scena. Infatti il prete immediatamente e incredibilmente gli disse:

-Non ti voglio neanche ascoltare, tu il chierichetto purtroppo non lo potrai fare, rasseganti e mettitela via. E lui quasi piangendo:

-Ma don Silvio, so tutto a memoria mi creda ( solo lui sapeva il peso delle notti insonni a memorizzare quel noiosissimo malloppo).

-Ah non ne dubito, ma non è questo il punto. Il punto è che un conto è la teoria e un conto la pratica (stava cercando di guadagnar tempo e menar il can per l’aia); tu osservali bene i chierichetti, tra un mese torni e facciamo una specie di prova generale di tipo pratico, al di fuori della vera messa ovviamente ( forse la diplomazia, cioè l’arte di inventare balle, perdere tempo e mettertela in quel posto, l’hanno inventata i preti) . Al che rispose che veramente lo stava prendendo in giro, citando l’episodio della mattina e soprattutto spiattellando (non avrebbe mai voluto fare la spia…) tutte le malefatte di quei bravi ragazzi. Allora don Silvio molto spazientito e punto sul vivo gli disse:

-Guarda tu veramente mi costringi a dirti tutta la verità.

-Non chiedo altro.

-So benissimo che sono dei cattivi ragazzi; anzi sono proprio i peggiori del quartiere. Ma proprio per questo solo in questo modo li posso tenere d’occhio e sperare che si redimano un po alla volta. Tu invece sei già santo, non ne hai bisogno capisci, non posso perdere tempo con te. Anzi se proprio lo vuoi sapere ho il sospetto che non sei affatto cambiato: sei il solito idealista estremista puro dei miei stivali. Stai attento che questo modo di pensare è a metà strada tra la santità e la diavoleria. E adesso vai pure con Dio e non mi seccare più. Lui se ne andò via piangendo e in effetti meditando ancora una volta la giusta vendetta, tornando a diseppellire l’ascia di guerra.

Tuttavia passò parecchi giorni a rimuginare su quei concetti e su quei “valori” prima che ritrovasse un minimo di calma interiore, prima che tutta la situazione nel giro di una sola settimana, nell’improvviso precipitare degli eventi, volgesse tragicamente al peggio.

Ma come pensava tra se e se, allora il cristianesimo premia i malvagi e punisce i buoni? In un certo senso fa vincere gli ultimi ma nel senso peggiore: si possono far vincere nel senso della giustizia e della eticità ripristinata, ma non nel senso che vincono i malvagi e gli incompetenti. Se fosse così allora un giorno ci sarà una giustizia dove chi delinque , fatte le debite proporzioni, riceve un premio rispetto a chi si comporta bene; oppure un campionato di calcio dove le partite, per non fare discriminazioni, finiscono sempre in pareggio. Del resto si ricordava quella assurda parabola dei vignaioli, dove chi arrivava per ultimo riceveva lo stesso premio degli altri che ci lavoravano da tempo. In fondo non è lo stesso concetto! Stesso discorso per chi dopo una vita di infamie si pente all’ultimo momento e si salva come gli altri “poveri deficienti” che hanno sempre rigato diritto. Oppure c’era un’altra spiegazione più subdola e più triste: don Silvio si era vendicato di Kinowa, o meglio di chi scandalosamente, ci ha la piena consapevolezza del proprio spirito vendicativo. Ecco il peccato più grande che il cristianesimo non potrà mai perdonare. Oppure ancora pensava che il piccolo diavolo idealista, a contatto coi diavoletti ruspanti, sarebbe peggiorato ancora; oppure che li avrebbe trasformati malamente da bestioline selvagge in tanti Kinowa del male consapevole, diffondendo terrorismo e nichilismo sia pure a livello infantile. Una cosa era sicura: quel prete, forse a fin di bene ( e chi lo saprà mai) aveva perso l’occasione di redimerlo definitivamente (almeno dal punto di vista della chiesa e della società). Nel mentre meditava questo tormentone accade un evento straordinario. Già da tempo si sapeva che le scuole elementari stavano preparando una specie di concorso cittadino premiando i primi tre arrivati su un tema di italiano proposto, a sua volta a scelta, su una certa rosa di argomenti edificanti (anche se Hegel con ragione, di questa parola diffidava al massimo).

Ogni scuola avrebbe proposto solo due partecipanti, scelti ovviamente tra i ragazzi più bravi in italiano. Siccome lui era uno dei più bravetti, sperava di essere scelto. Nello stesso tempo non ci credeva, sarebbe stato troppo bello. E invece venne scelto insieme a un altro compagno per la felicità dei loro genitori: soprattutto dei suoi che finalmente per così dire, dopo tante brutte chiacchiere, vedevano un po di luce.

Già il viaggio assunse toni tra la leggenda e la tragenda. Infatti quella mattina (solo due giorni dopo il gran rifiuto di don Silvio) c’era ancora uno sciopero degli spazzini che durava già da parecchio. Questo significava che ogni volta che il vaporino attraccava sulle rive, c’erano montagne di spazzatura con le pantegane che ballavano in cima felici, beate e contente. Questo fatto visto per la prima volta da un ragazzino, risultò molto scioccante e subito gli fece frullare in testa un mondo di idee. Alla fine arrivarono all’ultimo imbarcadero e dopo un breve tragitto, entrò in una grande aula di educazione fisica che era stata adibita per il concorso. Qui si accomodò insieme al fior fiore degli scrittori in erba della città. Ogni banchetto ci aveva un numero in bella mostra e non si poteva usare il dizionario: infatti data l’occasione, gli errori di grammatica e di ortografia sarebbero stati un motivo discriminante per il giudizio finale (anche se Manzoni probabilmente non sarebbe stato d’accordo). Infine una maestra andò alla lavagna scrivendo, a grandi lettere e con bella calligrafia, tre titoli per i temi.

Uno di questi lo colpì subito. Il titolo era : “ La importanza del lavoro nella nostra società”. Era quello che faceva al caso suo dopo quello che aveva visto, in modo così impressionante, per tutta la mattinata. Così incominciò a scrivere quello che secondo lui sarebbe stato sicuramente un bellissimo tema, così bello magari da meritare il premio finale. In sintesi espresse questi concetti in tre colonne a metà (che per un ragazzino è già una quantità diciamo giusta).

Per prima cosa fece ovviamente una suggestiva panoramica dei lavori tra i più importanti e i più umili; successivamente espresse un concetto (neanche fosse stato il diavolo di Lutero con sei secoli di ritardo) veramente geniale, e non solo per un bambino: scrisse che lavorare è come pregare, anzi meglio perché risulta veramente utile alla società. Disse anche, novello Socrate, che se tutti avessero fatto il lavoro al loro meglio, non come quando (ahi!) le bambine si facevano la pipì addosso dietro la lavagna, la società avrebbe risolto di colpo un sacco di guai. Infine, per peggiorare definitivamente le cose, disse che si sul piano delle competenze i lavori sono diversi e meritano salari diversi; ma sul piano etico sono tutti uguali, tanto è vero che quando gli spazzini scioperano, salta tutta la città. Secondo lui, e magari era vero, aveva espresso, soprattutto essendo un bambino, dei concetti non solo molto coraggiosi ma anche originali. Tuttavia gli esaminatori con la presero affatto così. Sarà perché i maestri democristiani negli anni 60 erano ancora rimasti al concilio tridentino, sarà perché le maestre non la presero affatto bene per via della pipì, sarà perché questo egualitarismo etico puzzava tanto di comunismo (ancora più scandaloso in un bambino!) ritennero alla fin fine che il bambino fosse effettivamente un poco matto e che quindi doveva essere trattato come tale. Si realizzò così quella profezia che aveva fatto alcuni anni prima, che sarebbe stato giudicato pazzo da degli adulti molto più folli di lui e anche diciamolo, vagamente idioti e criminali. Così decisero di fargli una specie di TSO. A questo punto però dobbiamo precisare alcune cose. E’ accaduto in Italia a Milano nel Liceo Berchet ( 14/2/1966) che alcune studentesse, anticipando clamorosamente le tematiche del 68, pubblicassero nel giornaletto della scuola un lungo articolato imperniato su scabrosi argomenti.

Infatti riguardavano la questione femminile (tipo la sessualità, la verginità ecc). Ne nacque uno scandalo enorme nel corso del quale si tentò di sottoporre le ragazze a una visita integrale ginecologica. Per fortuna la rifiutarono e riuscirono ad evitarla. Ma perché questo? Appunto perché a quel tempo, seguendo un metodo che definirei sessual-lombrosiano, dalla configurazione dei genitali si evinceva la sanità mentale della persona. Quello che queste ragazze riuscirono ad evitare a 18 anni con l’ausilio di un avvocato, lo fecero a lui che invece aveva solo 10 anni e una madre, per usare un eufemismo, molto strana. Certo non gli fecero un Tso vero e proprio, non lo presero i carabinieri per la collottola come fecero col povero Pinocchio, non lo imbragarono con la camicia di forza. Ci pensò sua madre anche ricorrendo a un sotterfugio, dicendo che la visita medica era…per lei (in effetti a questo punto la vera pazza sarebbe stata, caso mai, proprio la genitrice). In breve le avevano telefonato da scuola spiegandole il contenuto del tema, chiedendo se per caso la famiglia fosse luterana o peggio comunista. Soprattutto le chiesero se suo figlio avesse già dimostrato delle stranezze. La donna, invece di difendere il tema, o almeno il figlio a spada tratta, si limitò a dire che il ragazzo era effettivamente molto vivace.

E’ anche vero che le dissero che lo volevano solo sottoporre a una normale visita psicologica. Le cose invece andarono diversamente. Come al solito presero il vaporino, fecero un lungo tragitto a piedi ed arrivarono di fronte a un edificio dove stava scritto “Centro Psichiatrico”. Il bambino mangiò la foglia, si allarmò subito e disse :- Ma allora è vero che sono matto? Fatto sta che si sedettero aspettando il proprio turno e alla fine lo fecero entrare ma senza la mamma. Lo fecero sdraiare sul lettino e subito una infermiera per così dire a tradimento, gli levò i pantaloncini e le mutandine. Rimase nudo col pistolino di fuori, che però per la prima volta divenne un pistolone: aveva avuto la sua prima gigantesca erezione. A quel punto la infermiera disse ridendo:- Ma questo non solo è sano, è super. A lui però non venne affatto da ridere ma da piangere, per aver avuto una simile trattamento e quella strana reazione fisica inaspettata, di cui ancora non sapeva ne sospettava nulla. In quel momento avrebbe voluto scannare sia la infermiera che la sua cara madre che lo aveva portato a tradimento in una simile trappola.

Subito dopo lo rivestirono e lo fecero sedere di fronte a un medico in camice bianco. Questi gli fece un sacco di domande sulla sua famiglia, gli fecero fare dei disegni, gli fecero vedere e commentare le famose immagini di Rorschach. Dopo di che lo riaffidarono nelle mani della cara madre. A distanza di anni lei gli disse che il medico si era limitato a dirle che suo figlio era “ solo un ragazzo con troppa fantasia”. Sarà vero? Comunque qualcosa aveva pur subdorato se poi in camera gli fece trovare un gran regalo come compensanzione per la brutta avventura, ossia un meraviglioso fucile giocattolo “Winchester”. Tuttavia quando il ragazzo le raccontò tutto l’accaduto, e soprattutto la strana spogliazione a mo di violenza sessuale, rimase interdetta, e in un rigurgito di spirito materno le venne da piangere, ma per fortuna non lo fece. Così quando tornarono a casa per prima cosa gli fece fare un bagno ristoratore sperando, come spesso accade in queste occasioni che servisse da calmante. Invece il ragazzo in quella occasione rivisse la scena terrificante di tanti anni prima quando per la rabbia aveva scatenato una specie di tsunami nel bagno (delirio o realtà?). Questa volta, essendo per lei la prima volta, chiuse un occhio sul fatto sconcertante del pavimento mezzo allagato. Quando si fu asciugato per bene gli fece trovare il famoso fucile “Winchester” versione giocattolo, il re delle serie americane western; ma lui non lo usò come americano contro gli indiani, ma all’incontrario. In realtà la faccenda andò così. Intanto c’è da segnalare subito una faccenda particolare, forse dovuta al caso, o forse degna di una interpretazione psicoanalitica che neanche Freud potrebbe chiarirla facilmente. Insomma gli fece trovare il fucile non nella sua cameretta di bambino, ma in quella matrimoniale dei genitori. Forse appunto perché era la più vicina al bagno, oppure molto semplicemente lo aveva dimenticato li. A volte delle vite intere si decidono soltanto per degli episodi fortuiti (sempre che esista il caso). Questo fatto però avrà un effetto enorme nel proseguo della storia. Infatti il bambino, dopo essersi asciugato per bene, una volta preso il fucile, dopo averlo scartato dall’imballaggio, si mise subito a far finta di sparare e a giocare distendendosi nel letto. A quel punto la madre glielo lasciò fare, non aveva voglia di contraddirlo per il gran senso di colpa, ma anche perché non pensava che ne sarebbe derivato qualcosa di grave. Ma non fu così. Il piccolo diavolo non ci mise molto a capire che il giocattolo era dotato non solo di cartucce ma anche di pallini di plastica: non si trattava di pallini di piombo, ben più pericolosi, ma di minuscoli proiettili che sarebbero rimbalzati sui vestiti senza far troppo male. Sulla pelle nuda non si sa. Tuttavia potevano avere un altro effetto ben più pericoloso, almeno da un punto di vista simbolico. Lasciavano dei segni inequivocabili spiaccicandosi sul vetro.

Il fatto è che il ragazzo per sparare doveva pur prendere dei bersagli. Questi ce li aveva già belli spaparanzati davanti a lui, diciamo poco sopra la spalliera del letto.

Il guaio è che questi bersagli erano niente popò di meno che la immagine della vergine Maria e la foto di sua madre. A quel punto un po perché non aveva scelta, soprattutto perché era furioso contro il mondo intero e contro la infame traditrice di sua madre, continuò a sparare imperterrito sia contro l’una che contro l’altra immagine: tanto ormai per lui erano la stessa cosa. In realtà se avesse potuto avrebbe sparato un pallino atomico contro l’intero cristianesimo perché pensando a Cirillo, pensando a don Silvio, ecc ecc aveva capito benissimo che tutte le sue disgrazie venivano da li.

Intanto non solo non aveva avuto il riconoscimento della famiglia prima e tanto meno adesso, ma per giunta non aveva ottenuto nemmeno il riconoscimento delle istituzioni, ne quella ecclesiastica ne quella scolastica. Così in preda a un terribile senso di nichilismo continuò a sparare finché non finì tutti i pallini. Subito dopo stremato andò sul suo letto a dormire. La madre quando prese possesso della camera rimase allibita vedendo quei strani puntini costellare le due immagini: all’inizio sembravano cachette di mosca o di zanzara. Ma quando capì andò su tutte le furie:- Ma questo non è un piccolo diavolo, questo è un diavolo sul serio! Così il senso di colpa sparì in tutta fretta e decise che al più presto gliela avrebbe fatta pagare di nuovo. Il fatto è che l’occasione si presentò ben presto. Il piccolo diavolo era furioso per quello che gli era capitato nel giro di pochi giorni: prima don Silvio, poi la infermeria…Già da prima aveva deciso di vendicarsi di Don Silvio, ma naturalmente era troppo pericoloso. Adesso però la rabbia non gli dava tregua e doveva assolutamente sfogarsi in qualche modo. Così come al solito escogitò un piano. Naturalmente conosceva benissimo le abitudini dei riti parrocchiali, soprattutto le confessioni operate da Don Silvio. Alla sera del venerdì il prete confessava le vecchie, ossia in un lasso di tempo in cui in chiesa non c’era praticamente nessuno.

Decise di intervenire questa volta in borghese, altrimenti sarebbe stato troppo pericoloso, perché il prete ormai sapeva tutto. Inoltre bisogna dire che a partire da un certo momento, quando il sacerdote pensava che ci fossero le ultimissime donne, per non intimorirle, aspettava dentro al confessionale in attesa che si presentasse qualcuna. Solo dopo aver aspettato dieci minuti, metteva la testa fuori per veder se c’era qualche estrema ritardataria. Proprio questo era il momento opportuno per intervenire. Entrò in chiesa da una porta laterale, dove poteva vedere tutto nascosto da una grossa tenda. Aspettò che l’ultima vecchia fosse andata via e in un battibaleno chiuse il confessionale sbarrandolo con un grosso candelabro. Nello stesso tempo mise dentro allo stesso dei profumi puzzolenti. Don Silvio sapendo che c’era una povera vecchia scorreggiona che non poteva controllarsi, pensando che fosse lei la colpevole, le diceva in dialetto :

– Agnese ma ti si ti? Agnese parla ostregheta, ma cossa ti ga magna stasera, pasta e fasioi? Il piccolo diavolo nel frattempo si era bello che dileguato.

Quando osservando bene la grata si accorse che effettivamente dall’altra parte non c’era nessuno, Don Silvio capì di essere stato vittima di uno scherzetto per così dire sacrilego: alla fine uscì con una certa fatica rompendo il grosso turibolo.

A quel punto o per intuito o per deduzione, anche se non aveva le prove, si convinse che il colpevole non poteva che essere il piccolo diavolo. Così telefonò subito alla madre informandola di quanto accaduto e dei suoi sospetti. Questa subito si precipitò in camera per vedere se c’era, ma il ragazzo arrivò subito dopo tutto trafelato:

– Dove sei stato?

– In chiesa mamma a confessarmi…

– Ah si ? Allora beccati questo, e gli propinò sulla testa un bel colpo di zoccolo che gli procurò un vistoso bernoccolo, come quelli che si vedono solo nei cartoni animati di Tom e Jerry. Sentendosi scoperto il ragazzo scappò in camera e si chiuse a chiave. La madre lo rincorse e gli gridò:

– Hai fatto bene caro mio, perché vedrai che ci starai per qualche giorno come in prigione.

Detto fatto lo lasciarono per tre giorni segregato in camera, senza andare a scuola saltando la colazione e il pranzo. Ma lui sembrava già di essere a pane e acqua come il conte di Montecristo. Ma la cosa di gran lunga la peggiore fu un’altra. Mentre se ne stava sconsolato in camera pensando alle sue malefatte e a quelle degli altri, sentì i suoi genitori commentare una notizia terribile:

– Ma hai sentito di quella povera bambina che ha preso la meningite fulminante. E’ molto grave, speriamo che si salvi…

Subito fu preso dal terribile presentimento che si trattasse proprio di Jenni, della sua Jenni. Allora quasi come impazzito decise di scappare per andarla a trovare e scoprire a tutti i costi la verità. La notte non dormì e quando ormai mancavano poche ore all’alba scoprì che la mamma finalmente impietosita aveva lasciato la camera aperta. Subito se ne scappò in bicicletta ancora con le tenebre della notte e si precipitò all’edicola, dove scoprì che purtroppo i suoi peggiori presentimenti erano veri. Infatti sulla saracinesca c’era l’epigrafe funebre con la foto della sventurata bambina.

Allora impazzì completamente. La sua famosa divisa stava nascosta in un albero cavo proprio li, nel famoso giardinetto dietro la rivendita dei giornali. Si vestì e scappò in ospedale per raggiungere l’obitorio dove era stato messo pochi anni prima il corpo del nonno. Sull’epigrafe stava scritto che il funerale si sarebbe svolto il giorno dopo e molto probabilmente il corpo era ancora li (ed era infatti li, in quanto i genitori avevano chiesto e ottenuto che non si effettuasse l’autopsia sul povero corpicino).

Quando era morto il nonno, il ragazzo aveva visto che dietro l’edificio funebre vi era una siepe, e naturalmente dietro, una specie di recinto con del filo spinato. Tuttavia si era anche accorto che nella rete c’era un grosso buco e che attraverso la siepe si poteva passare facilmente; sempre che queste falle nel sistema, chiamiamole così, non fossero state risolte. Ma in Italia come si sa, molto spesso, col passar del tempo le cose invece di migliorare peggiorano. E così fu: il buco si era allargato. Nel frattempo questa fuga notturna in bicicletta di un bambino stranamente vestito in quel modo a gran distanza dal carnevale, suscitò non poco stupore da parte dei pochissimi nottambuli che assistettero a quella strana scena.

Una volta arrivato passò facilmente (essendo un bambino) attraverso i varchi immaginati e si trovò di fronte all’edificio dell’obitorio dove tengono le casse ancora aperte con i morti in attesa della chiusura. Ogni stanza aveva una finestrella; ma adesso la fortuna sembrava averlo abbandonato, perché le porte e le finestre erano chiuse. Tutte tranne una… e arrampicandosi e sbirciando scoprì che dentro c’era la piccola bara bianca di una bambina: non poteva essere che quella di Jenni. Allora sia pure a fatica riuscì a calarsi del tutto. La piccola bara non aveva ancora il coperchio ma una lastra di vetro trattandosi in fin dei conti di una malattia infettiva. Riuscì a spostarla verso il basso quel tanto di scoprirle il viso, pallidissimo e nonostante tutto, ancora bellissimo. Lo ricoprì di lacrime e poi nonostante la malattia infettiva (non gli importava nulla ormai se moriva anche lui) le diede infiniti piccoli baci sul beccuccio proprio come fanno gli uccellini.

Nel frattempo un becchino, uno di quelli che vestono i morti, si era accorto allibito di quella incredibile scena. Ne aveva viste di tutti colori nella sua vita, ma quella di un bambino (o di un nano) che vestito da diavoletto poco prima dell’alba, si intrufolasse in una stanza funebre, non gli era mai capitato. Aveva chiamato in soccorso una guardia giurata con un cane al guinzaglio. Quindi aveva aperto la porta con la chiave ed era entrato bestemmiando nella funerea stanzetta. Proprio in quel momento il piccolo diavolo stava baciando il corpo esanime della bimba. Subito il becchino gli si precipitò contro ma Kinowa, che comunque stava sempre sul chi va là, gli tirò una terribile fiondata sull’inguine; l’uomo si accasciò per il dolore mentre l’altro che aspettava fuori, rimase un attimo interdetto vedendo un piccolo diavolo fuggire come un razzo. Cercò subito di rincorrerlo ma inciampò lasciando libero il cane che corse dietro al ragazzo abbaiando a tutto spiano. La scena era terribile mentre già si intravvedevano le prime luci dell’alba. Ormai stava per essere raggiunto dal cane quando si accorse che sotto a una collina di dune (l’ospedale sorgeva in riva al mare) vi era come una specie di tubo ne troppo grande ne troppo piccolo, dove forse avrebbe potuto infilarsi per trovare rifugio. Era una idea pazza e disperata, ma la sua speranza era quella di passare dall’altra parte e di mettersi in salvo facendo perdere le proprie tracce magari nuotando. Purtroppo si accorse ben presto, mentre anche il cane implacabile si era infilato nel tunnel, che il tubo era finito e che stava aprendosi molto faticosamente un varco nella sabbia, proprio come avrebbe fatto un sepolto vivo svegliatosi improvvisamente. Ormai era tutto buio, aveva il naso e la bocca piena di sabbia, si sentiva stremato e ormai quasi non respirava più: si sentiva morire mentre percepiva il latrato feroce del cane sempre più vicino. Finalmente con le ultimissime forze si aprì un varco oltre il muro di sabbia.

A questo punto vide la luce, vide sorgere l’alba e nello stesso tempo (delirio o realtà)

si formarono delle nuvole che in poco tempo realizzarono incredibilmente il volto di Kinowa!

Fu l’ultima cosa che vide perché subito dopo spirò. E fu una fortuna perché il cane ormai lo stava per raggiungerlo mordendogli un piedino.

Nel frattempo quella incredibile immagine aerea rimase nel cielo per pochissimo tempo. Qualcuno disse che era solo una allucinazione visiva, altri dissero di averla vista effettivamente sia pure per pochissimo tempo; ma fu così che anche da quelle parti nacque la leggenda del diavolo bambino.

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